sabato 16 luglio 2011


Domande che l'ottimo Chetoni si pone.

Barbara

Verità nascoste e menzogne di Stato

In primo piano su "Mattina in Famiglia" il problema della nave Napoletana "Savina Caylyn" sequestrata dai pirati da febbraio. Interviene in diretta da Napoli la moglie del direttore di Macchina la quale è riuscita a parlare con il marito a bordo con cui aveva perso i contatti da 2 mesi
 
La tanker Savina Kaylin e il cargo Rosaria D’Amato sotto sequestro nel Puntland
Dismesso l’uso dei dizionari (Zanichelli, Garzanti, Dardano, ect), alla voce “Repubblica delle Banane” Wikipedia riporta: “Attualmente il termine è entrato nel vocabolario di tutti i giorni per indicare un regime dittatoriale, stabile nell’instabilità, dove le consultazioni elettorali sono pilotate e la corruzione ampiamente diffusa così come una forte influenza straniera che può essere politica o economica o ambedue le cose, sia diretta che pilotata attraverso il governo interno.”
Per estensione, il termine è usato per definire esecutivi dove un leader concede vantaggi ad amici e sostenitori, senza grande considerazione delle leggi (in Italia se ne fa partecipe l’”opposizione” che si alterna con la “maggioranza”), mettendo alla porta il giudizio espresso degli elettori.
Alla voce caratteristiche si indica la collusione tra Stato e interessi monopolistici dove i profitti sono privatizzati e le perdite socializzate.
Chiudiamo qui la tiritera ritenendoci ampiamente autorizzati, a buon titolo, a definire l’Italia delle istituzioni, della politica e dei Poteri Forti un sistema-Paese ampiamente cleptocratico, caraibico.
Detto questo, passiamo a un po’ di “attualità” che ne metta in mostra qualche aspetto di “politica estera” da barzelletta, partendo da un comunicato dell’ANSA dello scorso 5 luglio.
Secondo l’agenzia di stampa, la Tanzania è pronta a mettere in campo la sua intelligence per aiutare l’Italia ad ottenere quanto prima il rilascio degli 11 (5 italiani) marittimi della petroliera Savina Kaylin, 105.000 tonnellate, 226 mt di lunghezza, tanker, e dei 22 (6 italiani) della Rosaria D’Amato, cargo, di 112.000 tonnellate, 225 mt di lunghezza di proprietà ambedue di armatori italiani. I dati sono nostri.
La prima sequestrata da “pirati somali” con modalità pagliaccesce, come abbiamo già avuto modo di descrivere, affidandoci alla lettura di una corrispondenza di un inviato de La Repubblica: il famosissimo “rapito” in Afghanistan Daniele Mastrogiacomo, passato dal Paese delle Montagne alla “cronaca” da una località imprecisata nel Corno d’Africa. La seconda di cui si è parlato solo per registrare il “furto” in pieno Oceano Indiano e chiuderla lì, senza clamore, visto l’imbarazzante precedente della Savina Kaylin.
La Kaylin è “fuori controllo” dal 24 Gennaio e la D’Amato dal 21 Aprile. Ambedue sono state scortate a “destinazione” con l’assistenza, perchè così è stato, delle fregate Zefiro ed Espero della Marina Militare che operano, e hanno operato, tra lo Stretto di Bab el Mandeb e il Golfo di Aden, con l’operazione Atalanta dell’UE e Ocean Shield della NATO.

Dove?
Nello specchio d’acqua, a 800 mt al largo del porto di Chisimaio che fa parte del Jaddaba Hoose nel Puntland e lì sono rimaste dopo che i comandanti, ambedue italiani, sono stati costretti con parte del personale a sbarcare a terra.
Si sa tutto sul punto nave dai satelliti Skymed, dai radar delle navi della Marina Militare che le monitorano di continuo ma non si muove foglia ormai da mesi. Gli appelli delle famiglie sono stati (quasi) totalmente oscurati da giornali e tv.
Quante interrogazioni urgenti a risposta scritta sono state presentate sulla faccenda da senatori e onorevoli? Solo due, ambedue indirizzate all’eccellentissimo di Via XX Settembre La Russa. A quanto ne sappiamo il ministro non ha ancora risposto agli interessati, a distanza di mesi.
Questa volta, nei sequestri della tank e del cargo, qualcosa deve essere andato storto. Il meccanismo, ampiamente oliato, del sequestro-riscatto si è improvvisamente inceppato.
Da tenere presente che sia la Kaylin che la D’Amato, essendo territorio italiano, come i consolati e le ambasciate all’estero, ricadono sotto la giurisdizione investigativa e penale della Magistratura. Di inchieste in corso non ne sa nulla nessuno. La faccenda ormai va avanti da almeno 3 anni.
Sarebbe necessario che il Ministro Maroni si andasse a rileggere una relazione del già questore di Genova Giuseppe Grassi su cosa succedeva a Lagos con i permessi di studio e di lavoro e perchè con ordini cifrati la Farnesina imponesse la distruzione di tutti i supporti cartacei e magnetici in possesso di 84 nostre rappresentanze diplomatiche all’estero.
Peccato che ne sia rimasta qualche traccia a giro.
Quante navi da carico, compresi rimorchiatori d’altura, i “pirati” somali ci hanno sequestrato? Abbiamo perso il conto. Quant’è ad oggi l’importo delle uscite finanziarie sopportato dalla Repubblica delle Banane?
Decine e decine di milioni di euro. Insomma paghiamo per le Società di Navigazione che non possono o non vogliono tirar fuori un centesimino.
La motivazione dei mancati versamenti ha una sua logica “economica”. Le imprese di trasporto marittimo se si piegassero a pagare i “riscatti” sarebbero destinate al fallimento.
E a ragione si appiccica la responsabilità a La Russa. Il titolare di Palazzo Baracchini ancora oggi si rifiuta di mettere a disposizione un nucleo armato del Battaglione S. Marco sui mercantili tricolori che devono percorrere le rotte africane e del Golfo di Aden.
Sono d’accordo i vertici della Marina Militare e l’Assomare delle Società di Navigazione rappresentate dall’armatore Stefano Messina, che si sono dette disponibili a pagare i costi della “sicurezza” al Ministero della Difesa.
La pietosa spiegazione del secco “no” che esce da Palazzo Baracchini è questa: non si può mettere a disposizione di un comandante della marina mercantile dei militari dipendenti dalla Difesa.
Che poi si invii il Genio Militare, gratuitamente, in “missione spazzatura” al Vomero non gli fa, invece, né caldo né freddo. Anzi, ne è un convinto assertore.
Che ci sia altro sotto? Più che possibile è certo.
Chi è impedisce ai nuclei antipirateria del Btg S. Marco di abbordare le navi italiane sotto sequestro,
quando le affiancano in navigazione per scortarle verso gli approdi dei banditi del Puntland?
Perchè non si impone nemmeno il fermo macchine in alto mare al comandante della nave mercantile italiana sotto sequestro, nè di mollare dalle fiancate di coperta una scialuppa con personale armato? Si teme per l’incolumità del personale sotto sequestro, per la perdita della nave e del carico?
Menzogne. Non ci sono mai eroi pronti a morire tra dei tagliagole e dei predatori, sulle tortughe, nè essi si possono portare dietro mezzi idonei a provocare la distruzione delle imbarcazioni, escluse le “gasiere”.
Le spiegazioni da cercare sono altre. Le navi dell’Unione Europea e di tutti i Paesi stranieri sono dotate dall’anno 2000 di doppio scafo. L’uso di un RPG contro una fiancata non produrrebbe alcun risultato. L’esplosione potrebbe perforare il fasciame esterno ma non il secondo interno per l’esaurirsi della capacità termico-dinamica a contatto con lo strato vuoto d’aria. Ripetere un lancio che entri dal primo foro di entrata e raggiunga il secondo è totalmente da escludere anche da breve distanza, in condizioni di moto ondoso derivante da azioni evasive e di contrasto passivo da parte dell’equipaggio sotto attacco. Inoltre, le imbarcazioni in questione hanno murate semplicemente impossibili da scalare senza lancia rampini a carica esplosiva, scalette di corda o altro mezzo di abbordaggio che non può essere certo caricato su una barca di 5-6 metri, il cui spazio interno è ingombro di taniche di benzina, di sequestratori e attrezzature di sopravvivenza in mare. Basta calare un semplicissimo cestello di lacrimogeni accesi sopravento dalla coperta nave per dissuadere il più agguerrito dei pirati a desistere da qualsiasi attacco, lasciando da parte getti di idranti o difesa passiva come reticolati e altro.
La spiegazione del sequestro dei trasporti marittimi italiani, prima e dopo l’assalto della Kaylin e della D’Amato, va cercato in una arrendevolezza “consigliata” a monte ai comandanti delle navi italiane in caso di abbordaggio. Un avviso ai naviganti.
E, per ora, qui ci fermiamo. Ci sono sviluppi in corso che ci danno l’opportunità di dare un validissimo supporto a queste affermazioni.
Chi ha materialmente consegnato fino ad oggi centinaia di valigiate da 500 euro, od altro di prezioso di modesto volume, immediatamente spendibile, ai “pirati” del Puntland? Mistero. E’ mai possibile che non si riesca a scrivere nemmeno una riga da parte dell’intera stampa italiana su questi affari sporchi?
Qual è il sistema per tenere i contatti, avvicinare i sequestratori e portare a buon fine la “missione”?
Chi lo gestisce? Qual’è l’autorità politica e istituzionale che offre totale copertura a questi traffici di valuta?
Corrono voci di aerei ad elica e di jet executive che atterrano all’aeroporto di Mogadiscio, controllato dai tagliagole ruandesi dell’ONU di Amisom. La spartizione del bottino si farebbe così: qualche briciola della torta va ai comandi militari del Ruanda e la fetta più grossa al cosiddetto Governo (fantasma) di Transizione della Somalia, appoggiato dalla Farnesina.
Un governo fantoccio che riceve peraltro un’enorme quantità di danaro, sotto la voce “aiuti” e “donazioni” da Frank (tre dita) Frattini per combattere gli islamisti, brutti, cattivi di “Al Qaeda”: gli Shabaab. E altre cosucce dalla Direzione Generale Cooperazione e Sviluppo.
E ai “pirati” quanto arriva? Altre briciole, a quanto sostengono fonti informate, quanto appena necessario per tenere in mare quattro barchette a fondo piatto, comprare dei motori usati dai 35 ai 50 cv Honda o Yamaha, approvvigionarsi di benzina e mantenere mogli e figli. Il bottino più rilevante anche qui va ai capivillaggio, alle “autorità” del Puntland.
Residenti hanno riferito di una richiesta di 32 milioni di dollari per il dissequestro della Kaylin, che trasporta greggio, e di 20 milioni di euro per la D’Amato, che imbarca granaglie.
Frank Frattini, dopo i due sequestri, ha chiesto immediatamente il silenzio stampa per facilitare le “trattative”, da La Russa fino ad oggi non è arrivata una parola, il Ministro delle Infrastrutture, Trasporti e Marina Mercantile Matteoli non ha mosso foglia. Fatto sta che se si manda una e-mail a Napoli non ti risponde nessuno, come se ne fai arrivare un’altra all’Ufficio Relazioni col Pubblico della Marina Militare.
Poi se telefoni ti accorgi che alla Perseveranza spa c’è un clima di paura. Ricevi brevi risposte imbarazzate dall’interlocutore prima che riappenda la cornetta. La prima cosa che ti chiedono è se sei un giornalista.
La Savina Kaylin proveniente da Bashayer in Sudan era diretta a Pasir Ghudang in Malaysia, la Rosaria d’Amato da Rio de Janeiro in Brasile a Bandar Abbas in Iran.
L’assalto alle due navi mercantili è stato un caso? Certo è che questi sequestri non possono non apparire “mirati”. C’è una attenzione particolare ai carichi trasportati da parte di “occidentali” in ottime relazioni di amicizia con i locali.
Quante navi di USA e Israele hanno sequestrato i pirati della Tortuga di Puntland e Somaliland? Nemmeno una. Perché l’82% dei dirottamenti in mare avveniva dentro le acque territoriali dello Yemen di Saleh o immediamente fuori?
I sequestratori “armati” del Puntland hanno sbagliato bersaglio una sola volta con la portacontenitori Maersk Alabama. Li ha tratti in inganno il nome della compagnia di navigazione danese scritta sul fasciame di prua o ha commesso un errore il telefonista (satellitare) a bordo della nave madre.
Sfortunatamente per i pirati all’arrembaggio, in quel momento sull’asta a poppa non c’era la bandiera al vento a stelle e strisce.
Li hanno massacrati in acqua con due elicotteri d’attacco decollati da una piattaforma navale USA in navigazione nel Golfo di Aden nel giro di 2-3 ore, durante l’inseguimento.
Torneremo appena possibile ai particolari della collaborazione del sottosegretario agli Esteri con la delega agli aiuti umanitari, Margherita Boniver, con il primo ministro tanzaniano Mizengo Pinda e il ministro delle finanze  Mustafa Kculo – non stiamo scherzando – incontrati su richiesta ufficiale partita da Roma. La presenza di Kculo la dice lunga. Siamo disposti a pagare il “servizio”.
Una “bilaterale” che prevede, come abbiamo già detto, anche scambi di intelligence. Non c’è da ridere?
Quanto dista il punto di confine della Tanzania più vicino al Kenya e da qui al Puntland? Chi regge le fila politiche e militari che consentono a non più di 600-800 “pirati” del Puntland di tenere sotto scacco, di minacciare, l’intero commercio marittimo di Vicino Oriente e Asia?
Approfondiremo l’argomento.
Giancarlo Chetoni

1 commenti:

  1. Sicuramente è vergognoso quello che accade e lo è soprattutto il silenzio che nasconde chissà cosa...
    Ciao barbara a presto

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