Il contesto nel quale opera questo governo è magnificamente riassunto, purtroppo per tutti noi da Claudio Messora.
Oggi il ministro tecnico alla distruzione del welfare lacrima Fornero, in conferenza stampa prende atto del fatto che vi sono altri esodati, secondo i suoi calcoli 55.000. Non prevede certo di "salvaguardarli", dal momento che codesta sanguisuga generalmente si occupa di come togliere garanzie e diritti, ed è naturale che vada nel pallone qualora al contrario esista la necessità di ripristinarli, dovendole sembrare un atto in conflitto con la sua natura. Polemizza ancora con l'Inps, accusando la previdenza di non essere in grado di conteggiare correttamente il numero dei contribuenti e tentando di cancellare gli altri 270.000 esodati. La Cgil, dopo le sceneggiate di prammatica intorno ai lavoratori espulsi e la promessa da marinaio di dare battaglia sull'articolo 18, se la da a gambe levate, obbedendo ai soliti poteri che tanto bene sono abituati a ricompensarla. Non avevo alcun dubbio, se questi sindacalisti da operetta non si fossero palesati come i migliori alleati degli schiavisti mondiali da ormai oltre venti anni, non saremmo ridotti così. A seguire articoli di
approfondimento sulla tragedia italiana che non sembra aver mai fine. Nella nazione dei disoccupati e precari, un'altra mente brillante non trova di meglio che ..leggi Fate una settimana in meno di ferie, pelandroni che non siete altro! di Marco Cedolin
Barbara
Brave Mario – Il nuovo medioevo istituzionale
Vi sono due forze in campo. La prima è quella di poche persone che contano molto e perciò “possono” anche molto. Sono le élite europeiste. Si incontrano e decidono al di fuori delle istituzioni democratiche, in consessi privati. La maggior parte di loro non sono stati eletti da nessuno, se non dai loro conti in banca, e anche quelli eletti non hanno comunque nessun mandato costituzionale a dibattere quelle che saranno le future leggi al di fuori delle sedi preposte, ovvero i parlamenti nazionali. Costoro hanno deciso che debbono a tutti i costi nascere gli Stati Uniti d’Europa, e che nessuno potrà frapporsi tra il loro proposito e la realizzazione di ciò che ritengono una missione. Neppure i popoli, che sono i proprietari legittimi delle terre che compongono il vecchio continente.
Fra loro c’è chi lo fa perché ne trarrebbe benefici economici, come per esempio le imprese americane che dall’integrazione europea conseguirebbero un vantaggio materiale (parole di Monti). E’ il caso della commissione Trilaterale, il cui responsabile europeo (fino a pochi mesi fa lo stesso Monti) è devotamente dedicato (committed) all’unificazione politica europea. Altri, invece, sono preoccupati dal peso
Vi sono due forze in campo. La prima è quella di poche persone che contano molto e perciò “possono” anche molto. Sono le élite europeiste. Si incontrano e decidono al di fuori delle istituzioni democratiche, in consessi privati. La maggior parte di loro non sono stati eletti da nessuno, se non dai loro conti in banca, e anche quelli eletti non hanno comunque nessun mandato costituzionale a dibattere quelle che saranno le future leggi al di fuori delle sedi preposte, ovvero i parlamenti nazionali. Costoro hanno deciso che debbono a tutti i costi nascere gli Stati Uniti d’Europa, e che nessuno potrà frapporsi tra il loro proposito e la realizzazione di ciò che ritengono una missione. Neppure i popoli, che sono i proprietari legittimi delle terre che compongono il vecchio continente.
Fra loro c’è chi lo fa perché ne trarrebbe benefici economici, come per esempio le imprese americane che dall’integrazione europea conseguirebbero un vantaggio materiale (parole di Monti). E’ il caso della commissione Trilaterale, il cui responsabile europeo (fino a pochi mesi fa lo stesso Monti) è devotamente dedicato (committed) all’unificazione politica europea. Altri, invece, sono preoccupati dal peso
LA CGIL D'ACCORDO CON LA FORNERO , RITIRA LO SCIOPERO GENERALE CONTRO LA RIFORMA DEL LAVORO
La Cgil disdice lo sciopero generale proclamato in difesa dell'articolo 18 e contro la controriforma del lavoro. La minoranza abbandona la sala. L'USB e i sindacati di base confermano la mobilitazione generale del 22 giugno.
La Cgil cancella lo sciopero generale in formato mini inizialmente dichiarato in difesa dell'art. 18 e contro la cosiddetta «riforma» del mercato del lavoro, attualmente in votazione al parlamento.
Il Direttivo Nazionale si è riunito ieri, senza la presenza di Susanna Camusso, per motivi di salute. La relazione introduttiva è stata tenuta da Vincenzo Scudiere, dove la mobilitazione in corso da alcune settimane viene di fatto annullata. Si dovrà infatti «lavorare per una mobilitazione in ottobre insieme a Cisl e Uil. Di fatto, ha contestato Gianni Rinaldini, coordinatore dell'area «La Cgil che vogliamo», «si tratta di un via libera alla riforma, che passa senza che la Cgil nel suo insieme abbia messo in pratica una politica di contrasto». Un'arrendevolezza già dimostrata in occasione della «riforma delle pensioni» (per cui vennero proclamate tre ore di sciopero a fine turno) e che riguarda «due temi che gli assi portanti dell'assetto del mondo del lavoro». Nell'annunciare l'uscita dalla sala di tutta l'area - che è avvenuta alla fine del suo intervento - Rinaldini ha parlato anche di «totale subalternità alla politica e agli equilibri tra i partiti che sostengono il governo». Quanto al significato politico, c'è soltanto un'evidenza da constatare: «mentre il governo annuncia la richiesta del voto di fiducia sul decreto, la Cgil disdice lo sciopero generale proclamato per contrastarlo».
Breve ma caustica la presa di posizione di Giorgio Cremaschi: "La Cgil revoca formalmente lo sciopero generale mentre il governo accelera la controriforma del lavoro, è un atto di resa e di inutilità di un gruppo dirigente totalmente invischiato con Pd e governo".
Durissima la presa di posizione da parte dei sindacati di base, in particolare da parte dell'Unione Sindacale di Base. Scrive in una nota Fabrizio Tomaselli, dell'esecutivo nazionale:"La Cgil revoca le ulteriori otto ore di sciopero generale che aveva precedentemente deciso, senza indicarne la data. Così cade qualsiasi ulteriore alibi e strumentale ipocrisia: la Cgil non si oppone alla Controriforma del lavoro e decide di appoggiare incondizionatamente il governo Monti. Noi no! Rimane così soltanto USB e il sindacalismo di base, indipendente e conflittuale a indicare ai lavoratori la strada dello Sciopero generale. A questo punto – continua il sindacalista - è ancora più decisivo, per chi vuole realmente opporsi alle politiche antipopolari del Governo Monti, per chi vuole dire no al ricatto del debito della BCE, della Comunità europea e delle banche, per chi vuole contrastare la Fornero e la sua controriforma, scioperare il 22 giugno e scendere in piazza a Roma e Milano".
Informazione dal basso
Fornero new version
Il ministro riconosce che per ora ci sono altri 55mila esodati da “salvaguardare”. E poi si vedrà
È fatta così, la professoressa Elsa. Un tantino insofferente alle critiche, e con dei tempi tutti suoi nello sbrigare le questioni di governo, ma a poco a poco si adegua.
Nei giorni scorsi c’erano state le polemiche infuocate sull’effettivo numero degli esodati. Il decreto dell’esecutivo ne tutelava 65mila. Secondo l’Inps la cifra era, ed è, appena un sesto del totale. Inoltre la Fornero lo avrebbe saputo benissimo perché l’ente previdenziale sostiene di averglielo scritto in una relazione consegnata da tempo.
Scambi di accuse, col ministro che rigetta ogni responsabilità e prova a contrattaccare, e oggi arriva la prima ammissione sostanziale. In effetti bisogna sicuramente aggiungere al primo blocco 55mila persone.
Quanto agli altri, invece, c’è da attendere. Forse che aggiustino il pallottoliere del ministero. Forse che “la ministra” sia di buon umore.
Il ribelle
I miliardi virtuali dei pasticcioni di governo
Per chi vuole illudersi ancora con la crescita, si goda il “Decreto sviluppo” del governo Monti (via Passera), uno spottone assiduamente pompato da una sfiorita gazzetta conservatrice, la Repubblica. E da altri giornali a rimorchio. Corrado Passera, uno dei banchieri più in vista (di quest’epoca di banchieri) ha promesso che il provvedimento del governo «mobiliterà risorse sino a 80 miliardi di euro», sempre che qualcuno abbia la bontà di spiegarci cosa significa in concreto quel «mobiliterà».
Il ministro sembra alludere a un’apertura di forzieri, a un pompaggio di moneta sonante da erogare per lo sviluppo e la crescita, qualcosa di simile ai soldi iniettati nelle grandi banche a cui ci hanno abituati negli ultimi quattro anni, ma questa volta in un’altra direzione.
Il suono allusivo della parola magica («mobiliterà») dovrebbe sottintendere a un governo che finalmente trasfonde denaro vero nel circuito economico a rischio necrosi. E per giunta con volumi che al confronto il Piano Marshall è una spesuccia.
Niente di tutto questo. Il decreto ricomincia con i soliti sistemi disorganici delle agevolazioni fiscali e degli incentivi alle imprese: sono cucchiaini che non fermano lo tsunami della lunga recessione né il processo di deindustrializzazione dell’Italia. Non mancano le promesse per le solite Grandi Opere.
Hanno sbagliato i conti sulle entrate fiscali? Posto che pretendevano un’assurdità (aumentare le imposte e non attendersi un crollo della domanda), hanno pronto il rimedio che già intuivamo per la copertura finanziaria: svendere asset pubblici costruiti in generazioni. E poi sforbiciare nel settore della pubblica amministrazione. La chiamano pomposamente “spending review”. Saranno, in realtà, stipendi in meno e disoccupati in più.
Gli 80 miliardi non sono dunque moneta viva, bensì, al contrario, un vago programma di sottrazione dalla ricchezza della nazione. Tanto vago da non avere tempi definiti: ammesso che il decreto-fuffa abbia effetti, li avrà dopo anni. E chissà come sarà, dopo anni, perfino un mercato ignobile come quello che si accaparra i beni di tutti. Si tratta di tempi lunghi e indistinti, mentre l’incalzare della speculazione e dei crolli bancari sono eventi brevi e impellenti, oltre che capaci di prosciugare multipli delle risorse “mobilitate” dal governo dei presunti tecnici. Per un governo che misura i miliardi a “paccate” (scuola Fornero), nulla di più patetico e cialtronescamente virtuale delle risorse evocate per l’economia reale.
Al partito della suddetta gazzetta conservatrice ciò basterà per cinguettare che questa è una svolta. Idem il Pd. Ma sono bugie senza futuro. Non possono promettere arrosti dopo che il fumo dura troppo mentre il governo del “risanamento” ci porta ormai alla soglia dei due trilioni di euro di debito. Come stupirsi che ci sia una corsa all’afferra afferra? Chi ha soldi li porta altrove, sempre di più, a finanziare i già ricchi (zona Berlino e Francoforte), o a tentare un’ulteriore giro nella giostra folle dei derivati e della finanza criminale (zona Londra e Wall Street). Una finanza così criminale che mai si meriterà un monito di Giorgio Napolitano, il king maker dei bancocrati pasticcioni.
Se si guarda in modo spassionato all’assoluta inutilità del “Decreto sviluppo”, si comprende la gravità delle prospettive per i decenni a venire. E chi regge il sacco a questi personaggi sarà da considerare pienamente corresponsabile.
Pino Cabras su Megachip
La soluzione per gli esodati c’è
I nostri economisti e giuslavoristi alla Ichino, questa volta per bocca de la voce.info hanno trovato l’uovo di colombo per risolvere il problema degli esodati. Intanto si afferma il principio che: Son cazzi vostri ( dei lavoratori) . Ma non detto in questo modo volgare, ma con l’eleganza e con la proprietà di linguaggio proprio dei professori che vogliono darti la supposta ma non dirti che farà male. Allora dicono:
LA SOLUZIONE C’È
Questa soluzione è tuttora possibile. Si basa su riduzioni attuariali delle pensioni per i lavoratori esodati o esodandi, pari circa al 2-3 per cento in meno per ogni anno precedente il raggiungimento della nuova età pensionabile. Al tempo stesso, bisognerebbe imporre ai datori di lavoro di continuare a versare per questi lavoratori i contributi sociali fino a quando questi maturano il diritto a una pensione piena. Chiaramente in questo quadro il datore di lavoro potrebbe anche optare per la reintegrazione dei lavoratori coinvolti e il lavoratore potrebbe cercare fonti di reddito alternative, tali da compensare la riduzione attuariale nella pensione, senza perdere il diritto a quest’ultima.
Notate la finezza e la proprietà di linguaggio. Intanto una certezza. Si adotta una riduzione pari circa al 2-3 per cento in meno per ogni anno precedente il raggiungimento della nuova età pensionabile. E su questo non si scappa. Da un piccolo calcolo assumendo che mediamente i lavoratori sono scoperti per circa 5-10 anni per il 2-3% annuo si arriverebbe ad una decurtazione di circa 10-30% della pensione. Su una pensione di 1000-1500 Euro si arriverebbe ad avere una pensione di 700-1000 dopo quarant’anni di lavoro e aver pianificato la propria vecchiaia su una pensione di 1500 Euro mensile. Una bella pensata non c’è che dire.
Poi però arriva il contentino il cui predicato verbale è un bisognerebbe rivolto ai contributi che gli ex datori di lavoro dovrebbero versare, seguito da un potrebbe sempre rivolto al datore di lavoro il quale dopo essersi inventato l’accordo riuscendo a levarsi di torno i lavoratori che gli davano fastidio e per giunta vecchi e con contratto a tempo indeterminato, per assumere carne fresca e giovane a tempo determinato, ora si dovrebbero riprendere quelli che ha cacciato dalla finestra. E per chi, con quale vantaggio , per quale motivo? Perché l’ha detto l’esimio professorone , tecnico economista , della voce.info?
L’avrà studiata tutta la notte, il professorone.
Reset Italia
La Cgil disdice lo sciopero generale proclamato in difesa dell'articolo 18 e contro la controriforma del lavoro. La minoranza abbandona la sala. L'USB e i sindacati di base confermano la mobilitazione generale del 22 giugno.
La Cgil cancella lo sciopero generale in formato mini inizialmente dichiarato in difesa dell'art. 18 e contro la cosiddetta «riforma» del mercato del lavoro, attualmente in votazione al parlamento.
Il Direttivo Nazionale si è riunito ieri, senza la presenza di Susanna Camusso, per motivi di salute. La relazione introduttiva è stata tenuta da Vincenzo Scudiere, dove la mobilitazione in corso da alcune settimane viene di fatto annullata. Si dovrà infatti «lavorare per una mobilitazione in ottobre insieme a Cisl e Uil. Di fatto, ha contestato Gianni Rinaldini, coordinatore dell'area «La Cgil che vogliamo», «si tratta di un via libera alla riforma, che passa senza che la Cgil nel suo insieme abbia messo in pratica una politica di contrasto». Un'arrendevolezza già dimostrata in occasione della «riforma delle pensioni» (per cui vennero proclamate tre ore di sciopero a fine turno) e che riguarda «due temi che gli assi portanti dell'assetto del mondo del lavoro». Nell'annunciare l'uscita dalla sala di tutta l'area - che è avvenuta alla fine del suo intervento - Rinaldini ha parlato anche di «totale subalternità alla politica e agli equilibri tra i partiti che sostengono il governo». Quanto al significato politico, c'è soltanto un'evidenza da constatare: «mentre il governo annuncia la richiesta del voto di fiducia sul decreto, la Cgil disdice lo sciopero generale proclamato per contrastarlo».
Breve ma caustica la presa di posizione di Giorgio Cremaschi: "La Cgil revoca formalmente lo sciopero generale mentre il governo accelera la controriforma del lavoro, è un atto di resa e di inutilità di un gruppo dirigente totalmente invischiato con Pd e governo".
Durissima la presa di posizione da parte dei sindacati di base, in particolare da parte dell'Unione Sindacale di Base. Scrive in una nota Fabrizio Tomaselli, dell'esecutivo nazionale:"La Cgil revoca le ulteriori otto ore di sciopero generale che aveva precedentemente deciso, senza indicarne la data. Così cade qualsiasi ulteriore alibi e strumentale ipocrisia: la Cgil non si oppone alla Controriforma del lavoro e decide di appoggiare incondizionatamente il governo Monti. Noi no! Rimane così soltanto USB e il sindacalismo di base, indipendente e conflittuale a indicare ai lavoratori la strada dello Sciopero generale. A questo punto – continua il sindacalista - è ancora più decisivo, per chi vuole realmente opporsi alle politiche antipopolari del Governo Monti, per chi vuole dire no al ricatto del debito della BCE, della Comunità europea e delle banche, per chi vuole contrastare la Fornero e la sua controriforma, scioperare il 22 giugno e scendere in piazza a Roma e Milano".
Informazione dal basso
Fornero new version
Il ministro riconosce che per ora ci sono altri 55mila esodati da “salvaguardare”. E poi si vedrà
È fatta così, la professoressa Elsa. Un tantino insofferente alle critiche, e con dei tempi tutti suoi nello sbrigare le questioni di governo, ma a poco a poco si adegua.
Nei giorni scorsi c’erano state le polemiche infuocate sull’effettivo numero degli esodati. Il decreto dell’esecutivo ne tutelava 65mila. Secondo l’Inps la cifra era, ed è, appena un sesto del totale. Inoltre la Fornero lo avrebbe saputo benissimo perché l’ente previdenziale sostiene di averglielo scritto in una relazione consegnata da tempo.
Scambi di accuse, col ministro che rigetta ogni responsabilità e prova a contrattaccare, e oggi arriva la prima ammissione sostanziale. In effetti bisogna sicuramente aggiungere al primo blocco 55mila persone.
Quanto agli altri, invece, c’è da attendere. Forse che aggiustino il pallottoliere del ministero. Forse che “la ministra” sia di buon umore.
Il ribelle
I miliardi virtuali dei pasticcioni di governo
Per chi vuole illudersi ancora con la crescita, si goda il “Decreto sviluppo” del governo Monti (via Passera), uno spottone assiduamente pompato da una sfiorita gazzetta conservatrice, la Repubblica. E da altri giornali a rimorchio. Corrado Passera, uno dei banchieri più in vista (di quest’epoca di banchieri) ha promesso che il provvedimento del governo «mobiliterà risorse sino a 80 miliardi di euro», sempre che qualcuno abbia la bontà di spiegarci cosa significa in concreto quel «mobiliterà».
Il ministro sembra alludere a un’apertura di forzieri, a un pompaggio di moneta sonante da erogare per lo sviluppo e la crescita, qualcosa di simile ai soldi iniettati nelle grandi banche a cui ci hanno abituati negli ultimi quattro anni, ma questa volta in un’altra direzione.
Il suono allusivo della parola magica («mobiliterà») dovrebbe sottintendere a un governo che finalmente trasfonde denaro vero nel circuito economico a rischio necrosi. E per giunta con volumi che al confronto il Piano Marshall è una spesuccia.
Niente di tutto questo. Il decreto ricomincia con i soliti sistemi disorganici delle agevolazioni fiscali e degli incentivi alle imprese: sono cucchiaini che non fermano lo tsunami della lunga recessione né il processo di deindustrializzazione dell’Italia. Non mancano le promesse per le solite Grandi Opere.
Hanno sbagliato i conti sulle entrate fiscali? Posto che pretendevano un’assurdità (aumentare le imposte e non attendersi un crollo della domanda), hanno pronto il rimedio che già intuivamo per la copertura finanziaria: svendere asset pubblici costruiti in generazioni. E poi sforbiciare nel settore della pubblica amministrazione. La chiamano pomposamente “spending review”. Saranno, in realtà, stipendi in meno e disoccupati in più.
Gli 80 miliardi non sono dunque moneta viva, bensì, al contrario, un vago programma di sottrazione dalla ricchezza della nazione. Tanto vago da non avere tempi definiti: ammesso che il decreto-fuffa abbia effetti, li avrà dopo anni. E chissà come sarà, dopo anni, perfino un mercato ignobile come quello che si accaparra i beni di tutti. Si tratta di tempi lunghi e indistinti, mentre l’incalzare della speculazione e dei crolli bancari sono eventi brevi e impellenti, oltre che capaci di prosciugare multipli delle risorse “mobilitate” dal governo dei presunti tecnici. Per un governo che misura i miliardi a “paccate” (scuola Fornero), nulla di più patetico e cialtronescamente virtuale delle risorse evocate per l’economia reale.
Al partito della suddetta gazzetta conservatrice ciò basterà per cinguettare che questa è una svolta. Idem il Pd. Ma sono bugie senza futuro. Non possono promettere arrosti dopo che il fumo dura troppo mentre il governo del “risanamento” ci porta ormai alla soglia dei due trilioni di euro di debito. Come stupirsi che ci sia una corsa all’afferra afferra? Chi ha soldi li porta altrove, sempre di più, a finanziare i già ricchi (zona Berlino e Francoforte), o a tentare un’ulteriore giro nella giostra folle dei derivati e della finanza criminale (zona Londra e Wall Street). Una finanza così criminale che mai si meriterà un monito di Giorgio Napolitano, il king maker dei bancocrati pasticcioni.
Se si guarda in modo spassionato all’assoluta inutilità del “Decreto sviluppo”, si comprende la gravità delle prospettive per i decenni a venire. E chi regge il sacco a questi personaggi sarà da considerare pienamente corresponsabile.
Pino Cabras su Megachip
La soluzione per gli esodati c’è
I nostri economisti e giuslavoristi alla Ichino, questa volta per bocca de la voce.info hanno trovato l’uovo di colombo per risolvere il problema degli esodati. Intanto si afferma il principio che: Son cazzi vostri ( dei lavoratori) . Ma non detto in questo modo volgare, ma con l’eleganza e con la proprietà di linguaggio proprio dei professori che vogliono darti la supposta ma non dirti che farà male. Allora dicono:
LA SOLUZIONE C’È
Questa soluzione è tuttora possibile. Si basa su riduzioni attuariali delle pensioni per i lavoratori esodati o esodandi, pari circa al 2-3 per cento in meno per ogni anno precedente il raggiungimento della nuova età pensionabile. Al tempo stesso, bisognerebbe imporre ai datori di lavoro di continuare a versare per questi lavoratori i contributi sociali fino a quando questi maturano il diritto a una pensione piena. Chiaramente in questo quadro il datore di lavoro potrebbe anche optare per la reintegrazione dei lavoratori coinvolti e il lavoratore potrebbe cercare fonti di reddito alternative, tali da compensare la riduzione attuariale nella pensione, senza perdere il diritto a quest’ultima.
Notate la finezza e la proprietà di linguaggio. Intanto una certezza. Si adotta una riduzione pari circa al 2-3 per cento in meno per ogni anno precedente il raggiungimento della nuova età pensionabile. E su questo non si scappa. Da un piccolo calcolo assumendo che mediamente i lavoratori sono scoperti per circa 5-10 anni per il 2-3% annuo si arriverebbe ad una decurtazione di circa 10-30% della pensione. Su una pensione di 1000-1500 Euro si arriverebbe ad avere una pensione di 700-1000 dopo quarant’anni di lavoro e aver pianificato la propria vecchiaia su una pensione di 1500 Euro mensile. Una bella pensata non c’è che dire.
Poi però arriva il contentino il cui predicato verbale è un bisognerebbe rivolto ai contributi che gli ex datori di lavoro dovrebbero versare, seguito da un potrebbe sempre rivolto al datore di lavoro il quale dopo essersi inventato l’accordo riuscendo a levarsi di torno i lavoratori che gli davano fastidio e per giunta vecchi e con contratto a tempo indeterminato, per assumere carne fresca e giovane a tempo determinato, ora si dovrebbero riprendere quelli che ha cacciato dalla finestra. E per chi, con quale vantaggio , per quale motivo? Perché l’ha detto l’esimio professorone , tecnico economista , della voce.info?
L’avrà studiata tutta la notte, il professorone.
Reset Italia
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