mercoledì 23 gennaio 2013


Nil Nikandrov, Strategic Culture Foundation 22/01/2013

Lo scandalo del ‘team scientifico degli Stati Uniti’ è scoppiato, nonostante i tentativi dell’ambasciata degli Stati Uniti in Bolivia per metterlo a tacere. Nel giugno 2012, un team di circa 50 specialisti era arrivato nel Paese apparentemente per studiare gli effetti negativi dell’alta quota sugli esseri umani e sulla loro possibilità di un rapido recupero delle capacità di combattimento. Per evitare di attirare l’attenzione, gli statunitensi avevano dei visti turistici e attraversarono in piccoli gruppi il controllo delle frontiere. Un gruppo di questi specialisti si recò nella zona di Yungas, e un altro gruppo alle pendici del monte Chacaltaya. Delle escursioni ‘turistiche’ furono compiute nelle zone di confine con il Perù e il Cile.
Le attività della spedizione continuarono per alcuni mesi. Solo dopo una serie di articoli nei media statunitensi le autorità boliviane iniziarono ad indagare. Il
Vicepresidente Alvaro Garcia aveva dichiarato che le attività degli ‘studiosi’ statunitensi nel Paese erano assai dubbie. Inizialmente, assicurarono che indagavano sui problemi di adattamento umano alle alte quote. Poi  annunciarono che gli esperimenti venivano effettuati nell’interesse delle truppe degli Stati Uniti/NATO in Afghanistan. Ecco, più di dieci anni di guerra contro i talebani, con i termini per il ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan che si avvicinano, e il Pentagono si ricorda improvvisamente del problema ‘delle alte quote’! 
Naturalmente, dopo queste spiegazioni confuse, si fece l’ipotesi che non tutti questi statunitensi fossero scienziati.
Ufficialmente, la spedizione era guidata da Robert Roach dell’Università del Colorado, ma in realtà, il ‘gruppo di ricerca’ era subordinato a ufficiali dei servizi segreti militari statunitensi (Defense Intelligence Agency – DIA) … In Bolivia, il loro lavoro era coordinato dall’attaché militare dell’ambasciata degli Stati Uniti. Il col. Mathes Patrick e il suo personale fornirono la copertura operativa. 4 milioni di dollari di fondi furono stanziati dalla DIA del Pentagono per le spedizioni scientifiche e le attività di intelligence. Effettuare simili operazioni senza l’autorizzazione formale del paese ospitante è una aperta sfida per dimostrare disprezzo per le leggi della Bolivia e la sua leadership.
Secondo il Vicepresidente Garcia, si tratta di un “aggressione alla sovranità del Paese, e della preparazione di un attacco militare contro la Bolivia.” Tale dichiarazione ha un fondamento. Al primo segnale dello scandalo, Mathes ha lasciato la Bolivia e il colonnello Dennis Fiemeyer è divenuto l’attaché militare. 

E’ considerato uno dei maggiori esperti del Pentagono sul Sud America. In precedenza ha lavorato in Paraguay e Perù, ed è consapevole dell’equilibrio di potere nella regione, della strategia della Bolivia per avere l’accesso all’Oceano Pacifico, dello stato attuale delle forze armate boliviane e delle loro capacità di difesa. L’esercito statunitense attribuisce importanza nel monitorare costantemente i sentimenti nell’esercito, nel reclutare agenti ed utilizzare ‘dissidenti’ per destabilizzare e rovesciare ‘il regime di Morales’. “Il governo degli Stati Uniti ha abusato della nostra fiducia e generosità“, ha detto il Vicepresidente della Bolivia. “Questo è un segnale molto negativo, sullo sfondo dei tentativi di ripristinare delle piene relazioni diplomatiche tra i due paesi. Non possiamo restare indifferenti di fronte a questa aggressione. Abbiamo il diritto di adottare misure per evitare che una cosa del genere accada di nuovo. L’esecutivo intende mantenere sotto costante sorveglianza tutte le azioni dei rappresentanti del Nord America in Bolivia”.
L’ambasciata degli Stati Uniti è ostile fin dall’inizio al presidente indiano Evo Morales, e ha cercato di impedirne l’ascesa al potere nel 2006 e la rielezione alla presidenza nel 2010. Per sbarazzarsi di Morales, e rimettere la Bolivia sotto il controllo di Washington, i servizi segreti degli Stati Uniti hanno usato ogni opportunità per condurre una ‘guerra segreta indiscriminata’ tra cui la direzione di gruppi terroristici. I terroristi superstiti e i loro complici sono poi fuggiti dalla Bolivia negli Stati Uniti. Lungo i confini con la Bolivia, il Comando Sud degli Stati Uniti ha stabilito basi militari a Iquitos (Perù), Concon (Cile) e Mariscal Estigarribia (Paraguay). L’attuale presidente del Paraguay Federico Franco, salito al potere con un complotto sostenuto dagli USA, coopera con il Pentagono e agisce da nemico coerente del processo d’integrazione del continente perseguito dai paesi dell’ALBA, l’Alleanza Bolivariana per i popoli dell’America Latina.
Il Paraguay è considerato dal Pentagono una base importante da cui avviare la destabilizzazione della Bolivia. Per questo motivo, una campagna di informazione e propaganda è stata lanciata in Paraguay “per allertare contro l’esportazione della rivoluzione bolivariana” in Paraguay. Gli analisti politici non escludono che la ‘risposta adeguata’ del regime fantoccio del Paraguay agli ‘atti ostili di Morales’ possano portare all’attuazione ‘dello scenario siriano’. La Bolivia è considerata dagli analisti dei servizi segreti degli Stati Uniti un punto debole del blocco per l’integrazione ALBA.
Tendenze separatiste nelle regioni pianeggianti della Bolivia persistono. L’insoddisfazione delle élites tradizionali  diventa sempre più radicale, perché scontente che il Paese a maggioranza indiana sia governato da ‘marxisti’ che imitano le esperienze di Cuba e del Venezuela. Gli episodi di corruzione che hanno coinvolto funzionari governativi sono stati gonfiati dai media, compromettendo gli aspetti positivi che Evo Morales e i suoi collaboratori hanno ottenuto durante la presidenza. Il conflitto nelle relazioni tra gli indiani e le popolazioni bianche rimane e viene usato dai servizi segreti degli Stati Uniti per rafforzare le posizioni dell’opposizione. Washington esprime sempre le stesse lamentele su Morales:  mantenimento di relazioni amichevoli con l’Iran, rafforzamento dei legami, anche militari, con la Cina, e non aver fatto abbastanza nella lotta contro i cartelli della droga.
Dopo quattro anni di assenza dell’ambasciatore statunitense da La Paz, un raggio di speranza era finalmente spuntato diretto alla normalizzazione delle relazioni bilaterali. Washington aveva annunciato la sua intenzione di inviare il diplomatico James Nealon in Bolivia, che ha trenta anni di esperienza di lavoro nel dipartimento di Stato. L’ultimo ambasciatore degli Stati Uniti era Philip Goldberg, che nel settembre 2008 fu dichiarato persona non gradita dal Ministero degli Esteri boliviano, per aver avuto contatti con i separatisti e per il finanziamento delle attività sovversive delle organizzazioni non governative. Goldberg ha cospirato quasi apertamente, confidando nel fatto che la leadership boliviana non avrebbe osato toccarlo. Ma ha dovuto fare i bagagli in fretta. Anche perché Goldberg, quando parlava ad alcuni colleghi occidentali del corpo diplomatico, si scatenava in insulti razzisti contro Morales. I boliviani hanno imparato da quell’evento.
Prima di arrivare in Bolivia, Goldberg aveva la reputazione di specialista nel ‘rovesciamento di regimi ostili’, che non aveva smentito. La Paz ora intende condurre uno studio approfondito della vita diplomatica di Nealon, per eventuali ‘contraddizioni’ e per vedere se ci sono prove del suo coinvolgimento in operazioni sovversive in America Latina. La decisione sarà presa sulla base dei risultati dell’inchiesta. Al momento, l’unico materiale che comprometterebbe lo statunitense è una pubblicazione su WikiLeaks: in un documento di analisi inviato al dipartimento di Stato da Lima, Nealon definisce  Evo Morales presidente anti-sistema e prevedeva un impatto negativo della sua politica radicale sul progresso economico del Perù e la popolazione indiana di quel paese. Nealon ha anche osservato che Morales ‘adottava misure’ per destabilizzare il governo leale agli Stati Uniti del presidente peruviano Alan Garcia, cercando il sostegno dei ‘regimi radicali’ di Venezuela ed Ecuador. Quindi, in termini di interessi nazionali statunitensi, l’interpretazione di Nealon è che Morales sia un personaggio estremamente pericoloso. Che tipo di obiettività ci si può aspettare da questo statunitense, se dovesse arrivare a La Paz? Tra l’altro, risultano pochi dati relativi a Nealon su Wikileaks. È un diplomatico esperto che ha lavorato in Cile, Uruguay, Perù e Canada, ma non viene menzionato in corrispondenza regolare con il dipartimento di Stato. Ciò suggerisce una conclusione: Nealon ha lavorato per un altro ufficio, la CIA.
L’impressione è che la leadership boliviana non sia troppo interessata alla presenza dell’ambasciatore degli Stati Uniti a La Paz. I timori di Morales e della sua squadra sono comprensibili. La Bolivia è sottoposta a complessi attacchi destabilizzanti nei fronti interni ed esterni. Nel paese una ‘quinta colonna’ si è di recente consolidata. Il governo ha annunciato l’intenzione di verificare la legittimità delle operazioni di 22 organizzazioni non governative, la fonte delle loro finanze e la conformità delle loro vere attività con i rispettivi statuti. L’opposizione mostra apertamente i suoi rapporti con l’ambasciata degli Stati Uniti. Al recente congresso del partito “Movimento senza paura” (MSM), Geoffrey Schadrack, il capo della CIA nel paese e consigliere politico all’ambasciata degli Stati Uniti, era stato invitato. Il MSM si presenta quale partito della destra conservatrice che si oppone al governo del MAS.
La Bolivia ha difficoltà nelle sue relazioni con i paesi vicini, Paraguay, Perù e Cile. Rivendicazioni concorrenti, situazioni di conflitto e accuse di ‘gioco sporco’ persistono. Washington con coerenza e competenza pone un cuneo conflittuale nella regione. Particolare attenzione viene rivolta alla questione indiana e all”incitamento’ della Bolivia nei tentativi di ‘rivoluzionare’ i movimenti indiani di questo paese. Ciò crea le condizioni per un futuro conflitto. L’imputato principale è già noto.
É gradita la ripubblicazione con riferimento alla rivista on-line della Strategic Culture Foundation.
Traduzione di Alessandro Lattanzio - SitoAurora

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