mercoledì 30 gennaio 2013






La colpa del debito pubblico è dello Stato sprecone? O c'entra qualcosa il modo col quale lo stato si finanzia?


Europa: "Lasciate ogni speranza voi che v'entrate", Slovenia a rischio fallimento!

La crisi lontana dalla politica di systemfailureb -  

La campagna elettorale sta entrando nel vivo, ma, com’era facile prevedere, visti gli attori in campo, i temi veri, quelli che afferiscono al futuro del paese ed alla sua capacità di vincere le sfide che ha davanti, rimangono inspiegabilmente sullo sfondo.

E tra i temi veri, vale la pena ricordarlo, c’è quello che riguarda i nostri impegni con l’Unione Europea e le sue strutture tecnico-finanziarie. Insieme a quello, correlato, della compatibilità del nostro diritto al futuro con le scelte finora compiute sul terreno della costruzione dell’Europa monetaria.

Nel luglio del 2012 il nostro Parlamento ha ratificato, in un clima che potremmo definire
inerziale, due importanti trattati, quello sul Fiscal Compact e quello sul Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), di cui abbiamo parlato qui.

Il primo impegna il nostro paese a ridurre il debito pubblico nei prossimi venti anni, fino a portarlo entro la soglia stabilita dal Trattato di Maastricht (60% del PIL). Considerato che il debito italiano ammonta ormai a circa 2000 miliardi di euro, che in rapporto al prodotto interno fa il 127%, per raggiungere l’obiettivo del trattato bisognerà rastrellare circa 900 miliardi di Euro in venti anni, 50 ogni anno, 150 milioni ogni giorno.

Il secondo è riferito invece all’istituzione del cosiddetto “Fondo Salva Stati”, un plafone di 650 miliardi di Euro che l’Europa metterebbe a disposizione, previa accettazione di vincoli draconiani dal lato della riduzione della spesa, dei paesi a rischio bancarotta. Chi alimenterà questo portafoglio? Gli Stati membri, in rapporto alla loro ricchezza (PIL). L’Italia ha dovuto sottoscrivere quote per il 18% dell’intero capitale, per un importo di circa 125 miliardi di Euro, da versare in 5 anni.

La prima domanda che sorge snocciolando queste cifre è questa: dove prenderà i soldi il nostro paese per onorare questi impegni? Stiamo parlando infatti di cifre vertiginose, tanto grandi da apparire immediatamente incompatibili con le disponibilità finanziare dello Stato, specie in questa fase etichettata con la parola “crisi”.

Evidentemente,come il governo dei professori ci ha anticipato, una parte dei quattrini necessari per “stare in Europa” dovrà venire da una contrazione significativa della spesa e da un inasprimento generalizzato della pressione fiscale, diretta ed indiretta.
Ergo, meno servizi e tutele per i cittadini, meno stato sociale, più tasse. Con tutte le conseguenze, in termini di recessione economica e di crescita della povertà, che una simile spirale porta inevitabilmente con sé.

Ma questo non sarà sufficiente, perché oltre una certa soglia, nei tagli al welfare, non si potrà andare, pena l’annientamento della nostra società. E questo il Meccanismo di Stabilità l’ha previsto, stabilendo che i paesi membri, per finanziare il “Fondo salva stati” potranno fare nuovo debito pubblico.

Ricapitoliamo. La crisi in atto è sta battezzata come “crisi del debito”. Quotidianamente i mass media ci informano che la stabilità finanziaria dell’Europa passa attraverso il controllo e la riduzione dei debiti sovrani degli stati membri. E in questa direzione andrebbero sia l’obbligo del pareggio di bilancio, peraltro costituzionalizzato, sia le clausole del Fiscal Compactappena richiamate. In Italia ciò sarebbe maggiormente rilevante a causa dell’enorme debito accumulato negli anni ed al suo peso in rapporto alla ricchezza nazionale (PIL).
Tutto chiaro? Tutto lineare? Nemmeno per sogno.

Proprio il meccanismo principe della stabilità finanziaria europea, il MES, messo in piedi per non far fallire gli stati membri dell’Unione con più alto e tortuoso debito pubblico, prevede che quest’ultimo si può nondimeno aumentare per riempire le sue casse.

C’entra qualcosa tutto ciò col fatto che il debito pubblico italiano negli ultimi mesi ha subìto un’impennata turbinante, portandosi al di sopra dei 2000 miliardi di Euro? Certo che c’entra.

Come dimostrano le stime della Banca d’Italia, all’inizio del 2012 il debito pubblico italiano era poco sopra i 1.900 miliardi di Euro. Oggi siamo a circa 2020 miliardi di Euro. Nei 120 miliardi di differenza ci sono anche i versamenti che il paese ha fatto al “Fondo salva stati”. Una contraddizione gigantesca: si strangola l’economia con misure di austerità per uscire dalla “crisi del debito”, e, nello stesso tempo, quest’ultimo lievita a dismisura, anche per effetto delle stesse strategie volte a ridurne la consistenza.
C’è una logica in tutto ciò? Apparentemente no. Se diamo però un’occhiata a quello che è accaduto in quest’ultimo anno sul versante della (cosiddetta) lotta alla speculazione qualche spiraglio di luce inizia ad aprirsi.

Nel mese di dicembre del 2011, quando i venti della speculazione soffiavano particolarmente forti, la Bce ha accordato a 523 banche private europee finanziamenti per circa 500 miliardi di Euro, ad un tasso fisso agevolato del 1%. Una cifra enorme, con la quale le banche hanno, prevalentemente, acquistato Titoli di Stato, ad un rendimento fino al 5-6 %.
Se guardiamo al nostro paese, i dati della Banca d’Italia a tal riguardo parlano chiarissimo: a cavallo tra il 2011 e la fine di gennaio del 2012, quindi immediatamente dopo l’asta della Bce del 21 dicembre, le banche italiane hanno acquistato BTp e ed altri titoli affini per un importo di circa 30 miliardi di Euro, passando, in termini di portafoglio complessivo, da 209 miliardi a 237 in un solo mese.

Una cosa simile si è verificata anche qualche mese dopo, a seguito della seconda asta della Bce, nel mese di febbraio del 2012, con la quale sono stati assegnati ben 530 miliardi di Euro a 800 banche europee. E siamo a 1000 miliardi in tre mesi! Un importo pari alla metà del nostro gigantesco debito pubblico. Capito?

La giostra europea funziona più o meno così:

lo Stato si svena verso l’Europa, tassando i propri cittadini, tagliando servizi, cancellando diritti, emettendo nuovi titoli del debito pubblico
l’Europa, a sua volta, prende questi soldi e li dà a banche private, che hanno perso liquidità per proprie imprese finanziarie fallimentari, quasi a gratis
le banche, prendono questi soldi, e cosa fanno? Aprono il portafoglio e finanziano le imprese? No, li prestano agli stati comprando il loro debito, ad un tasso di interesse 4-5 volte superiore a quello con cui li hanno ricevuti.
I soldi, insomma, sono sempre gli stessi, ma in questo gioco incredibile c’è, ovviamente, chi vince e chi perde. I primi si chiamano banche e speculatori finanziari, i secondi cittadini d’Europa.

In questo quadro l’obiettivo della riduzione del debito, e quello del pareggio di bilancio, più che il fine costituiscono il mezzo attraverso il quale si finanzia la speculazione finanziaria. C’è “crisi” si dice, ma nella “crisi” qualcuno ci sta guadagnando. E questo qualcuno si chiama “banche”. Solo quelle italiane, nell’anno che è appena trascorso, avrebbero guadagnato, investendo i soldi ricevuti dalla Bce, più di 15 miliardi di Euro.

I conti tornano. E quelle cose che più indietro potevano apparire contraddittorie, in questa nuova ottica si ripresentano in tutta la loro coerenza. Intanto la politica italiana continua a trastullarsi nel suo teatrino.

Tanto del nostro destino se ne occupano altrove.


La manovra correttiva di cui nessuno parla
Lo stato delle finanze pubbliche rende necessaria una correzione. Tremonti parla di tagli per 14 miliardi 

Matteo Mascia

La campagna elettorale si sta rivelando una prova muscolare tra le varie forze in campo. Slogan, proposte, controproposte ed attacchi frontali. L’elettore che voglia vederci chiaro non può fare affidamento sulle dichiarazioni dei candidati. Confuse, contraddittorie e – in alcuni casi – persino mistificatorie. Alcuni temi sono deliberatamente elusi. Non si parla di esteri, nulla assoluto sulla politica industriale, zero sul piano energetico nazionale. Argomenti strategici per tentare di sostenere concretamente l’economia.
I maggiorenti di centrodestra e centrosinistra si limitano ad un copione fatto di promesse e rassicurazioni. Nessuno ha avuto il coraggio di spiegare su quali voci del bilancio dello Stato intende intervenire. La spesa corrente dovrà però essere limitata nei prossimi mesi. Secondo l’ex ministro Giulio Tremonti, devono essere trovati entro dicembre quattordici miliardi di euro. Una cifra ragguardevole, soprattutto in un contesto di forte recessione. Chiunque vinca le elezioni, avrà l’opportunità di organizzare una “prova generale” di applicazione del famigerato “fiscal compact” (in vigore dal 2014). Le norme comunitarie di finanza pubblica prevedono infatti un volume di tagli pluriennali molto simile. Pd e Pdl non vogliono fare chiarezza. Una cosa è certa, è impossibile procedere alla riduzione di Irpef e Irap.
Con gli attuali dati sarebbe molto difficile anche rinunciare al gettito garantito dall’Imu sulla prima casa. Le leggi di stabilità vengono calibrate in base a delle stime sulla situazione macroeconomica, la costante diminuzione del prodotto interno lordo e l’impennata della disoccupazione costringono ad una correzione contabile. Con il crollo verticale dei consumi anche il gettito Iva non può raggiungere quello previsto da bilancio e documenti finanziari. Le scelte degli ultimi tredici mesi avranno quindi un’eredità pesantissima. I successori di Mario Monti saranno messi nella condizione di non poter svolgere una programmazione economica. Gli sforzi dovranno essere concentrati sul reperimento delle risorse necessarie al raggiungimento del pareggio di bilancio. Una necessità imposta da una gravissima modifica dell’articolo 81 della Costituzione. Il sol pensiero di nuovi tagli fa venire i brividi. Il sistema sanitario nazionale è in forte difficoltà, i Comuni italiani sono stati scippati di miliardi di euro e lo stato sociale è ridimensionato per “ragioni di cassa”. La retorica europeista porterà poi a fare dichiarazioni dal contenuto menzognero rispetto all’impegno del pubblico in economia o alla qualità del nostro apparato burocratico.
Parole utili ad impedire che si sviluppi un qualsiasi dibattito costruttivo. Bisogna rispondere, punto per punto e numeri alla mano, a tutti quelli che promettono riduzione delle imposte e, addirittura, elargizione di contributi ad alcune imprese. Sono le stesse persone che negli ultimi quindici anni hanno fatto di tutto per affossare il nostro sistema produttivo. In qualche caso consapevolmente, altre volte perché influenzati dalle strategie dispensate dai palazzi di Francoforte e Bruxelles. L’investimento pubblico in economia deve tornare protagonista nel breve periodo. Tutte le crisi degli ultimi due secolo sono state risolte in queste modo.
Ci risulta davvero difficile credere che i “soloni dell’austerity” abbiano la soluzione in tasca. L’Unione Europa rischia di ritrovarsi ad officiare il funerale del Vecchio Continente; un compito in cui sarà affiancata dai partiti italiani responsabili di una condotta ambigua nei suoi confronti. Segretari e candidati devono avare il coraggio di calare le proprie carte sul tavolo. Gli elettori hanno il diritto di sapere dove si farà economia per raggiungere un taglio da trenta miliardi di euro in due anni. Ovviamente, le sigle in corsa opteranno per la via del silenzio. All’operazione verità è molto più facile preferire un piano opaco o poco chiaro. Bersani ha chiarito più volte di non voler “raccontare le favole”, Monti promette di abbassare la pressione fiscale, Berlusconi annuncia il taglio dell’Imu e degli incentivi per chi assume, Ingroia sventola la bandiera della patrimoniale. Escludendo Mario Monti, nessuno di questi signori ha consapevolezza in merito alla reale situazione dei forzieri pubblici.
Probabilmente, a qualche mese dalla chiusura delle urne, tutto si risolverà con una manovra plurimiliardaria votata con procedura fiduciaria da Camera e Senato. Se qualcuno proverà a lamentarsi gli si risponderà con un sempre valido: “È l’Europa che lo chiede!”. Un film già visto. La sovranità in materia contabile sembra un ricordo del passato. Senza una politica votata alla crescita e senza una rivoluzione in campo monetario andrà sempre peggio.


28 Gennaio 2013 Rinascita

1 commenti:

  1. Ciao Barbara, ma è mai possibile che governi, banche e multinazionali la facciano sempre franca e a pagare siano sempre e solo i cittadini? Ma di che ripresa parlano questi pseudo-politci ladri, della Bastiglia?!? Alcuni piccoli partiti hanno in programma il ritorno alla sovranità monetaria, in ogni caso se verranno eletti riusciranno ad attuarlo in un governo dominato dai banchieri? Un giornalista che faccia questo tipo di domande a un politico, esiste ancora? Invece di mandare le scimmie nello spazio perchè non spediamo i criminali che ci governano, sola andata! Ce lo chiede l'Europa!

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