venerdì 30 marzo 2012

“Marcire… non marciare!”: avvertimenti sionisti in vista della Marcia su Gerusalemme del 30 marzo

di Enrico Galoppini

Le autorità dello Stato sionista hanno parlato chiaro: “No pasaran!”.

I “fascisti”, in questo caso – e certamente anche un po’ “antisemiti” – sono i ‘marciatori’ che il 30 marzo, dalle frontiere dei paesi limitrofi cercheranno di attraversare il confine per recarsi a Gerusalemme e perciò “liberarla”.

Si tratta, com’è evidente, d’una iniziativa simbolica, poiché non è sensatamente immaginabile che delle persone disarmate, ancorché in numero non trascurabile, riescano a bucare le fittissime maglie dello Stato più protetto del mondo. E difeso da una cortina propagandistica che non ha eguali, poiché, com’ebbe a dire qualcuno: “I media non sono sionisti… i media sono il Sionismo!”.

Eppure, forse ringalluzzito dalla (scontata) impunità dopo l’assassinio deliberato di alcuni attivisti turchi a bordo della prima Freedom Flotilla, Israele minaccia fuoco e fiamme anche all’indirizzo dei “pacifisti” che questa volta hanno optato per la via di terra, anche perché proprio il 30 marzo è “la Giornata della terra”, celebrata ogni anno dai palestinesi e dai loro sostenitori in tutto il mondo.

L’accusa, in caso di superamento dei confini (o di semplice “eccessivo” avvicinamento), sarà quella di “ingresso illegale”, così, per evitare di mettere in galera un bel po’ di gente e doverle perciò mantenere ‘vitto e alloggio’, da Tel Aviv hanno inviato “lettere” ai governi di Giordania, Egitto, Libano, Siria (“primavera” o no, non fa differenza), oltre che alle due “autorità” che si contendono la scena palestinese, quella di Ramallah e
quella di Gaza (in Palestina, per la cronaca, siamo ancora in pieno “inverno”!).

Le parole d’ordine della “Global March to Jerusalem” non sono certo di quelle che fanno tremare i polsi. Le riportiamo direttamente in inglese, poiché la campagna è internazionale: “Freedom for Jerusalem”, “No Occupation”, “No Ethnic Cleansing and Segregation”, “No for Judaising of Palestine, its land and holy sites”. Non sono propriamente quel che si dice una “dichiarazione di guerra”, eppure in Israele è massima allerta, e poco ci manca che non si gridi al “complotto antisemita” e agli immancabili “Protocolli”.

Come andrà a finire è praticamente scontato. Tafferugli e tensione a non finire ai vari punti di frontiera, un bel po’ di manganellati e avvelenati dai lacrimogeni, altri rintontiti dalle bombe sonore, qualcheduno acciuffato, e pure qualche malcapitato che ci rimetterà un occhio senza sapere chi ‘ringraziare’; nell’ipotesi peggiore ci scapperà il morto – magari anche più d’uno - e chi s’è visto s’è visto, anche se dovesse trattarsi di un cittadino di “serie A” (occidentale), perché quando ti metti contro il Sionismo decàdi di fatto dalla protezione da parte delle tue “autorità” (che in tal modo rivelano a chi davvero obbediscono).

Come ho già sostenuto in altre occasioni, non ci si deve illudere di spuntarla con argomenti razionali, per di più da “tribune” che non hanno alcuna possibilità di competere con quelle di cui questi filibustieri sono dotati, accreditandole col passare del tempo presso un pubblico di fessacchiotti, menefreghisti e opportunisti. Loro hanno “ragione” per definizione, così se la cantano e se la suonano sui cosiddetti “mezzi di informazione”, tutti saldamente in mano loro: manifesti pacificamente e ti mandano in carrozzella a vita? Eh, dovevi startene a casa, te la vai a cercare! Un ente internazionale sui “diritti umani” che già fa le pulci a tutti osa commentare i comportamenti dell’“unica democrazia del Medio Oriente”? In quattro e quattr’otto s’interrompono unilateralmente i rapporti con l’ente in questione. E nessuno che s’azzarda a proferire parola: loro escono sbattendo la porta, ma tutti gli altri ‘comuni mortali’ sono obbligati a rispettare gli “standard” (di “democrazia”, “libertà”, “diritti umani” ecc.). Anzi, sono questi enti, solitamente inflessibili, ad essere sottoposti alla “valutazione” dell’occhiuta Lobby che guida il Sionismo.

È questo l’aspetto davvero insopportabile della storia. Che ciascuno faccia il suo tornaconto, su un certo piano è persino comprensibile. Ma che gli si trovi sistematicamente una giustificazione, e nessuno si azzardi a criticare questi campioni dell’arroganza planetaria, questo è sinceramente inaccettabile e indegno di esseri umani che vogliono ancora concepirsi come tali, e non come “pecore matte”.

Fino a quando andrà avanti, ad esempio, l’assedio alla popolazione della Striscia di Gaza? Dobbiamo credere che sia più grave “marciare” – disarmati! - in direzione di Gerusalemme, o marcire in un fazzoletto di terra sottoposto ad embargo e bombardamenti da oltre quattro anni? Qua, se solo va via la corrente elettrica una mezza giornata succede una tragedia (con alte lamentazioni sui “danni alla produzione”), ma a Gaza sono regolarmente più le ore senza di quelle con la centrale in funzione. Qua, si mette il bollino “adatto ad un pubblico adulto” ad un film (ma che vorrà mai dire? Se un film “non è adatto”, non lo è proprio per nessuno: mica che un adulto può sorbirsi tutto lo schifo senza venirne devastato!), ma lì i bambini ne hanno viste di cotte e di crude, senza che alcun famoso “psicologo” si muova a compassione.

Come da copione, Israele lancia le parole d’ordine della “provocazione”, del “diritto di esistere” in pericolo, dell’orda che va ammassandosi alle frontiere. Che buffi che sono: predicano (agli altri) il “mondo globale”, lodano (per gli altri) le virtù dell’ibridazione e della “società multietnica”, propinano (agli altri) bei discorsi sul valore e la necessità della “accoglienza”. E che fanno se bussi alla loro porta (blindata)? Come minimo rischi una “ispezione corporale”, e passando per delizie quali il sequestro di persona e la tortura, c’è pure il rischio di tornare a casa orizzontale, in una bella bara. Ché, se sei un palestinese che intende tornare “illegalmente” a casa sua, è praticamente l’eventualità più probabile. Uno strano modo di concepire i “diritti dei migranti”, non c’è che dire!

Strani “migranti” i palestinesi. Non piacciono praticamente a nessuno, men che meno allo stesso sistema che impone un acritico rispetto per una categoria che, nell’immaginario “progressista”, ha sostituito quella del “proletario”. In maggioranza esuli e rifugiati, addirittura in casa propria, vivacchiano negli Stati limitrofi, in attesa dell’agognato “ritorno”. Per essi, dunque, alternative non esistono: “marciare non marcire”, come dicevano i Futuristi un secolo fa.

Ma dall’“unica democrazia del Medio Oriente” è giunto l’avviso perentorio: “Marcire… non marciare!”

European Phoenix


Hamas pubblica documento su riunione segreta tenutasi ad Amman

Vari siti di informazione vicini al movimento di resistenza islamico palestinese Hamas hanno pubblicato gli atti di una riunione tenutasi nella capitale della Giordania lo scorso 27 febbraio.

Nella riunione, nella quale si discuteva il rafforzamento del blocco contro Gaza, avrebbero partecipato rappresentanti dei servizi segreti palestinesi, israeliani, statunitensi, egiziani e giordani.

Diverse agenzie stampa palestinesi hanno pubblicato la notizia insieme ad una lettera del capo dei servizi segreti dell'Autorità Palestinese a Ramallah (riprodotta nella foto).

Secondo la lettera, gli organismi di intelligence presenti all'incontro si sono accordati nel rafforzare il blocco israeliano, mediante la riduzione della somministrazione di combustibile e medicine a Gaza ed esercitando maggiori pressioni su Hamas affinché "riconosca gli accordi firmati tra Autorità Palestinese e Israele".

La lettera menziona inoltre la "pressione araba su Hamas affinchè impedisca il lancio di missili sulle colonie israeliane e la cooperazione tra servizi segreti israeliani, quelli dell'AP e i paesi vicini (Egitto e Giordania)".

Di fatto "il primo segno di questa coordinazione è stato reso evidente dal permesso concesso dalle forze speciali egiziane a Israele per entrare nel Sinai con il fine di vigilare e controllare i canali di ingresso del combustibile. Questa pressione cerca di sottomettere Hamas alle condizioni per la riconciliazione, in accordo alla visione di Sua Eccellenza il Presidente Abbas ed i servizi di sicurezza alleati".

In risposta, l'Autorità Palestinese ha negato ogni partecipazione nella riunione menzionata, affermando che la notizia e la lettera sono "falsi".

A causa della mancanza di combustibile, le interruzioni di elettricità a Gaza "durano fino a 18 ore al giorno". Dal 2011 l'unica centrale di energia di Gaza, che fornisce un terzo di elettricità al territorio palestinese, riceve carburante egiziano attraverso i tunnel tra Rafah e l'Egitto.

Alcuni giorni fa, durante un comizio tenuto a Gaza, un membro dell'ufficio politico di Hamas, Khalil al-Hayeh, aveva avvertito che il movimento era in possesso di informazioni relative a riunioni segrete per rafforzare il blocco contro Gaza alla quale avevano partecipato alti responsabili statunitensi e israeliani insieme a responsabili politici e della sicurezza dell'Autorità Palestinese a Ramallah e di paesi arabi legati all'occupazione sionista. Il dirigente del movimento di resistenza palestinese aveva promesso di rivelare presto i nomi delle persone e dei paesi che avevano partecipato a queste riunioni, parlando anche del tentativo di un colpo di Stato contro Hamas.

Un altro responsabile di Hamas, Mushir al-Masri, aveva da parte sua dichiarato: "Mentre a Il Cairo i palestinesi si riunivano per giungere ad un accordo di riconciliazione tra Hamas e Fatah, i dirigenti dell'Autorità Palestinese parlavano con gli occupanti israeliani e gli americani per preparare un piano contro Gaza e il popolo palestinese".

European Phoenix

Il principe del Bahrain guida la repressione a Sitra


Secondo alcuni filmati pubblicati da militanti e attivisti su vari siti internet, Sheikh Nasser Ibn Hamad Al Khalifa, il principe del Bahrain, figlio del re e capo delle guardie reali, starebbe guidando le operazioni di repressione nell'isola di Sitra, in Bahrain. I filmati mostrano come Sheikh Nasser si prepari a prendere parte nelle repressioni contro le manifestazioni pacifiche e non-violente iniziate ormai da tempo dai residenti nell'isola.

Gli attivisti in Bahrain hanno confermato che i figli del re, incluso Khalid Nasser, in concomitanza con altri membri della tirannica famiglia reale, siano tra coloro "direttamente" coinvolti nella violazione dei diritti umani contro il popolo del Bahrain.
Shaykh Mohammad Habib al-Miqdad, un religioso all'opposizione in Bahrain, è stato detenuto un anno fa nelle prigioni del regime. Questi ha affermato che il figlio del re Nasser lo ha torturato durante la sua detenzione nel marzo 2011 fino al giorno in cui è stato rilasciato.

Nel paese del Golfo Persico vengono testimoniate quotidianamente proteste anti-regime in cui la popolazione si oppone alla repressione brutale contro i manifestanti pacifici. Il popolo chiede la liberazione dei prigionieri innocenti che sono stati arrestati per aver chiesto riforme nel paese.
European Phoenix


Arabia Saudita: decapitata perché strega


Decapitazione. In Arabia Saudita, nella provincia settentrionale di al-Jawf, è stata decapitata per i reati di "magia" e "stregoneria" Amina bint Abdul Hamid bin Salem Nasser. Nonostante il taglio della testa rappresenti una pena obsoleta per la maggior parte dei Paesi in cui vige la pena di morte, in Arabia Saudita viene ancora praticato. Nel corso del 2011, prima dell'esecuzione di Amina, si era assistito infatti, nella città di Medina, alla decapitazione, sempre per stregoneria, di un sudanese che, in realtà, si era "reso colpevole" di aver denunciato il fatto di essere stato costretto a confessare sotto tortura e al quale era stata negata la difesa da parte di un avvocato.

Esecuzioni. In Arabia Saudita la Sharia viene interpretata in modo molto rigido e ciò determina una larga applicazione della pena di morte. Le esecuzioni avvengono tramite impiccagione, lapidazione e decapitazione, condanna quest'ultima, maggiormente "in voga". Diversi sono i reati che possono condurre alla pena capitale: omicidio, stupro, rapina a mano armata, narcotraffico. Sono condannati a morte inoltre, coloro che vengono accusati di omosessualità, rapina su autostrada, stregoneria, adulterio, sabotaggio ed apostasia.

Morte di Stato. In Arabia Saudita nel 2011 sono state eseguite 79 condanne a morte, nel 2010 27 e nel 2009 67. Il record però, è stato raggiunto nel 1995 quando furono uccise dallo Stato 191 persone di cui, più della metà, erano di nazionalità straniera. Amnesty International denuncia le tantissime esecuzioni determinate dall'iniquità dei processi nel Paese Arabo dove agli imputati è stata negata molte volte la difesa da parte di un avvocato. Tragica la situazione degli immigrati, soprattutto di coloro che provengono dal Medio Oriente, dall'Africa e dall'Asia; spesso non vengono informati della conclusione del processo e del fatto di essere destinati alla pena capitale. Si sono verificati, addirittura, alcuni casi in cui i detenuti hanno scoperto di essere stati condannati a morte solo quando sono stati portati nel luogo dell' esecuzione.

Morte dei diritti. Diritti umani e dignità della persona vengono sistematicamente disattesi nel Paese arabo. Ancora oggi si assiste al vergognoso spettacolo di un condannato a morte trascinato in un cortile davanti a una moschea dove gli vengono legate le mani e viene fatto inginocchiare ai piedi di un boia, pronto a decapitarlo con la spada sguainata, davanti a una folla eccitata che urla "Allah Akbar" ("Dio è grande").

Moratoria. Lo denunciano organizzazioni, come Nessuno tocchi Caino che, da anni, lotta contro la pena di morte. Anche Amnesty International si sta mobilitando per porre fine a questa situazione chiedendo una moratoria sulle esecuzioni in Arabia Saudita. Questo Paese infatti, è l'unico ad aver respinto, circa un anno fa, la risoluzione dell'assemblea generale dell'Onu che riguardava una moratoria sulle esecuzioni in tutto il mondo.

Giovanna Fraccalvieri

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