mercoledì 13 novembre 2013

Sono solo "scoraggiati" o "choosy" o semplicemente prendono atto dell'assoluta inutilità costituita dai "centri per l'impiego", necessari solo a giustificare il collocamento di impiegati ed a gestire costosi corsi di formazione che  non servono a procurare contratti di lavoro stabili? Siamo addirittura arrivati a far pagare i tirocinanti per poter costruire un curriculum. La dice lunga sul senso dei diritti sociali e del lavoro che vige in questo paese tanto evoluto dove non esiste in reddito di cittadinanza ed i diritti da tutelare sono solo quelli definiti "civili". Negare quindi un reddito ad indigenti e disoccupati non deve essere considerato un atto di civiltà. Naturalmente è possibile leggere di questo "sospetto" su un giornale in lingua italiana ma che si occupa di faccende di un'altra nazione. I pennivendoli italiani sono a libro paga, mai oserebbero anche solo avanzare una domanda sull'utilità o il funzionamento di questi centri.
Barbara

In Italia è un lavoro trovare lavoro 

Marco Fontana, Redazione Online 

Se guardiamo ai dati sull’efficacia dei nostri servizi per l’impiego, non rimane che mettersi le mani nei capelli. Oggi, in Italia, trova lavoro solamente il 3,4% dei disoccupati che si rivolgono ai centri nazionali per l’impiego - si sale ad un traballante 8-9% se si aggiungono le agenzie interinali, cioè il mondo del privato. 
Sono numeri fallimentari, se si pensa che la media Ue si aggira intorno al 30%. In definitiva, trovare lavoro è diventato un lavoro. 

È una Waterloo vera e propria, che non può in alcun modo essere giustificata da una spesa in termini di Pil minore rispetto ai partner comunitari: l'Italia spende l'1,80%, la Germania il 2,28%, la Danimarca il 3,71%. Una giustificazione che però piace molto sia al ministro del Lavoro Enrico Giovanni sia all’Unione Province italiane, che hanno più volte sottolineato il problema: L’Italia spende 500 milioni l'anno in servizi all'impiego contro i cinque miliardi del governo tedesco. Il nostro sistema di formazione è totalmente inadeguato rispetto altri Paesi europei. Il numero degli addetti ai cosiddetti servizi pubblici all'Italia sono 7.500, in Germania 115.000. 

Questa appare esattamente come una scusa per chi punta esclusivamente a gestire ancora più risorse senza voler mettere mano, in modo serio, all’ottimizzazione di quelle che già possiede. L’aumento della spesa non può e non deve essere una soluzione, in particolare in un momento in cui il debito pubblico e i cogenti parametri europei stritolano i trasferimenti erariali. È necessario abbandonare l’idea di un sistema il quale, per non lasciare indietro nessuno, abbandona tutti o quasi al proprio destino, disperdendo in mille rivoli le risorse a disposizione, già depotenziate e ridotte. È necessario, invece, porre degli obiettivi chiari e soprattutto realistici da far raggiungere ai Cpi e al sistema dell’offerta privata, e premiare chi riesca ad ottenerli. 

Migliorare le performance dei servizi per l’impiego non è, tra l’altro, una missione impossibile. Sarebbe sufficiente, infatti, guardare al Piemonte per scoprire che la soluzione esiste già: si chiama “Io Lavoro”, la più grande job fair nazionale che due volte all’anno, nell’arco di sei giorni, agevola l’incontro diretto tra domanda e offerta. 

Alcuni numeri possono essere utili a capire meglio questa realtà. In Piemonte, il flusso annuale (relativo al 2012) delle persone che si presentano ai Cpi è stato di oltre 108.000 persone, una cifra che si riduce a 30.000 se si guarda a chi effettivamente ha beneficiato di una qualche azione di servizio concreta. Le segnalazioni alle aziende da parte dei Cpi - parliamo sempre di dati rilevabili a sistema - sono state 9.000 (è da notare comunque che una persona potrebbe essere stata segnalata più di una volta). Se fossimo in altri Paesi, le assunzioni effettive dovrebbero essere 2700: invece, dai dati a disposizione, si evince che nel suddetto anno sono state circa 700. 

Nell’edizione primaverile di “Io Lavoro”, avvenuta a marzo in un’intensa tre-giorni, sono transitate 13.000 persone, mentre 6.000 hanno preso contatto con le oltre 90 aziende ospitate. A seguito dei colloqui, il 28% è risultato occupato nel periodo successivo alla manifestazione. Per intenderci, si tratta di circa 2.000 persone. È un dato incredibile per l’Italia, in particolare se si paragona alla performance precedentemente evidenziata dai Cpi piemontesi nel giro di un anno. 

Si tratta di soggetti diversi? Assolutamente no: sono i medesimi soggetti ad animare i servizi di “Io Lavoro”. L’investimento è in proporzione maggiore rispetto a quello garantito per il sistema in generale? No, anzi è molto più contenuto. A cambiare sono solo la “regia”, affidata all’Agenzia Piemonte Lavoro (braccio armato dell’assessorato al Lavoro della Regione Piemonte) e l’obiettivo: ingaggiare imprese interessate a trovare forza lavoro e agevolarle nella ricerca di competenze e capitale umano vestito su misura sulle loro esigenze. Una formula resa vincente grazie soprattutto a una rete di servizi di qualità, che poggia su supporti informatici all’avanguardia. 

La differenza sta quindi tutta nel fissare obiettivi seri da raggiungere, se si vuole continuare ad essere centro di spesa. Non si comprende perché nessuno guardi a questo esempio (e ai numerosi altri che vengono sperimentati nelle varie Regioni) e invece si preferisca continuare a parlare del modello tedesco: un sistema completamente diverso da quello italiano, pertanto non calabile nella realtà del Belpaese. 

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