martedì 6 novembre 2012

“ESSI CREDONO DI SPEZZARE IL CERCHIO E INVECE NON FANNO ALTRO CHE RINSALDARLO”.

di Italo Romano
L’ultimo intellettuale italiano conosciuto dalle masse aveva individuato la radice sociale della crisi di questo sistema ultraliberista, relativista, edonista e capitalista.
Le sue invettive erano mirate e lucide. Proprio per questo è stato eliminato.
Oggi, questo monito (nell’immagine), ha più valore che mai.
In un mondo di servi, lacchè, grillini, piddini, nani, troie, acrobati e giullari, dove si può, e si deve, dire tutto e il contrario di tutto, in cui ogni cosa è lecita e il caos individualsta è scambiato per libertà, le sue parole dovrebbero infuocare la coscienza e la consapevolezza della gente.
Il popolo dormiente, annichilito, alienato e asservito, in un torpore
atarassico con pochi precedenti nella storia, non si accorge che le modalità di lotta al sistema fin’ora utilizzate sono contigue e integranti al sistema stesso.
Difatti, è lo stesso potere ad elargire “prassi rivoluzionarie”. Esse rimangono ben nascoste dietro filosofie politcallly correct, facili demagogie, vuoti populismi, irritanti perbenismi e false ideologie alla moda, condite da rabbia, invidia e violenza. Queste prassi prendono piede con lo stessa velocità con cui si dissolvono.
Come scrisse Bertold Brecht:
“Al momento di marciare molti non sanno che alla loro testa marcia il nemico”
L’unica cosa che accumana tutto questo incedere è che non cambiano il sistema di una virgola, anzi gli danno credito, lo rafforzano, rendendogli grazia, giustificandolo.
Vieniamo usati e veicolati come pedine, ma siamo troppo egocentrici per ammettere e/o accorgerci di essere dei burattini sotto il controllo di un sistema bestia che si nutre delle nostre frustrazioni e le usa per proprio tornaconto.
Noi viviamo i desideri di altri, vite sacrificate ad un mondo che non ci appartiene ma che accettiamo perchè è quello che abbiamo trovato. Inseguiamo falsi miti di progresso e stereotipi preconfezionati ad arte per renderci schiavi, magari pure fieri di esserlo.
Anche Erich Fromm sappe, a mio modesto avviso, riassumere quello siamo diventati:
“Se sono come tutti gli altri, se non ho sentimenti o pensieri che mi rendano differente, se mi adatto e accetto i costumi, l’abbigliamento, le idee, lo schema comportamentale di gruppo, allora sono salvato; salvato dalla terribile esperienza della solitudine. I sistemi dittatoriali utilizzano la minaccia e il terrore per indurre questo conformismo, i paesi democratici utilizzano la suggestione e la propaganda”.
E’ questa l’unica differenza tra una dittatura e un regime democratico. E la storia è piena di esempi da cui poter imparare. Solo che i molti non la studiano e di quei pochi che la fanno propria, solo la minoranza ha un quadro chiaro e completo, senza preconcetti.
Alla luce di ciò, appare chiaro che chi vuole combattere il sistema dall’interno ne è già complice.
Nel mondo interattivo del web 2.0., siamo sommersi di notizie, un caos prestabilito dove diventa difficile scegliere le informazioni necessarie per distinguerle dal mare di nulla da cui veniamo investiti quotidianamente.
E’ questa la nuova forma di censura? Una volta nascondevano la notizie, oggi non ce n’è bisogno, esse si perdono nell’oceano di internet.
Come scrisse Ray Bradbury nel suo celebre romanzo Fahrenheit 451:
“Riempi i loro crani di dati non combustibili, imbottiscili di “fatti” al punto che non si possano più muovere tanto sono pieni, ma sicuri di essere “veramente bene informati”. Dopo di che avranno la certezza di pensare, la sensazione di movimento, quando in realtà son fermi come un macigno. E saranno felici, perché fatti di questo genere sono sempre gli stessi. Non dar loro niente di scivoloso e ambiguo come la filosofia o la sociologia affinché possano pescare con questi ami fatti ch’è meglio restino dove si trovano. Con ami simili, pescheranno la malinconia e la tristezza”.
E’ il caso di renderci conto che noi siamo il sistema, noi ospitiamo nella nostra coscienza l’oppressore e il suo modus operandi.
Molti rivoluzionari non combattono il potere ma chi lo detiene, sperando di prenderne il posto. La vera lotta sta nella distruzione dei troni oltre che dei re.
Nel saggio Pedagogia degli oppressi, Paulo Freire descrive molto bene quanto cerco di comunicarvi:
“Il grande problema sorge quando ci si domanda come potranno gli oppressi, che ospitano in sè l’oppressore, parteciapre all’elaborazione della pedagogia della loro liberazione, dal momento che sono soggetti a dualismo e inautenticità. Solo nella misura in cui scopriranno di ospitare in sé l’oppressore, potranno contribuire alla creazione comune della pedagogia che li libera”.
Siamo una società corrotta e profondamente malata. E’ questa la vera crisi. Quella economica è solo una conseguenza, fatta di tecnicismi, interessi e fame di potere.
Alexis Clérel de Tocqueville ha ben esposto, oltre un secolo addietro con grande lungimiranza, cosa è in realtà questo regime oligarchico capitalista:
“Se cerco di immaginare il dispotismo moderno, vedo una folla smisurata di esseri simili ed eguali che volteggiano su se stessi per procurarsi piccoli e meschini piaceri di cui si pasce la loro anima”.
Il sistema siamo noi, che ci piaccia o meno, che lo accettiamo o meno.
Scendiamo dai pulpiti che ci siamo eretti, abbandoniamo superbia e vanagloria, e rifiutiamo la cultura utilitarista di sistema.
Questo è il peggiore dei mondi possibili e noi ne siamo complici e artefici, al pari di coloro contro cui agitiamo e sfoghiamo il nostro odio.
“Sul podio c’era l’individuo, in piedi. Era una figura del passato. La sua parola era una voce del passato. Stava in piedi ed essi lo ascoltavano in piedi. “Ma perchè disse, avete costruito le vostre città come scatole cubiche, tracciato le vostre aiuole come quadrati, le vostre strade come rette! siete innamorati, con il duro amore delle vostre anime, delle linee, delle figure e delle forme dalle sporgenze angolose. Avete spinto l’ideale del blocco ai suoi eccessi estremi, siete i cubisti della pratica. Vi ferirete a morte sui bordi taglienti della vostra condizione”.
[Ferdinand Bordewijk - Blocchi]

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