Israele, strage di bambini a Gaza
Raid contro Hamas: finora 70 vittime
«Vicino accordo per una tregua». Obama: siamo con Tel Aviv, ma evitare l'escalation di violenza. Razzi contro il sud di Israele sul Messaggero
Speciale Gaza: Di omicidi e disinformazione
Alain Gresh fa il punto sulla situazione a Gaza prima dell’escalation militare cominciata nell’ottobre scorso e intensificatasi negli ultimi giorni. Il direttore aggiunto di Le Monde Diplomatique denuncia la politica degli omicidi mirati e condanna la complicità dei media nei confronti della propaganda israeliana.
- di Alain Gresh * – traduzione a cura di Jacopo Granci
Per capire l’escalation a Gaza è necessario introdurre qualche dato su questo territorio (360 km2, più di un milione e mezzo di abitanti – una caratteristica che lo rende uno dei luoghi del pianeta con maggiore densità di popolazione), occupato da Israele dal 1967.
Nonostante il ritiro dell’esercito dalla striscia (2005), infatti, i suoi accessi con il mondo esterno sono sempre controllati dallo Stato ebraico e la circolazione all’interno è limitata. Il blocco attuato qualche anno fa dura fino ad oggi: per le Nazioni Unite Gaza rimane un territorio occupato.
I dati che seguono sono stati diffusi dall’ufficio dell’ONU per il coordinamento delle questioni umanitarie nei territori palestinesi (OCHAOPT) in un documento del giugno 2012 intitolato Five Years of Blockade: The Humanitarian Situation in the Gaza Strip (in allegato):
- è nel giugno 2007 che il governo israeliano ha deciso di intensificare il blocco di questo territorio, già severamente “sotto controllo”;
- il 34% della popolazione (e la metà dei giovani) è disoccupata;
- l’80% della popolazione dipende dagli aiuti umanitari;
- il PIL pro capite era, nel 2011, il 17% al di sotto di quello del 2005 (considerando l’inflazione);
- nel 2011 solo un camion al giorno usciva da Gaza con prodotti volti all’esportazione, ossia meno del 3% delle cifre di affari registrate nel 2005;
- il 35% delle terre coltivabili e l’85% delle acque riservate alla pesca sono parzialmente o totalmente inaccessibili agli abitanti di Gaza a causa delle restrizioni israeliane;
- l’85% delle scuole sono costrette a fornire un doppio servizio – uno la mattina e un altro nel pomeriggio – a causa del sovrappopolamento.
Ogni guerra, si sa, viene accompagnata da un’intensa propaganda e il governo israeliano è ormai maestro in quest’arte.
Già al momento dell’offensiva di dicembre 2008 -gennaio 2009 avevamo assistito, in questo senso, alla deflagrazione mediatica. Perfino alcuni intellettuali francesi, tra cui l’imbarazzante Bernard-Henri Lévy, avevano contribuito a tale disinformazione.
L’uomo assassinato qualche giorno fa da Israele, Ahmed Jabari, era il capo dell’ala militare di Hamas.
La grande maggioranza dei media lo descrivono come un “terrorista” responsabile di tutti gli attacchi compiuti contro Israele. La realtà, tuttavia, è ben lontana da questo ritratto – senza contare l’utilizzo del termine “terrorismo“, per lo meno ambiguo.
Come spesso accade, è proprio un giornalista israeliano – Aluf Benn – a ricordare che:
“Ahmed Jabari era un appaltatore, incaricato da Israele di mantenere l’ordine e la sicurezza nella Striscia di Gaza. Questa definizione sembrerà senza dubbio assurda a tutti coloro che, nelle ultime ore, hanno visto Jabari descritto come ‘l’archetipo del terrorismo’, ‘il capo del personale del terrore’ o ancora ‘il nostro Bin Laden’.
Tuttavia, questa è la realtà degli ultimi cinque anni e mezzo. Israele aveva imposto ad Hamas di osservare una tregua nel sud e di farla rispettare alle numerose organizzazioni armate insediate nella striscia. L’uomo a cui era stato affidato questo compito era appunto Ahmed Jabari”.
Basta osservare i grafici pubblicati dallo stesso ministero degli Affari Esteri israeliano sul lancio dei razzi palestinesi per rendersi conto che, in generale, la tregua è stata rispettata.
L’accordo è stato rotto dai raid dell’esercito israeliano il 7 e l’8 ottobre 2012, poi il 13 e il 14, provocando un’escalation che da allora continua senza interruzioni.
E, alla vigilia dell’omicidio di Jebari, un’altra tregua era stata conclusa grazie alla mediazione dell’Egitto, come conferma la testimonianza dell’attivista pacifista Gershon Baskin ripresa da Haaretz.
Storicamente, ogni escalation degli attacchi a Gaza fa seguito ad omicidi mirati di militanti palestinesi. Queste esecuzioni extragiudiziali sono una pratica consolidata per il governo israeliano (a cui gli USA hanno dato il loro consenso ormai da tempo).
Avete detto “terrorismo”? Leggete l’articolo di Sharon Weill “De Gaza à Madrid, l’assassinat ciblé de Salah Shehadeh”.
Lo scenario era identico nel 2008. Mentre la tregua era rispettata sul versante palestinese dal giugno 2008, sono stati gli omicidi in novembre di sette attivisti nella Striscia che hanno dato il la all’intensificazione degli attacchi e poi all’operazione “Piombo fuso“.
Sulle violazioni dei cessate il fuoco compiute da Israele negli ultimi anni è interessante leggere l’articolo di Adam Horowitz, “Two new resources : Timeline of Israeli escalation in Gaza and Israel’s history of breaking ceasefires”.
Del resto, è difficile parlare di un vero scontro tra due parti: i razzi palestinesi non sono armi paragonabili agli F-16 e ai droni israeliani. Il bilancio in termini di vite umane, stilato dopo la tregua del gennaio 2009 seguita all’operazione “Piombo fuso”, lo conferma.
L’organizzazione israeliana per la difesa dei diritti umani B’Tselem ha pubblicato un elenco dei palestinesi e degli israeliani uccisi a Gaza tra il 19 gennaio 2009 e il 30 settembre 2012.
271 palestinesi (di cui 30 bambini) e 4 israeliani.
Le cifre parlano da sole.
* La versione orginale dell’articolo, pubblicato su Les blog du Diplo de Le Monde, è qui.
17 novembre 2012
Allegato:
ocha_opt_gaza_blockade_factsheet_june_2012_english.pdf (1.83 MB)
Fonte: Osservatorio Iraq visto su IxR
Impressioni di Gaza di Noam Chomsky - 17/11/2012
Anche
una sola notte in carcere basta a dare l’idea di che cosa significa
vivere sotto il controllo totale di qualche forza esterna. E non ci
vuole certo più di un giorno a Gaza per iniziare a rendersi conto di
come deve essere cercare di sopravvivere nella prigione a cielo aperto
più grande del mondo, dove un milione e mezzo di persone, nell’area più
densamente popolata del mondo, è costantemente soggetto a terrore
casuale, spesso selvaggio e a punizioni arbitrarie, senza altro scopo
che quello di umiliare e degradare, e con l’ulteriore scopo di
assicurarsi che le speranze palestinesi di un futuro decente siano
distrutte e che lo schiacciante appoggio per un accordo diplomatico che
garantirà questi diritti venga annullato. L’intensità di questo impegno
da parte della dirigenza politica israeliana è stata drammaticamente
dimostrata proprio nei giorni scorsi, quando hanno avvertito che
“impazziranno” se ai diritti palestinesi verrà dato un riconoscimento
limitato all’ONU. Non è un punto di inizio nuovo.
La minaccia di “impazzire” (“nishtagea”) è profondamente radicata,
già nei governi laburisti degli anni ’50, insieme al relativo
“Complesso di Sansone”: butteremo giù le mura del Tempio se vi
entrerete. Era una minaccia inutile allora; non oggi.
Anche l’umiliazione fatta di proposito non è una novità, sebbene
prenda continuamente nuove forme. Trenta anni fa, i dirigenti politici,
compresi alcuni “falchi” famosi, hanno sottoposto al Primo ministro
Begin un resoconto scioccante e dettagliato di come i coloni
regolarmente maltrattino i Palestinesi nel modo più perverso e con
impunità totale. Il preminente analista in materia politica e militare,
Yoram Peri, ha scritto con disgusto che il compito dell’esercito non è
difendere lo stato, ma “demolire i diritti di gente innocente soltanto
perché essi sono Araboushim (“negri”, “ebrei”) che vivono in territori
che Dio ha promesso a noi.”
Gli abitanti di Gaza sono stati scelti per imporgli una punizione
particolarmente crudele. E’ quasi un miracolo che la gente possa
sopportare un’esistenza del genere. Come ci riescano è stato descritto
trenta anni fa in un eloquente memoriale da Raja Shehadeh (La terza
via), basato sul suo lavoro di avvocato impegnato nel compito disperato
di tentare di proteggere i diritti elementari nell’ambito di un sistema
legale designato ad assicurare il fallimento, e sulla sua personale
esperienza come Samid, “il perseverante,” *che osserva la sua casa
trasformata in prigione da occupanti brutali e che non può fare nulla,
se non cercare di “sopportare”.
Da quando Shehadeh ha scritto, la situazione è peggiorata molto. Gli
accordi di Oslo, festeggiati con grande pompa nel 1993, hanno
determinato che Gaza e la Cisgiordania sono un’unica unità territoriale.
Allora gli Stati Uniti e Israele avevano già iniziato il loro programma
di separali completamente l’una dall’altra, così da bloccare un accordo
diplomatico e punire gli Araboushim in entrambi i territori.
La punizione degli abitanti di Gaza è diventata ancora più severa
nel gennaio 2006, quando hanno commesso un grave reato: hanno votato nel
“modo sbagliato” nella prima elezione libera del mondo arabo, eleggendo
Hamas. Dimostrando il loro “appassionato desiderio di democrazia”, gli
Stati uniti e Israele, appoggiati dalla timida Unione Europea, hanno
imposto subito un assedio brutale, conducendo allo stesso tempo intensi
attacchi militari. Gli Stati Uniti si hanno deciso subito procedure
operative standard quando una popolazione disubbidiente elegge il
governo sbagliato: preparare un colpo di stato per ripristinare
l”ordine.
Gli abitanti di Gaza hanno commesso un reato ancora più grande un
anno dopo, bloccando il tentativo di colpo di stato, fatto che ha
portato a una brusca intensificazione del dell’assedio e degli attacchi
militari. Questi sono culminati, nell’inverno 2008-2009, nell’operazione
Piombo Fuso, uno dimostrazioni più vigliacche e malvagie di forza
militare di recente memoria, poiché una popolazione civile indifesa,
intrappolata senza via di scampo, è stata soggetta all’attacco
implacabile da parte di uno dei sistemi militari più avanzati del mondo
che dipende dalle armi statunitensi ed è protetto dalla diplomazia
statunitense. Un resoconto indimenticabile di testimoni oculari del
massacro – un infanticidio, secondo le loro parole – è fornito da due
coraggiosi medici norvegesi che hanno lavorato nel principale ospedale
di Gaza durante gli assalti spietati, Mads Gilbert ed Erik Fosse, nel
loro notevole libro: Eyes in Gaza [Occhi a Gaza].
Il presidente designato, Obama, non era stato in grado di dire una
parola, a parte reiterare la sua compassione per i bambini che subiscono
gli attacchi – nella città israeliana di Sderot. L’assalto
accuratamente pianificato è stato concluso subito prima del suo
insediamento, cosicché allora ha potuto dire: è ora di guardare avanti,
non indietro; il classico rifugio dei criminali.
Naturalmente c’erano dei pretesti – ce ne sono sempre: il solito,
tirato fuori quando è necessario, è la “sicurezza”: in questo caso i
razzi fatti in casa a Gaza. Come succede di solito, il pretesto mancava
di qualsiasi credibilità. Nel 2008 era stata stabilita una tregua tra
Israele e Hamas. Il governo israeliano riconosce formalmente che Hamas
la rispetti completamente. Non un solo razzo di Hama è stato sparato
fino a quando Israele ha interrotto la tregua con la copertura
dell’elezione del 4 novembre 2008 negli Stati Uniti, invadendo Gaza per
motivi ridicoli e uccidendo una mezza dozzina di membri di Hamas. Il
governo di Israele era stato avvisato dai più alti funzionari dei sevizi
segreti che la tregua poteva essere rinnovata riducendo il blocco
criminale e mettendo fine agli attacchi militari. Il governo di Ehud
Olmert, a quanto pare una “colomba”, ha però scelto di rifiutare queste
opzioni, preferendo ricorrere al suo relativo enorme vantaggio nella
violenza: l’Operazione Piombo Fuso. I fatti fondamentali sono stati
riesaminati ancora una volta dall’analista di politica estera Jerome
Slater nel numero della rivista edita dall’ Università di Harvard- e
pubblicata dal MIT: Sicurezza Internazionale.
Il modello di bombardamento durante Piombo Fuso, è stato
attentamente analizzato da Raji Sourani, nato a Gaza, difensore dei
diritti umani ottimamente informato e rispettato in campo
internazionale. Fa notare che i bombardamenti erano concentrati nel
nord, prendendo come obiettivi i civili indifesi nelle zone più
densamente popolate, senza alcun pretesto militare. Raji suggerisce che
lo scopo può essere stato quello di spingere verso sud, vicino al
confine con l’Egitto, la popolazione intimorita. I Samidin, invece non
si sono mossi, malgrado la valanga di terrore di Israele e degli Stati
Uniti.
Un altro obiettivo poteva essere quello di spingerli oltre. Tornando
ai primi giorni della colonizzazione sionista, si sosteneva in gran
parte dell’insieme dei paesi che gli Arabi non hanno una vera ragione di
stare in Palestina: Possono essere ugualmente felici in qualche altro
posto, e dovrebbero andarsene – -”essere trasferiti” per esprimersi
gentilmente, le “colombe” hanno suggerito. Questa non è una
preoccupazione da poco in Egitto, ed è forse una ragione per cui
l’Egitto non apre liberamente il confine ai civili o perfino ai
materiali di cui si ha una necessità disperata.
Sourani e altre fonti bene informate osservano che la disciplina dei
Samidin nasconde una polveriera che potrebbe esplodere in qualunque
momento, inaspettatamente, come ha fatto la prima Intifada a Gaza nel
1989 dopo anni di penosa repressione che non ha ottenuto alcuna
attenzione o interesse.
Soltanto per citare uno degli innumerevoli casi, poco prima
dell’inizio dell’Intifada, una ragazza palestinese, Intissar al-Atar, è
stata uccisa da colpi di arma da fuoco nel cortile di una scuola da un
residente di un vicino insediamento palestinese. Egli era uno delle
varie migliaia di coloni israeliani portati a Gaza in violazione della
legge internazionale e protetti da un’enorme presenza dell’esercito e
che si impadronivano di gran parte della terra e della poca acqua della
Striscia e che vivevano “lussuosamente in 22 insediamenti in mezzo a 1,4
milioni di palestinesi indigenti”, come scrive lo studioso israeliano
Avi Raz parlando di quel crimine.
L’assassino della scolara, Shimon Yifrah, è stato arrestato, ma poi
rapidamente rilasciato su cauzione, quando la Corte ha determinato
che “il reato non è abbastanza grave” per giustificare la detenzione.
Il giudice ha osservato che Yifrah voleva soltanto scioccare la ragazza
sparandole con la pistola nel cortile della scuola, non ucciderla,
quindi non si tratta di un persona criminale che deve essere punita,
dissuasa e imprigionata per insegnargli una lezione.” A Yifrah è stata
data una condanna di 7 mesi con sospensione della pena, mentre i
coloni presenti nell’aula del tribunale si sono messi a cantare e a
ballare. E poi c’è stato il solito silenzio. Dopo tutto è routine.
gaza2012Così è. Quando Yifrah è stato rilasciato, la stampa
israeliana ha riferito che una pattuglia dell’esercito in
perlustrazione, ha sparato nel cortile di una scuola per ragazzi di età
compresa tra i 6 e i 12 anni in un campo profughi della Cisgiordania,
ferendo cinque bambini, presumibilmente soltanto con l’intenzione di
scioccarli. Non ci sono state accuse, e anche questa volta l’evento non
ha attirato alcuna attenzione. Era soltanto un altro episodio del
programma di “analfabetismo come punizione”, ha riferito la stampa
israeliana, che comprende la chiusura delle scuole, l’uso di bombe
chimiche??, picchiare gli studenti con il calcio del fucile, la
proibizione di primo soccorso per le vittime; e oltre le scuole, un
regime di brutalità più grave, che diventava ancora più selvaggio
durante l’Intifada, agli ordini del ministro della Difesa, Yitzak Rabin,
un’altra “colomba” molto ammirata.
La mia impressione iniziale, dopo una visita di diversi giorni, è
stata di stupore, non soltanto per la capacità di continuare a vivere,
ma anche per la vivacità e la vitalità che ci sono tra i giovani,
particolarmente all’università, dove ho passato molto del mio tempo a un
congresso internazionale. Anche lì, però, si possono trovare segni che
la pressione può diventare troppo difficile da sopportare. Ci sono
notizie che indicano che tra i giovani c’è una frustrazione nascosta, la
consapevolezza che con l’occupazione israelo-statunitense il futuro non
riserva loro nulla. Gli animali in gabbia non possono sopportare oltre,
e ci può essere un’esplosione, che forse assumerà delle brutte forme –
offendo un’opportunità ai difensori israeliani e occidentali di
condannare in modo moralistico, le persone che sono culturalmente
arretrate, come ha spiegato Romney con grande intuito.
Gaza ha l’aspetto di una tipica società del terzo mondo, con sacche
di ricchezza circondate da orribile povertà. E, tuttavia, non è
“sottosviluppata”. E’, piuttosto, “de-sviluppata”, e anche in modo
sistematico, per prendere a prestito i termini di Sara Roy, la
principale specialista accademica di Gaza. La Striscia di Gaza sarebbe
potuta diventare una prospera regione mediterranea, con un’agricoltura
ricca, una fiorente industria ittica, spiagge meravigliose e, come si è
scoperto dieci anni fa, buone prospettive di ampie riserve di gas
naturale nelle sue acque territoriali.
Per coincidenza o no, questo succede quando Israele ha intensificato
il suo blocco navale, spingendo le barche da pesca verso la riva,
oramai a tre miglia o meno.
Le prospettive favorevoli sono
fallite nel 1948, quando la Striscia ha dovuto assorbire una valanga di
profughi palestinesi che scappavano terrorizzati o che erano espulsi
energicamente da quella che diventava Israele, in qualche caso espulsi
mesi dopo il cessate il fuoco formale.
Infatti venivano espulsi perfino quattro anni dopo, come riferito
sul quotidiano Ha’aretz (25.12.2008), in un studio di Beni Tziper
sulla storia della città israeliana di Ashkelon risalente ai Canaaniti.
Nel 1953, Tziper riferisce, “si calcolava freddamente che era necessario
ripulire la regione dagli Arabi.” Il nome originale, Majdal, era stata
già trasformato nel nome ebraico attuale, Ashkelo, una pratica normale.
Questo avveniva nel 1953, quando non c’era alcun accenno di
necessità militare. Tziper stesso era nato nel 1953, e mentre cammina
tra i resti del vecchio settore arabo, riflette che “è realmente
difficile per me, realmente difficile rendermi conto che, intanto che
i miei genitori festeggiavano la mia nascita, altra gente veniva
caricata sui camion e cacciata via dalle loro case.”
Le conquiste di Israele del 1967 e le loro conseguenze infliggevano
nuovi colpi. Vennero poi i terribili crimini già citati e che continuano
fino a oggi.
I segni sono facili da vedere, anche durante una
breve visita. Stando seduti in un albergo vicino alla riva, si può
sentire il rumore delle mitragliatrici che proviene dalle corvette
armate israeliane che spingono i pescatori fuori dalle acque
territoriali di Gaza e verso la riva, cosicché sono costretti a pescare
in acque che sono molto inquinate a causa del rifiuto di Stati Uniti e
Israele di permettere la ricostruzione del le fognature e del sistema
elettrico che essi hanno distrutto.
Gli Accordi di Oslo hanno preparato piani per due impianti di
desalinizzazione, necessari in questa regione arida. Uno,
un’installazione molto moderna, è stato costruito: a Israele. Il
secondo si trova a Khan Yunis, nella parte sud di Gaza. L’ingegnere
incaricato di cercare di ottenere l’acqua potabile per la popolazione,
ha spiegato che questo impianto era progettato in modo che non usasse
l’acqua del mare, ma invece l’acqua sotterranea, un processo più
economico, che degrada ulteriormente la scarsa falda acquifera,
garantendo gravi problemi in futuro. Anche così, l’acqua è gravemente
limitata, L’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency), l’agenzia
delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione *, che si occupa dei
profughi (ma non di altri abitanti di Gaza), recentemente ha pubblicato
un resoconto avvertendo che il danno alla falda acquifera potrebbe
diventare presto “irreversibile”, e che senza una rapida azione di
riparazione, nel 2020 Gaza potrebbe non essere un “posto vivibile.”
Israele permette che entri il cemento per i progetti UNRWA, ma non
per gli abitanti di Gaza presi dalle enormi necessità di ricostruzione.
Le limitata attrezzature pesanti giacciono per lo più inutilizzate dal
momento che Israele non permette i materiali per le riparazioni. Tutto
ciò fa parte del programma generale descritto dal funzionario israeliano
Dov Weisglass, consigliere del Primo ministro Ehud Olmert, dopo che i
Palestinesi hanno mancato di eseguire gli ordini nelle elezioni del
2006: ha detto: “L’idea “è di mettere i palestinesi a dieta, ma non di
farli morire di fame.” Questo non sarebbe bello.
E il piano si sta eseguendo scrupolosamente. Sara Roy ha fornito
ampie prove nei studi eruditi. Recentemente, dopo vari anni di sforzi,
l’organizzazione israeliana per i diritti umani Gisha, è riuscita a
ottenere un’ingiunzione perché il governo rilasci i documenti
elencando i piani per la dieta, e come essi vengono realizzati. Il
giornalista Jonathan Cook, di base a Israele, li riassume. “I funzionari
della sanità hanno fornito calcoli del numero minimo di calorie
necessarie a 1.5 milioni di abitanti di Gaza per evitare la
denutrizione. Queste cifre sono state poi tradotte in numeri di carichi
di cibo trasportati da camion che si ipotizzava Israele permettesse per
ogni giorno….una media di soli 67 camion -molto meno della metà del
bisogno minimo – è entrata a Gaza ogni giorno. Questo va paragonato ai
400 camion che entravano prima che iniziasse il blocco.” E perfino
questa stima è troppo generosa,” riferiscono i funzionari dell’ONU.
Il risultato dell’imposizione della dieta, osserva lo studioso del
Medio Oriente Juan Cole, è che “la crescita di circa il 10% dei bambini
palestinesi di Gaza che hanno meno di 5 anni, è stata bloccata dalla
denutrizione….inoltre l’anemia è largamente diffusa e colpisce i due
terzi dei neonati, iol 58,6 degli bambini in età scolare, e oltre un
terzo delle mamme incinte.” Gli Stati Uniti e Israele vogliono
assicurarsi che nulla di più di che la pura sopravvivenza sia possibile.
“Ciò che si deve tenere bene a mente”, osserva Raji Sourani, “è che
l’occupazione e l’assoluta chiusura è un attacco continuo alla dignità
umana del popolo di Gaza in particolare e di tutti i Palestinesi in
generale. E’ una degradazione un’umiliazione, un isolamento e una
frammentazione sistematica, del popolo palestinese.” Questa conclusione è
confermata da molte altre fonti. In una delle principali riviste
mediche del mondo, The Lancet, un medico in visita all’università di
Stanford, sconvolto da ciò di cui era stato testimone, descrive Gaza
come ” una specie di laboratorio per osservare l’assenza di dignità,”
“una condizione che ha effetti “devastanti” sul benessere fisico,
mentale e sociale. “La costante sorveglianza aerea, la punizione
collettiva per mezzo del blocco e dell’isolamento, l’intrusione nelle
case e nelle comunicazioni, e le restrizioni nei riguardi di coloro che
cercano di viaggiare, o sposarsi, o lavorare, rendono difficile vivere
una vita dignitosa a Gaza.” Agli Araboushim si deve insegnare a non
alzare la testa.
C’erano delle speranze che il nuovo governo Morsi in Egitto, meno
alla mercè di Israele rispetto alla dittatura di Mubarak appoggiata
dall’Occidente, potesse aprire il valico di Rafah, l’unico accesso per
l’esterno per gli abitanti di Gaza intrappolati che non sia soggetto al
controllo diretto di Israele. C’è stata una piccola apertura, ma non
molto. La giornalista Laila el-Haddad scrive che la riapertura ora che
Morsi è al potere, “è semplicemente un ritorno allo status quo degli
scorsi anni: soltanto i palestinesi che avevano una carta di identità di
Gaza approvata da Israele, possono attraversare il valico di Rafah”,
esclusi molti Palestinesi e inclusa la famiglia di el-Haddad, dove
soltanto una moglie ha la carta.
Inoltre, Laila continua, “il valico non porta alla Cisgiordania,
oppure non permette il passaggio delle merci, che sono limitate ai
valichi controllati da Israele e soggetti a proibizioni riguardanti i
materiali da costruzione e l’esportazione.” Il valico limitato di Rafah,
non cambia il fatto che “Gaza rimane sotto uno stretto assedio
marittimo e aereo, e continua a essere chiusa ai capitali culturali,
economici, accademici nel resto dei [territori occupati], in violazione
degli obblighi di Israele e Stati Uniti in base agli Accordi di Oslo.”
Gli effetti sono dolorosamente evidenti. All’ospedale Khan Yunis, il
direttore, che è anche primario di chirurgia, descrive con rabbia e
passione come manchino perfino le medicine per alleviare le sofferenze
dei pazienti, e anche delle semplici attrezzature per interventi
chirurgici, lasciando i dottori impotenti e i pazienti in agonia.
Storie personali aggiungono un tono vivace al disgusto generale che
si prova davanti allo schifo dell’occupazione violenta. Un esempio è la
testimonianza di una giovane donna che era disperata perché che suo
padre, che sarebbe stato orgoglioso che lei era la prima donna nel campo
profughi a ottenere una laurea specialistica, “era morto a 60 anni
dopo 6 mesi di lotta contro il cancro. L’occupazione di Israele gli ha
negato il permesso di andare a farsi curare negli ospedali di Israele:
Ho dovuto interrompere i miei studi, il lavoro, la mia solita vita e
restare seduta al suo capezzale. Eravamo tutti seduti lì: mio fratello
medico e mia sorella farmacista, tutti impotenti e disperati guardando
soffrire. E’ morto durante il disumano blocco di Gaza nell’estate del
2006 quando c’era accesso scarso all’assistenza sanitaria. Penso che
sentirsi impotenti e disperati sia il sentimento più micidiale che un
essere umano possa mai provare. Uccide lo spirito e spezza il cuore. Si
può combattere l’occupazione ma non si può combattere il senso di
impotenza. Non si può neanche dissolvere quel sentimento.”
Disgusto per l’oscenità, unito alla colpa; è nelle nostre capacità
porre fine alle sofferenze e permettere ai Samidin di godere la vita di
pace e dignità che meritano.
Noam Chomsky ha visitato la Striscia di Gaza dal 25 al 30 di ottobre 2012.
Arianna Editrice
“Raid a Gaza, i caccia israeliani riforniscono a Decimomannu”
Nei cieli dell'Isola, negli ultimi giorni, si sono intensificate
le esercitazioni militari. Bina Casula, consigliere a Villamassargia:
“Gli aerei partono da qui”. Gli indipendentisti confermano. Il Comipa:
“In casi analoghi è già successo"
redazione cagliaripad
il cielo di Gerusalemme
Nei cieli della Sardegna, negli ultimi giorni, si sono intensificate le esercitazioni militari.
Bina Casula, consigliere comunale a Villamassargia: “Gli aerei partono dall’Isola”.
L’accusa confermata dagli indipendentisti. La notizia rimbalza nei social network.
Tore Mocci, componente del Comipa (Comitato
misto paritetico sulle attività militari in Sardegna) non lo esclude:
“In casi analoghi l'aeroporto è stato utilizzato come scalo tecnico”.
Cagliari Pad
Un utente di Luogocomune segnala:
Un utente di Luogocomune segnala:
e ancora...
Parla Benjamin Netanyahu non sapendo di essere ancora ripreso. Giudicate da voi.
- La prima cosa da fare è colpirli (gli arabi, n.d.IxR). Non un solo colpo, ma tanti colpi talmente dolorosi da rendere impossibile la loro sopportazione. Per ora riescono ancora a sostenere la situazione. E' necessario un più grande attacco all'autorità palestinese, per portarli al punto in cui avranno paura che stia collassando tutto.
- Aspetta, ma il mondo a quel punto si domanderebbe "come mai state di nuovo facendo una guerra di occupazione?". Non hai paura del mondo, Bibi?
- Il mondo non dirà niente, il mondo dirà che ci stiamo difendendo. Specialmente oggi, con l'America. So cos'è l'America, L'America è qualcosa che può essere facilmente mossa, mossa nella giusta direzione. Loro dicono che sono dalla nostra parte, ma è più come dire che non ci si metteranno di traverso, non ci si metteranno di traverso.
Netanyahu Unaware of Camera VIDEO
Civili sotto attacco nella Striscia di Gaza su Voci dalla Strada
Siamo al terzo giorno degli attacchi
israeliani sulla Striscia di Gaza. Scriviamo questo comunicato nel mezzo
del suono incessante dei bombardamenti, che sono proseguiti per tutto
il giorno di ieri, nel corso della notte e oggi. L’escalation militare portata avanti dall’esercito israeliano continua
su tutta la Striscia. Da Gaza City, sentiamo il rumore incessante dei
droni e dei caccia F16 che irrompono nel cielo sulle nostre teste. Le
bombe ci cadono ripetutamente attorno, colpendo aree densamente
popolate.
ISM
Finora le forze aeree israeliane hanno condotto più di 500 bombardamenti, portando a 29 il numero dei morti. Più di 255 persone sono state ferite dagli attacchi, la gran parte dei quali civili, tra cui 100 bambini. 30 sono le persone in condizioni critiche. Le aree colpite includono Beit Hanoun, il campo rifugiati Jabalia, i quartieri di Sheikh Radwan e al-Nasser a Gaza City, il campo rifugiati di Maghazi, Deir El Balah, Khan Younis, e l’area dei tunnel a Rafah.
Nella giornata di ieri, 15 novembre, abbiamo visitato l’ospedale Al Shifa a Gaza City, dove è stata portata la maggior parte dei feriti. Abbiamo parlato con i dottori, i pazienti e i loro parenti, vittime degli attacchi in corso nella Striscia di Gaza. Condividiamo alcune delle storie delle persone che abbiamo incontrato.
Finora le forze aeree israeliane hanno condotto più di 500 bombardamenti, portando a 29 il numero dei morti. Più di 255 persone sono state ferite dagli attacchi, la gran parte dei quali civili, tra cui 100 bambini. 30 sono le persone in condizioni critiche. Le aree colpite includono Beit Hanoun, il campo rifugiati Jabalia, i quartieri di Sheikh Radwan e al-Nasser a Gaza City, il campo rifugiati di Maghazi, Deir El Balah, Khan Younis, e l’area dei tunnel a Rafah.
Nella giornata di ieri, 15 novembre, abbiamo visitato l’ospedale Al Shifa a Gaza City, dove è stata portata la maggior parte dei feriti. Abbiamo parlato con i dottori, i pazienti e i loro parenti, vittime degli attacchi in corso nella Striscia di Gaza. Condividiamo alcune delle storie delle persone che abbiamo incontrato.
Haneen Tafesh |
Nella giornata di ieri, 15 novembre,
abbiamo visitato l’ospedale Al Shifa a Gaza City, dove è stata portata
la maggior parte dei feriti. Abbiamo parlato con i dottori, i pazienti e
i loro parenti, vittime degli attacchi in corso nella Striscia di Gaza.
Condividiamo alcune delle storie delle persone che abbiamo
incontrato. Salem Waqef, un uomo di 40 anni, è stato gravemente ferito
quando la sua casa è stata distrutta da un attacco la mattina presto del
15 novembre. I suoi dottori dicono che Salem ha subito danni cerebrali a
causa della mancanza di ossigeno. E’ stato portato in terapia intensiva
alle 5 del mattino. E’ al momento in coma e secondo i dottori in
condizioni difficili.
Verso le 13:10, quando lasciavamo la sala
di terapia intensiva, una bambina di 10 mesi, Haneen Tafesh, è stata
portata in corsia. Era incosciente e il suo corpicino era livido.
Aveva subito la frattura del cranio e un’emorragia cerebrale, causata da
un attacco avvenuto intorno alle 11 nel quartiere di Sabra a Gaza. Era
in coma sotto ossigenazione artificiale. Più tardi nel pomeriggio,
abbiamo ricontrollato come stava e i dottori hanno detto che le sue
condizioni erano peggiorate. Dopo essere ritornati a casa la sera,
abbiamo ricevuto la notizia della sua morte.
Ahmed Durghmush |
Ahmed Durghmush ha una ventina di anni ed
è stata portato allo Shifa in terapia intensiva verso le 21 di
Mercoledì 14, dopo essere stato ferito da un attacco aereo che ha
colpito il quartiere di Tel Al Hawa a Gaza City. Ha subito un trauma
cerebrale causato dalle schegge di un missile esploso. All’arrivo di
Ahmed, il Dr Fauzi Nablusia ha spiegato che soffriva di un’emorragia
cerebrale ed era stato operato. Le sue condizioni sono peggiorate nel
corso della giornata. Un parente di Ahmed vicino al suo letto si è
sfogato dicendoci di sentirsi impotente e di avere paura per la sorte di
Ahmed.
Basma Mahmud Al Tourouq |
Il pronto soccorso è
stato inondato dagli
arrivi dei feriti durante tutto il giorno. Tra di essi è arrivata
Basma Mahmoud el Tourouq, 5 anni, dal quartiere di Rimal a Gaza City. E’
stata ferita dal bombardamento avvenuto vicino alla sua casa intorno
alle 14:30 del pomeriggio. L’onda d’urto dell’esplosione l’ha
scaraventata dall’altro lato della
stanza, la brusca caduta per terra le causato la frattura
dell’avambraccio. Abbiamo poi sentito le storie di alcuni tra i bambini,
le donne e gli uomini feriti e dei loro parenti che sono
stati ricoverati in diversi reparti dell’ospedale Al Shifa. Mohammed Abu
Amsha, due anni e mezzo, è stato ferito mentre sedeva di fronte alla
casa di suo nonno a Beit Hanoun.Un F16 ha sparato un missile
nelle vicinanze e dopo l’esplosione le macerie l’hanno colpito alla
testa. Quando stavamo per andarcene, abbiamo saputo che anche lo zio di
Mohammed era stato ferito.
Zuhdiye Samour, madre e nonna, del campo rifugiati di Shati a Ovest
di Gaza City, era ancora visibilmente scossa da quello le era accaduto,
quando ci ha raccontato: “Eravamo seduti insieme a casa. Erano le 20:30
di sera e stavamo guardando la Tv, dei film per distrarre i bambini che
avevano paura. Poi, abbiamo sentito i botti di 12 colpi di artiglieria
sparati dalle navi della marina israeliana”. Zuhdiye e altri tre civili
sono stati feriti quando i proiettili sono esplosi nella loro zona
abitata a nord di Gaza City.
Mohammed Abu Amsha |
Khalid Hamad, il direttore della Pubblica
Informazione del Ministero della Giustizia, è stato uno dei civili
feriti nell’attacco indiscriminato di un’area residenziale. Era a casa
con la sua famiglia a Nabarat, Nord di Gaza City, quando ha sentito
l’esplosione di una bomba, che ha colpito la casa del vicino. Molte
persone del vicinato sono accorse fuori per aiutare e sono state colpite
da altri sei proiettili sparati dalle navi. Il nipote di Hamad,
un adolescente, ha riportato ferite lievi. Anche un altro uomo è stato
ferito dalle schegge dei proiettili. “Hanno colpito i civili
deliberatamente”, ha detto, “le forze israeliane non fanno errori”.
Duaa Hejazi (Lydia De Leeuw) |
Una ragazza di 13 anni, Duaa Hejazi,
stava tornando a casa sua a Gaza, nel quartiere di Sabra, dopo una
camminata con sua madre e i fratelli, quando un missile israeliano ha
colpito la strada di fronte alla loro casa intorno alle 8 di sera. “Ho
perso molto sangue. Anche mio fratello è stato ferito, alla mano. I
vicini mi hanno portato all’ospedale”. Duaa ha riportato ferite causate
dalle schegge delle bombe su tutto il torace, alcune delle quali ancora
conficcate nel petto. Lei vorrebbe trasmettere un messaggio ai bambini
che vivono fuori da Gaza: “Siamo bambini. Non abbiamo colpe per quello
che stiamo subendo. Siamo sotto occupazione e, così come Abu Ammar, dico
“se sei una montagna, il vento non ti scuoterà”. Noi non abbiamo paura,
continueremo a essere forti. Anche oggi abbiamo incontrato il Dott.
Mithad Abbas, Direttore Generale dell’ospedale Shifa. Quando gli abbiamo
chiesto in che modo l’ospedale stia affrontando l’arrivo dei pazienti
ci ha risposto: “Quando arrivano questi casi in ospedale, ci troviamo ad
operare in circostanze straordinarie. Siamo in una situazione di
assedio, di embargo, per la quale soffriamo della mancanza di medicinali
e forniture mediche di prima necessità”. L’ospedale non possiede
molti medicinali e strumenti fondamentali, quali antibiotici, cateteri,
anestetici, guanti, tutori esterni, eparina, materiali di sutura,
detergenti e pezzi di ricambio per macchinari medici.
L’ospedale possiede anche di una riserva di carburante, che fornisce energia durante i quotidiani tagli dell’elettricità. Se i tagli dell’elettricità dovessero raggiungere le 12 ore giornaliere, il Dott. Abbas ci ha detto che in tal caso l’ospedale avrà carburante sufficiente per fornire l’elettricità per non più di una settimana. Il personale dell’ospedale sta affrontando scene caotiche e cariche di tensione, in quanto corridoi e stanze sono diventati sovraffollati, con persone che provano ad accertarsi dei propri parenti e amici feriti.
L’ospedale possiede anche di una riserva di carburante, che fornisce energia durante i quotidiani tagli dell’elettricità. Se i tagli dell’elettricità dovessero raggiungere le 12 ore giornaliere, il Dott. Abbas ci ha detto che in tal caso l’ospedale avrà carburante sufficiente per fornire l’elettricità per non più di una settimana. Il personale dell’ospedale sta affrontando scene caotiche e cariche di tensione, in quanto corridoi e stanze sono diventati sovraffollati, con persone che provano ad accertarsi dei propri parenti e amici feriti.
Il Dott. Abbas racconta: “le persone
entrano nel pronto soccorso in panico, cercando i propri familiari. E’
molto difficile gestire tutto ciò”. Nessuno sa dove colpirà il prossimo
missile, nessuno sa dove potrà essere al sicuro. I genitori non sono in
grado di tenere i propri bambini al sicuro, e neanche a trasmettere loro
un senso di sicurezza”.
Questi sono i nomi delle persone uccise dagli attacchi israeliani:
1- Walid Abadlah, 2 1/2 anni
2- Marwan Abu Al-Qumsan, 52 anni
3- Ramai Hamamd
4- Khalid Abu Al-Nasser
5- Habes Mesbeh, 30 anni
6- Wael Al-Ghalban
7- Hisham Al-Ghalban
8- Ahmed Al-Jaabari, 52 anni
9- Mohammed Al-Hams
10- Ranan Arafat, 3 anni
11- Essam Abu El-Mazzah, 20 anni
12- Hani Al-Kaseeh, 18 anni
13- Ahmed Al-Masharawi, 11 anni
14- Hiba Al-Masharawi, 19 anni, incinta
15- Mahmud Sawaween, 65 years old
16- Hanin Tafish, 10 mesi
17- Tareq Jamal Naser, 16 anni
18- Oday Jamal Nasser, 14 anni
19- Fares al-Bassiouni
20- Mahmoud Sadalla, 3 anni
21- Ismail Qandil, 24 anni
22- Tahrir Suleiman, 22 anni
23- Non identificato
24- Non identificato
25- Ziad Abu Jlal
26- Amjad Abu Jlal
27- Ahmed Abu Jlal
28- Hasan Abu Hmela
29- Khaled Shaer
——————————————
Per ulteriori informazioni, contattare:
Adie Mormech (Inghilterra)
Adriana (Italiano, Spagnolo)
Gisela Schmidt Martin (Irlanda)
Joe Catron (Stati Uniti)
Lydia de Leeuw (Olanda)
Meri (Italia) +972 (0) 592280943 +972 (0) 597241318 +972 (0) 592778020 blipfoto.com/GiselaClaire +972 (0) 595594326 twitter.com/jncatron +972 (0) 597478455 asecondglance.wordpress.com +972(0)598563299
Siamo un gruppo di internazionali che vivono nella Striscia di Gaza e lavorano negli ambiti del giornalismo, dei diritti umani, dell’educazione, dell’agricoltura. Cerchiamo di difendere e promuovere i diritti della popolazione civile palestinese di fronte all’occupazione israeliana e alle operazioni militari. Oltre ad essere noi stessi testimoni oculari, raccogliamo informazioni dalle nostre reti personali in tutta la Striscia di Gaza, dai media locali, dal personale medico e dalle ONG internazionali presenti a Gaza. Verifichiamo ciò che divulghiamo e speriamo che i nostri resoconti possano contribuire a rendere più accurata la copertura mediatica della situazione di Gaza.
1- Walid Abadlah, 2 1/2 anni
2- Marwan Abu Al-Qumsan, 52 anni
3- Ramai Hamamd
4- Khalid Abu Al-Nasser
5- Habes Mesbeh, 30 anni
6- Wael Al-Ghalban
7- Hisham Al-Ghalban
8- Ahmed Al-Jaabari, 52 anni
9- Mohammed Al-Hams
10- Ranan Arafat, 3 anni
11- Essam Abu El-Mazzah, 20 anni
12- Hani Al-Kaseeh, 18 anni
13- Ahmed Al-Masharawi, 11 anni
14- Hiba Al-Masharawi, 19 anni, incinta
15- Mahmud Sawaween, 65 years old
16- Hanin Tafish, 10 mesi
17- Tareq Jamal Naser, 16 anni
18- Oday Jamal Nasser, 14 anni
19- Fares al-Bassiouni
20- Mahmoud Sadalla, 3 anni
21- Ismail Qandil, 24 anni
22- Tahrir Suleiman, 22 anni
23- Non identificato
24- Non identificato
25- Ziad Abu Jlal
26- Amjad Abu Jlal
27- Ahmed Abu Jlal
28- Hasan Abu Hmela
29- Khaled Shaer
——————————————
Per ulteriori informazioni, contattare:
Adie Mormech (Inghilterra)
Adriana (Italiano, Spagnolo)
Gisela Schmidt Martin (Irlanda)
Joe Catron (Stati Uniti)
Lydia de Leeuw (Olanda)
Meri (Italia) +972 (0) 592280943 +972 (0) 597241318 +972 (0) 592778020 blipfoto.com/GiselaClaire +972 (0) 595594326 twitter.com/jncatron +972 (0) 597478455 asecondglance.wordpress.com +972(0)598563299
Siamo un gruppo di internazionali che vivono nella Striscia di Gaza e lavorano negli ambiti del giornalismo, dei diritti umani, dell’educazione, dell’agricoltura. Cerchiamo di difendere e promuovere i diritti della popolazione civile palestinese di fronte all’occupazione israeliana e alle operazioni militari. Oltre ad essere noi stessi testimoni oculari, raccogliamo informazioni dalle nostre reti personali in tutta la Striscia di Gaza, dai media locali, dal personale medico e dalle ONG internazionali presenti a Gaza. Verifichiamo ciò che divulghiamo e speriamo che i nostri resoconti possano contribuire a rendere più accurata la copertura mediatica della situazione di Gaza.
Gaza: continua l’agressione israeliana, il Mondo tace
GAZA – Altri sei bambini e tre adulti morti sono stati estratti dalla macerie di una casa nel rione Nasser di Gaza.
Così riferiscono fonti giornalistiche locali, spiegando che
appartengono alla famiglia Adalu. Sale quindi a nove il tragico
bilancio di bambini uccisi durante i raid. La Farnesina invece conferma
che sono stati evacuati i nove cooperanti italiani rimasti bloccati a
Gaza questa mattina. Intanto, Israele si dice pronto a un accordo di
tregua con i gruppi di resistenza palestinese ma solo se questi ultimi
metteranno fine al lancio di razzi dalla Striscia di Gaza Israele. Lo ha
detto questa mattina il ministro degli Esteri israeliano, Avigdor
Lieberman. Le nostre forze armate hanno colpito 1.000 obiettivi e
continuano in questi momenti nelle proprie attività, siamo pronti per
estendere le operazioni in maniera significativa», aveva detto il
premier Benyamin Netanyahu, nella odierna seduta del consiglio dei
ministri. Tuttavia la situazione a Gaza non può essere esasperata e
sarebbe «preferibile che la crisi si concluda senza alcuna escalation»,
ha affermato il presidente Usa, Barack Obama in una conferenza stampa a
Bangkok. E anche il ministro britannico degli Affari esteri, William
Hague, ha avvertito oggi Israele che un’operazione terrestre a Gaza
potrebbe costare a Telaviv una grande perdita del suo sostegno
internazionale, stimando che essa «minaccerebbe di prolungare il
conflitto». «Il primo ministro e io stesso abbiamo spiegato ai nostri
omologhi israeliani che un’invasione terrestre a Gaza costerebbe a
Israele una grande perdita di sostegno internazionale», ha dichiarato il
capo della diplomazia di Londra. «Un’invasione terrestre è più
difficile da sostenere per la comunità internazionale», ha aggiunto il
ministro Hague. Ma intanto a Gaza si continua a morire sotto gli occhi
della comunità internazionale che fino a oggi non ha messo un dito per
impedire i crimini commessi da Israele contro il popolo indifeso
palestinese.
Fonte:Irib
visto su Lo Sai
Non si deve essere ingannati da Alì abu Nimah di Electronic Intifada, che sembra avere una posizione radicale in TV, mentre argomenta su al-Jazeera a favore di Gaza, ma si dovrebbe piuttosto guardare da vicino il pensiero che guida abu Nima e il BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzione), il movimento di cui Electronic Intifada fa parte. Questo movimento è una ONG finanziata dall’Unione europea, stretta alleata di Israele, e da George Soros, un liberale sionista e da altre organizzazioni simili. Mentre chiedono il boicottaggio dei prodotti israeliani, prendono denaro dal più grande partner commericale di Israele, con cui ha il maggior tasso di scambi: l’Unione europea. E mentre chiede di boicottare le merci e gli scambi artistici e accademici con Israele, non hanno mai provato a chiedere il divieto di inviare armi ad Israele all’UE e agli Stati Uniti.
Si può anche dire che BDS e Electronic Intifada siano stati indirettamente arruolati da Israele, i cui interessi servono. L’idea principale di tali gruppi è riconoscere lo Stato di Israele e cercare una soluzione al problema palestinese, ma nel quadro di Israele. Considerano Israele uno stato d’apartheid che dovrebbe seguire il modello sudafricano, applicando la formula adottata dal Sud Africa per porre fine alla segregazione. In base a ciò, Israele dovrebbe annettersi i territori occupati nel 1967, per formare un paese, un Israele che abbandoni le sue politiche razziali e dia ai palestinesi diritti legali. Questo è, al nocciolo, ciò che Alì abu Nimah concepisce come soluzione del problema palestinese che, non solo è fuori luogo soltanto perché la Palestina non è il Sud Africa, ma perché sembra risolvere i problemi di Israele piuttosto che quelli dei palestinesi.
Si noti il disegno di sopra, ripreso da Electronic Intifada, di come mette sullo stesso piano Siria e Israele, considerandoli uguali. Questo è esattamente il tipo di propaganda che serve gli scopi sionisti.
Stato e potenza
Gaza: Boicotta i boicottatori di BDS
Sons of MalcolmNon si deve essere ingannati da Alì abu Nimah di Electronic Intifada, che sembra avere una posizione radicale in TV, mentre argomenta su al-Jazeera a favore di Gaza, ma si dovrebbe piuttosto guardare da vicino il pensiero che guida abu Nima e il BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzione), il movimento di cui Electronic Intifada fa parte. Questo movimento è una ONG finanziata dall’Unione europea, stretta alleata di Israele, e da George Soros, un liberale sionista e da altre organizzazioni simili. Mentre chiedono il boicottaggio dei prodotti israeliani, prendono denaro dal più grande partner commericale di Israele, con cui ha il maggior tasso di scambi: l’Unione europea. E mentre chiede di boicottare le merci e gli scambi artistici e accademici con Israele, non hanno mai provato a chiedere il divieto di inviare armi ad Israele all’UE e agli Stati Uniti.
Si può anche dire che BDS e Electronic Intifada siano stati indirettamente arruolati da Israele, i cui interessi servono. L’idea principale di tali gruppi è riconoscere lo Stato di Israele e cercare una soluzione al problema palestinese, ma nel quadro di Israele. Considerano Israele uno stato d’apartheid che dovrebbe seguire il modello sudafricano, applicando la formula adottata dal Sud Africa per porre fine alla segregazione. In base a ciò, Israele dovrebbe annettersi i territori occupati nel 1967, per formare un paese, un Israele che abbandoni le sue politiche razziali e dia ai palestinesi diritti legali. Questo è, al nocciolo, ciò che Alì abu Nimah concepisce come soluzione del problema palestinese che, non solo è fuori luogo soltanto perché la Palestina non è il Sud Africa, ma perché sembra risolvere i problemi di Israele piuttosto che quelli dei palestinesi.
Si noti il disegno di sopra, ripreso da Electronic Intifada, di come mette sullo stesso piano Siria e Israele, considerandoli uguali. Questo è esattamente il tipo di propaganda che serve gli scopi sionisti.
Stato e potenza
0 commenti:
Posta un commento