martedì 6 agosto 2013

Il volto dei dirittoumanisti a la page, della "società civile" e dei buoni sentimenti, un tanto al kilo.
Barbara

Chi è Carlo De Benedetti, il proprietario del Gruppo Espresso, dunque l’editore de la Repubblica, il quotidiano che pretende di moralizzare da 40 anni l’intero paese? Proprio sicuri che l’ex Presidente dell’Olivetti abbia tutti i titoli per farlo? Davvero, per De Benedetti, è scandaloso che l’autista di Beppe Grillo, Walter Vezzoli, abbia delle piccole società in Costa Rica [2], paese dove realmente ha vissuto per 10 anni? Oppure è per altro che ci dovremmo scandalizzare?
L’ingegnere De Benedetti raramente compare in tv. Se lo fa, è per farsi intervistare da trasmissioni amiche. La parte che recita è sempre la stessa: quella del guru che può indicare la retta via alla classe dirigente del bel paese. Lui, il bel paese, lo conosce bene. Parliamo, per chi non lo sapesse, di uno degli uomini più ricchi e potenti d’Italia. Una sorta di Berlusconi “de sinistra”. Già Presidente dell’Olivetti e amministratore delegato di Fiat, “nel 1981 entrò nell’azionariato del Banco Ambrosiano guidato allora dall’enigmatico presidente Roberto Calvi. Con l’acquisto del 2% del capitale, De Benedetti ricevette la carica di vicepresidente del Banco. Dopo appena due mesi, l’Ingegnere lasciò l’istituto, già alle soglie del fallimento, motivandone le ragioni sia alla Banca d’Italia sia al ministero del Tesoro e cedendo la sua quota azionaria. De Benedetti fu accusato di aver fatto una plusvalenza di 40 miliardi di lire e per questo processato per concorso in bancarotta fraudolenta. Fu condannato in primo grado e in appello a 8 anni e 6 mesi di reclusione, sentenze poi annullate dalla Cassazione poiché non esistevano i presupposti per i quali era stato processato (cit. Wikipedia) [3]“.
La storia dell’Olivetti, che è stata una delle più grandi aziende nel campo informatico al mondo, è una storia di disastri targati De Benedetti. Ironicamente, Il Giornale lo definisce “il suo capolavoro” [4]. Fra il 1985 e il 1996 il proprietario di Repubblica, L’Espresso e tanta altra roba, “ha bruciato a Ivrea 15.664 miliardi delle vecchie lire. Le azioni crollarono da 21mila lire all’abisso delle 600, furono persi decine di migliaia di posti di lavoro, l’intero distretto produttivo del Canavese venne raso al suolo, seppellita per sempre una storia industriale d’eccellenza. Alla fine dell’impresa De Benedetti commentò piuttosto compiaciuto: «Missione compiuta»”. Missione compiuta un corno, come si suol dire.

“Anche il suo rapporto con le società è sempre stato da cannibale – scrive Mario Giordano. – Quattro morsi e via. Dalla Fiat se ne andò dopo 4 mesi, dal Banco Ambrosiano dopo 40 giorni. In entrambi i casi se ne uscì con tanti soldi e qualche ombra”.

Speculazione allo stato puro, eppure l’ingegnere – tesserato del Pd – ha sempre “buoni consigli” da darci per uscire dalla crisi.

De Benedetti ha passato anche un giorno in galera, a Regina Coeli [5]. Una brutta storia di tangenti milionarie, all’epoca miliardarie. Una storia gigantesca, un pezzo d’Italia, finito subito nell’oblio.

Scrive il Corriere della Sera del 3 novembre 1993:

“Storie di tangenti versate, di tangenti che il suo gruppo è stato costretto a pagare. Storie di un concusso, insomma. E non di un grande corruttore, come e’ stato descritto nell’ ordine di custodia cautelare. L’ ingegner Carlo De Benedetti, inizialmente, si sarebbe difeso riproponendo le tesi già abbondantemente illustrate nel memoriale consegnato nella scorsa primavera a Di Pietro (sono stato obbligato a pagare perché non c’ erano altre possibilità ); poi avrebbe modificato il suo atteggiamento fornendo ai giudici elementi nuovi, definiti interessanti, grazie ai quali avrebbe ottenuto gli arresti domiciliari. Sempre cortese e gentile, mai con tono risentito o perdendo la calma, il patron della Olivetti ha passato buona parte delle sue ore a Regina Coeli, davanti ai magistrati che ne hanno ordinato l’ arresto. E alla fine l’ha spuntata. Poco prima delle 23, infatti, è arrivato in carcere il fax, firmato dal giudice per le indagini preliminari Augusta Iannini, con il quale gli veniva consentito di tornarsene a casa (corriere.it)”.

Insomma, l’editore di Repubblica ammise in un primo momento di pagare tangenti altrimenti non avrebbe potuto lavorare. E’ quanto avrebbe confessato anche al Wall Street Journal sempre nel 1993 [6]: “Se dovessi rifare tutto di nuovo, lo rifarei: pagherei le tangenti ai politici per ottenere le commesse pubbliche“.

E’ un po’ la tesi di Silvio Berlusconi che, qualche settimana fa, in campagna elettorale, ha affermato che è normale, per le grandi aziende, pagare tangenti per potere lavorare all’estero.

Ma procediamo. De Benedetti, per la cronaca, fu assolto. Una assoluzione che ancora oggi fa discutere. E comunque, non possiamo che prenderne atto. Così come prendiamo atto che il Gruppo Espresso, nel 2012, ha subito una multa di ben 225 milioni di euro [7]. Una notizia gigantesca, eppure censurata dalla stragrande maggioranza dei giornali. Il Fatto Quotidiano è tra i pochissimi a fornirla [8]. Il giornale diretto da Padellaro precisa che la sentenza è di secondo grado e che il Gruppo Espresso ha fatto ricorso il Cassazione. Resta il fatto che si parla di una evasione, o elusione fiscale che dir si voglia, colossale: come mai la vicenda non ha avuto quasi alcun risalto? Mistero.

 Non è un mistero, invece, che l’ingegnere Carlo De Benedetti abbia residenza in Svizzera. Ma come, il papà del quotidiano e del settimanale che si battono contro i paradisi fiscali utilizza questi artifici per pagare meno imposte? Proprio così. Il miliardario Carlo De Benedetti è ufficialmente un cittadino svizzero, uno straniero, un extracomunitario che vuole indicare la retta via al paese.
Riferendosi al proprietario di Repubblica, diceva Indro Montanelli: “Se l’ integrità morale degli editori è vulnerata risulta indebolita la credibilità della stampa e, di conseguenza, l’ efficacia del controllo che essa deve esercitare per conto dei cittadini sulle istituzioni e sulla pubblica moralità”. Poi questa frase, rimasta celebre: “Conosco molti furfanti che non fanno i moralisti, ma non conosco nessun moralista che non sia un furfante”.

  [9]
Fonte: Contro Copertina [1]


Napolitano sfuggito alle maglie di tangentopoli. Perché?

Come il Pd di oggi, nessuno sa mai niente.

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