Scusate,
oggi vorrei essere per nulla garantista, e tendenzialmente
irrispettoso dei cosiddetti “diritti acquisiti”: se non altro
perché nel caso delle pensioni d’oro, non sono diritti, e quindi
non possono diventare acquisiti. Confesso che sono uno di quelli che
è rimasto allibito nello scoprire che i centomila «super-pensionati»
italiani costano al nostro sistema ben 13 miliardi di euro all’anno,
come una mezza finanziaria. Credo che la risposta che il
sottosegretario al Welfare, Carlo Dell’Aringa, ha dato in
commissione Lavoro della Camera a un’interrogazione della
pidiellina Deborah Bergamini, non sia quindi una notizia normale, ma
che resterà nelle nostre coscienze una data spartiacque, un punto di
non ritorno, l’antefatto – se non si interviene – di una futura
guerra previdenziale.
Forse
non tutti sanno che da anni il sito dell’Inps non fornisce
previsioni di rateo per la generazione dei sub-quarantenni. E
forse sapete anche che – secondo tutti gli studi – l’aspettativa
tendenziale per chi è nato negli anni Settanta è quella di lavorare
il doppio della generazione dei padri, per ottenere una rendita
previdenziale che sia pari alla metà. È ovvio quindi che in questa
forma di nuova segregazione generazionale, i 91 mila 337,18 euro
lordi mensili percepiti da Mauro Sentinelli, ex manager e ingegnere
elettronico della Telecom (3.008 euro al giorno!) non dovrebbero
suonare come una notizia di colore, ma come la dichiarazione di
guerra a un mondo che non esiste più. Sentinelli non è ovviamente
colpevole di nessun crimine, sul piano personale, ma lui e quelli che
sono nella sua posizione, dovrebbero essere immediatamente oggetto di
un decreto di esproprio, che riporti tutte le loro retribuzioni al
parametro contributivo, con lo stesso rigore draconiano che la
riforma Fornero ha imposto a milioni di italiani: ottengano la
rivalutazione di quello che hanno pagato di contributi, e non una
lira di più.
Tra
vent’anni – infatti – quando avremo i primi casi di barbonismo,
suicidio, o affidamento ai servizi sociali, per milioni di ex precari
che davanti a
loro non hanno altra via della pensione minima sociale, ci chiederemo
come sia stato possibile che il secondo pensionato più ricco
d’Italia (anonimo) prendesse 66.436,88 euro al mese, mentre al
terzo posto con circa 51.781 euro, ci fosse Mauro Gambaro, ex
direttore generale di Interbanca e dell’Inter (oggi advisor
specializzato nel corporate finance e presidente del cda di Mittel
management). Ci sono poi Alberto De Petris, ex di Infostrada e
Telecom, che porta a casa circa 51 mila euro, Germano Fanelli,
fondatore della Octotelematics (che nel 2010, bontà sua accumulava
dieci incarichi differenti. Dal quinto al decimo posto della classica
si resta intorno alla modica cifra di 40 mila euro, esattamente da
47.934,61 a 41.707,54 euro.
In
questo ambito dovrebbero ritrovarsi anche manager come Vito
Gamberale, amministratore delegato di F2i, oppure
Alberto Giordano, ex Cassa di Roma e Federico Imbert, ex JP Morgan.
Il problema che rende tutto ancora più grottesco è che molti di
questi manager continuano a percepire emolumenti di diverso tipo che
spesso si sommano alla pensione erogata. Un’altra follia. «Questi
numeri – ha commentato la Bergamini, che ha ammesso di non aver
neanche immaginato che la risposta alla sua interrogazione potesse
scoperchiare questo abisso – dimostrano tutta la portata distorsiva
di quel criterio retributivo dal quale ci stiamo fortunatamente
allontanando grazie alle riforme pensionistiche degli ultimi anni.
Benché gli interventi in materia siano particolarmente delicati,
anche sul fronte della costituzionalità, e avendo cura di evitare
qualsiasi colpevolizzazione verso i beneficiari di questi
trattamenti, (che li hanno maturati secondo le regole vigenti) è
evidente – conclude la deputata del Pdl – che il tema coinvolge
una questione di equità e di coesione sociale». Vero, verissimo.
Questa non è una lista di proscrizione che riguarda i singoli, ma la
denuncia di una stortura che in tempi di rigore diventa
inaccettabile.
La
domanda che pongo è questa: se si può riscrivere la Costituzione
per rivedere la forma di governo dello Stato, se
si può abolire una Camera o istituire un sistema Presidenziale,
perché non si può introdurre una volta per tutte – e a grande
maggioranza – un criterio di feroce rigore, che imponga
l’uguaglianza previdenziale e contributiva tra i cittadini? Anche
perché, ragionando con gli occhi di domani, con le risorse e la
morale di cui disporremo domani, quello che oggi appare grave, domani
sarà socialmente insostenibile. Se c’è una cosa a cancellare
con un urgenza dunque, sono i porcellum: a partire da quello
previdenziale.
Luca Telese
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