Letta invita ad investire in italia . Questi ipotetici investitori sanno che la pressione fiscale è al 75%?
Oppure "gli illuminati" sugli scranni italici intendono elaborare altre regalie da elargire solo alle multinazionali ed ai colossi stranieri sullo stile della possibilità di emettere scontrini non fiscali o energia elettrica quasi regalata ad altri gruppi, addebitata alle PMI?
O forse anche gli imprenditori italiani , come quei 22,6 MILIONI di connazionali DISOCCUPATI ( su 40 milioni) sono considerati choosy dato che non vogliono investire e creare occupazione? Il racconto servile xenofilo volto ad annientare il locale tricolore, narra di una imprenditoria autoctona volta a campare di sola evasione fiscale. Il messaggio dunque è ben venga la sparizione del genius loci e il suo rimpiazzo con la
"civiltà" anglosassone, tanto umana giusta, solidale e corretta.
"civiltà" anglosassone, tanto umana giusta, solidale e corretta.
La cosiddetta riforma Fornero ha offerto la possibilità di licenziare molto più facilmente, ha introdotto lo stipendio minimo a 400 euro mensili ma le imprese continuano a chiudere o delocalizzare. Che non passi attraverso le "riforme" la possibilità di creare nuovi posti di lavoro?
A Londra lanciano i contratti a zero ore, vedi dettagli nell'articolo sotto riportato.
I capannoni in Marocco ed altrove li danno in uso gratuito per due anni.
I governi, una volta sovrani, ora si son ridotti a fare le offerte promozionali per "attrarre investitori" che ci porterebbero in dono posti di lavoro precari e con salari da fame. Il tutto in un quadro di "competizione" che spinge ogni nazione ad "alzare la posta" per ingraziarsi i favori di un qualche colosso straniero a discapito sia dell'imprenditoria locale, sia delle altre nazioni che fanno altrettanto.
Che sia questo ciò che intendevano per "Borsa del lavoro"? Una specie di mercato delle vacche dove queste ultime sono sostituite dai popoli. Oggi vengono offerti italiani a 400 euro al mese, domani in promozione i serbi a 300 euro con capannone chiavi in mano, tra due mesi greci regalati al costo di una tazza di riso.
Una volta i soldi delle tasse "sexy" servivano per finanziare lo stato sociale (quello che in realtà in Italia non è mai esistito se non sotto forma di elargizioni ad alcune categorie protette dal fu art 18, mentre per gli altri rimaneva solo la provvidenza divina) ora servono per poter "attrarre gli investitori". Ma, mentre si stronca l'ossatura di questa nazione, ossia le PMI, dissanguandole fino a farle sparire, davvero i Letta e compari bilderberghiani e bocconiani ritengono di poter aumentare il benessere della comunità italia sostituendo le sue imprese con pochi, capricciosi, costosi, esigenti, parassitari colossi stranieri? Pensano che, una volta attratti con una "speciale promozione" possano poi aumentare loro il carico fiscale fino al livello attuale pagato dalle PMI? Se mai accadesse volerebbero sicuramente verso altri lidi che offrono una proposta di quelle che non possono essere rifiutate.
Come il ministro Kyenge prevede di sostituire i vecchi anziani (un peso per l'Inps) con giovani "risorse" (che pur di lavorare abusivamente ad esempio squarciano i lettini per ritorsione a Rimini, uno scambio culturale, direbbe la Boldrini) così i Letta intendono spazzare via quel che rimane della cultura del reale made in Italy. Chissà perché, siamo sempre noi a dovere importare la "cultura" dall'estero, mentre la nostra è considerata solo ciarpame provinciale e campanilista.
Il due pesi e due misure è ormai diventato l'unico fulcro di questo disgraziato paese.
LONDRA ABBASSA LA DISOCCUPAZIONE CON IL PRECARIATO TOTALE: I CONTRATTI ZERO HOURS
16 agosto 2013
Il contratto a zero ore esistente in Gran Bretagna non concede ai lavoratori né un salario, né un orario minimo di lavoro. Totale è la flessibilità, che può esporre a gravi abusi. Ormai il 3,5% dei dipendenti inglesi sono assunti grazie a questa formula contrattuale, con il risultato di falsare le statistiche ufficiali sulla disoccupazione.
La nota flessibilità sociale della cultura anglosassone ha partorito in Gran Bretagna un “geniale” metodo per risolvere il dramma della disoccupazione che affligge il Vecchio Continente, isole incluse e Germania esclusa: il lavoro con contratto cosiddetto “zero hours”.
IL CONTRATTO ZERO HOURS
Gli zero hours sono rapporti di lavoro regolari, ma con la caratteristica sostanziale che il datore (a sua piena discrezione) può convocare il dipendente per incarichi che possono andare da pochi giorni a qualche settimana, intervallati da periodi di inattività ignoti a priori e senza limiti di durata. Chiaramente i periodi non lavorati non sono retribuiti e per di più questi contratti non prevedono copertura in caso di malattia né ferie (nonostante le norme europee sul lavoro dipendente impongano il riconoscimento di tali diritti). Oltre alla possibilità di non prevedere un minimo di ore da lavorare e una retribuzione di base, la paga oraria riconosciuta è di solito bassa. Il contratto a zero ore può essere applicato sia al settore privato che a vantaggio delle amministrazioni pubbliche: infatti anche il settore pubblico vi sta ricorrendo, spinto dall’esigenza di rimpiazzare i tagli di personale seguiti alla spending review britannica (di recente Buckingham Palace, la residenza ufficiale del sovrano del Regno Unito, ha assunto 350 dipendenti a zero ore).
In sostanza in Gran Bretagna è stata creata una massa di lavoratori che servono a coprire i picchi produttivi dettati dalla domanda. Per un’azienda il beneficio di questa tipologia contrattuale è tutt’altro che trascurabile: massima flessibilità, possibilità di rispondere con tempestività ai picchi di richiesta del mercato, notevole contenimento dei costi fissi del personale, organici di lavoratori a tempo indeterminato ridotti all’osso. Per i dipendenti, di converso, questo contratto implica la totale precarizzazione del lavoro, in cambio di nessun riconoscimento economico o di formazione professionale.
Dal punto di vista burocratico i contratti zero hours sono equiparati alle altre forme di assunzione e quindi inclusi nelle statistiche sul lavoro: il dipendente non risulta come disoccupato, ma è sempre considerato nelle rilevazioni ufficiali come lavoratore impiegato full-time (a prescindere dal suo impiego concreto)! L’indicatore della disoccupazione, quindi, è drogato da una formula contrattuale che può nascondere tempi di lavoro minimi o addirittura nulli: in pratica le statistiche sul lavoro sono fortemente sospettate di essere falsate, visto che includono elementi tali da renderle inutilizzabili per avere realmente il polso della situazione occupazionale del paese.
UN MILIONE DI LAVORATORI A ZERO ORE
Finchè gli zero hours erano considerati una formula residuale di impiego (i dati ufficiali, sino a poche settimane fa, indicavano 200-250mila contratti in essere), i sindacati britannici hanno storto il naso, ma hanno accettato lo stato di fatto. Tuttavia di recente l’attenzione mediatica in Gran Bretagna è tornata forte sull’argomento, a seguito di un report del Chartered Institute of Personnel and Development (Cipd, autorevole istituto britannico di ricerca in materia lavoristica spesso utilizzato dall’Onu e da altre Agenzie internazionali): smentendo i dati ufficiali dell’ufficio nazionale di statistica, lo studio ha concluso che nel Regno Unito i lavoratori a zero ore sono almeno un milione, quattro volte di più rispetto alle stime ufficiali.
Il fenomeno, quindi, non riguarda più quella (limitata) parte di mano d’opera necessariamente flessibile necessaria per il buon funzionamento del mercato del lavoro e dell’economia in generale, ma si configura come un vero e proprio fenomeno di massa strutturale, in grado anche di fornire falsi segnali su come impostare le politiche pubbliche sul lavoro (proprio perchè inficia l’attendibilità dei dati sulla disoccupazione).
MENO DISOCCUPAZIONE NONOSTANTE LA CRISI
In Gran Bretagna molti osservatori spiegano il paradosso della crescita dell’occupazione durante la crisi economica proprio con i nuovi numeri attribuiti al contratto zero hours: visto che circa il 3,5% della forza lavoro rientra in questa categoria, vuol dire è in corso una migrazione dalle forme contrattuali ordinarie verso una formula più conveniente per il datore di lavoro in una fase congiunturale in cui il lavoratore è particolarmente debole in termini di diritti e tutele. In sostanza il sospetto è che oggi in Gran Bretagna non vi sia concretamente più lavoro, ma solo più contratti di lavoro (per lavoratori che lavorano meno). Due esempi su tutti: la catena di negozi Sports Direct ha 20mila dipendenti a zero ore (su 23mila), McDonald’s Uk impiega il 90% del personale (92mila collaboratori) a zero ore. I numeri sui contratti a zero ore, quindi, spiegano come mai i paesi mediterranei non riescono a replicare il “miracolo” della diminuzione della disoccupazione britannica a fronte di un Pil stagnante: semplicemente in questi paesi non è stato introdotta una formula in grado di gonfiare la validità delle rilevazioni statistiche.
Andamento della disoccupazione in Gran Bretagna
Evoluzione del Pil britannico
In precedenza il decremento della disoccupazione era attribuito all’effetto del “labour hoarding”, la diffusa prassi adottata dalle aziende in crisi di ridurre le condizioni economiche ai dipendenti al fine di evitarne il licenziamento (rimandando a tempi migliori il ripristino delle condizioni pregresse). Oggi appare chiaro che è più semplice (e conveniente) mantenere personale a zero ore, piuttosto che dipendenti con contratti d’impiego tradizionali (anche nel caso in cui accettino di essere sottopagati).
L’EFFETTO ZERO HOURS SUL MONDO DEL LAVORO BRITANNICO
Se si vuol cogliere un aspetto positivo, sicuramente i contratti zero hours eliminano ogni forma illegale di arbitraggio sul lavoro (caporalato). Ma è stata introdotta una discrezionalità assoluta a vantaggio di uno dei contraenti: con tale formula, infatti, non ha più senso il concetto stesso di licenziamento, come altissimi sono i rischi di abusi conseguenti alla normale dialettica fra lavoratore e il suo superiore. Peraltro non sembrano essere rari i casi in cui il datore di lavoro mette in competizione fra loro i dipendenti per l’assegnazione di incarichi (resi scientemente esigui rispetto ai lavoratori disponibili). Un ulteriore aspetto deteriore degli zero hours riguarda la stratificazione (legalmente accettata) fra dipendenti appartenenti a categorie di privilegio differenziate: già si sono verificati casi di premi aziendali attribuiti ai lavoratori ordinari e non a quelli a zero ore (seppure legalmente considerati a tempo pieno e spesso anch’essi con contratti a tempo indeterminato), anche a parità di numero di ore lavorate su base annua. In sostanza il rischio è che vengano istituzionalizzati fenomeni di bullismo e di prevaricazione (fino a giungere ad atteggiamenti apertamente ricattatori) sui luoghi di lavoro.
Appare stupefacente il risultato di un recente sondaggio pubblicato dalla stampa britannica: i lavoratori a zero ore non sarebbero mediamente insoddisfatti della loro condizione, visto che solo il 14% vorrebbe lavorare di più. Seppure tale formula contrattuale riesce a soddisfare in qualche modo quella parte di lavoratori che non ambisce ad un impegno full-time (una quota di lavoratori può o vuole dedicarsi al lavoro per tempi limitati ed è disposta a rinunciare alle tutele dei tipici contratti part-time pur di lavorare), noi di Economy2050 riteniamo incredibile che in Gran Bretagna oltre 850mila cittadini (l’86% dei dipendenti a zero ore) siano soddisfatti di avere un impiego che non consente loro di contare su uno stipendio più o meno stabile. Il che si traduce, in termini pratici, in forti difficoltà a trovare un alloggio in locazione (nel Regno Unito l’affitto è molto più diffuso che in Italia) e nella preclusione di ogni possibilità di accesso al credito bancario. Il tutto, lo si ricorda, senza alcuna assistenza in caso di malattia.
Più attinente alla realtà appare la notizia che stanno partendo in Gran Bretagna le prime cause pilota in cui alcuni lavoratori lamentano dei danni (morali e psicologici, oltre che economici) subiti a seguito di abusi nella gestione dei contratti a zero ore da parte dei datori di lavoro: qualora la magistratura dovesse fissare dei paletti rigidi alla risarcibilità dei danni provocati dall’abuso della flessibilità lavorativa, c’è da scommettere che si scoprirà (nelle aule dei tribunali) che solo una minima parte dei lavoratori zero hours sono soddisfatti della loro attuale condizione.
mi sa che questa cosa dello zero hour sarà presto sui nostri schermi magari supersponsorizzato dai nostri "compagni" col magliocino verde vomito pieno di pulci
RispondiEliminap.s. non ho mai capito perchè i sinistrati adorano quei maglioncini schifosi...
il mondo è proprio strano a volte
lelamedispadaccinonero.blogspot.it