A Bruxelles è in corso il primo
meeting di associazioni, sindacati e movimenti Usa e Ue per
fermare il Trattato Transatlantico su commercio e
investimenti (T-Tip). I negoziati ufficiali sono cominciati
martedì e gli Stati uniti hanno presentato una lista di
settori chiave con relativi prodotti e servizi che
dovrebbero esser parte dell’accordo di libero scambio per i
mercati europei
BRUXELLES – Piccole presentazioni
di pochi minuti, con i capo negoziatori di Usa e Ue competenti
per i diversi gruppi in prima fila, a fare piccole domande ai
rappresentanti dei più disparati gruppi di interesse – dai
sindacati, alle imprese, dalle corporations agli esportatori
agricoli, dagli ambientalisti alle organizzazioni
professionali europee e statunitensi – studiate per ottenere
piccole risposte, il meno approfondite possibili. Il
“democratico” confronto inaugurato mercoledì 12
marzo a Bruxelles dalla Commissione europea a margine della settimana di trattative ufficiali del Trattato Transatlantico su commercio e investimenti (TTIP) – fatto di gruppi di lavoro aperti e di interventi programmati dove dire la propria come in uno speaker corner – è il fiore all’occhiello della strategia dell’Unione europea per combattere le critiche contro la segretezza di un negoziato tanto importante per la credibiità politica dell’élite che l’ha lanciata, aprendo spazi di dialogo controllato.
marzo a Bruxelles dalla Commissione europea a margine della settimana di trattative ufficiali del Trattato Transatlantico su commercio e investimenti (TTIP) – fatto di gruppi di lavoro aperti e di interventi programmati dove dire la propria come in uno speaker corner – è il fiore all’occhiello della strategia dell’Unione europea per combattere le critiche contro la segretezza di un negoziato tanto importante per la credibiità politica dell’élite che l’ha lanciata, aprendo spazi di dialogo controllato.
Gli Stati Uniti,
invece, con il solito approccio ruvido e diretto, hanno
affidato a un comunicato stampa pubblico di ben nove
pagine la “lista della spesa” dei nostri pezzi di mercato
in cui vogliono entrare con i loro prodotti e servizi,
articolata capitolo per capitolo e senza girarci tanto
intorno. Scorrerla è istruttivo, soprattutto perché
chiarisce i contorni concreti della questione, visto che
si apre con la volontà dichiarata di “eliminare tutti i
dazi e le tariffe sui prodotti agricoli, industriali e di
consumo, una sostanziale parte dei quali da eliminare con
l’entrata in vigore dell’accordo”.
A fronte
degli oltre 730 milioni di dollari di prodotti che gli
Stati Uniti esportano in Europa, e della ripresa della
produzione manifatturiera negli Usa, l’obiettivo è quello
di vendere sempre più pezzi e componenti a quell’Europa
che non li produce più, e per farlo c’è un’unica
condizione: abbattere anche gli standard di sicurezza,
qualità e salute che al momento li mettono fuori legge da
noi. Ogm, residui chimici, di pesticidi, di
ormoni, sono considerate dagli Usa “restrizioni non basate
sulla scienza, ingiustificate barriere tecniche al commercio,
che limitano le opportunità degli esportatori Usa di
competere”.
Da parte Usa si professa di voler
“mantenere il livello di sicurezza, salute e sicurezza
ambientale che la nostra gente si aspetta”, ma anche “di voler
cercare una maggiore compatibilità tra livelli di regole e
standard tra Usa e Ue” indicando nell’Organizzazione Mondiale
del Commercio, e non come un’istituzione di stato o delle
Nazioni Unite, ma nemmeno in un’istituzione scientifica, il
modello cui ci si vuole ispirare per liberare il commercio da
queste fastidiose variabili come la salute di tutti noi e il
futuro del nostro clima.
La qualità dei prodotti agricoli e
del cibo in America – dove sono tuttora sul mercato sostanze e
prodotti da noi vietati da anni perché provatamente tossici e
cancerogeni – dovrebbero essere perfettamente legali anche da
noi, secondo il comunicato del Ministero del commercio Usa,
perché “si basano su evidenze scientifiche e non su ostacoli
al commercio infondati”. Questo non renderebbe solo più
competitive le imprese americane, assicurano, ma stabilirebbe
un meccanismo permanente innovativo per risolvere questi
problemi.
L’idea, dunque, è di introdurre un
nuovo organismo congiunto di cooperazione sugli standard, che
si porrebbe ad un livello superiore rispetto alle legislazioni
nazionali e che, stando al numero di righe ad esso dedicate
dal comunicato, è uno degli obiettivi più importanti da
portare a casa per i negoziatori americani. Connesso a questo
percorso, c’è anche quello di semplificare le regole
d’origine, di prodotti e servizi per evitare che ad alcune
merci vengano garantiti spazi provilegiati di mercato. Con
buona pace del Made in Italy come del Borgogna questo è un
altro obiettivo degli esportatori a stelle e strisce: impedire
ai nostri produttori di opporsi alle loro copie a basso costo
dei nostri prodotti tipici, e di abbattere le denominazioni
d’origine e di qualità che sono tanto care ai consumatori
attenti, ma tanto penalizzano i produttori intensivi delle due
sponde dell’Oceano.
Chiudiamo con un sorriso: dallo
stesso comunicato stampa apprendiamo che gli Stati Uniti, che
non hanno mai sottoscritto il Protocollo di Kyoto per
l’abbattimento delle emissioni climanteranti, almeno quanto
una montagna di altre convenzioni internazionali per la
protezione dell’ambiente si ritengono “leader nella ricerca di
misure di protezione ambientale d’alto livello e di
un’efficace implementazione delle leggi a difesa dell’ambiente
all’interno delle regole commerciali”. Per continuare ad
essere tali, affermano, vogliono “abbattere tutte le barriere
commerciali in atto rispetto ai prodotti, alle tecnologie e ai
servizi ambientali come l’energia pulita”, tra cui essi, però,
inseriscono il gas derivato da fracking e il nucleare. C’è da
pensare che prima di venerdì, quando i negoziatori saliranno
sui loro aerei per tornare tutti a casa, di risate come queste
ce ne saremo fatte tante tante altre. E che la preoccupazione
sul futuro che ci aspetta sarà cresciuta almeno altrettanto.
Monica Di Sisto
Fonte: http://comune-info.net
15.03.2014
Per sostenere la Campagna italiana
per fermare il TTIP www.stop-ttip-italia.net (http://www.stop-ttip-italia.net/ )
www.facebook.com/pages/Stop-TTIP-Italia/ ( http://comune-info.net/2014/03/ttip-americani-e-la-lista-della-spesa/www.facebook.com/pages/Stop-TTIP-Italia/ )
ben venga no?
Non sono i tedeschi che stanno comprando tutte le nostre aziende?
qui uno slideshow marchio per marchio
Vuoi mettere essere fagocitati dagli yankees? Ci salveranno no?
Gioiamo
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