lunedì 23 settembre 2013

La serietà dell'ente mondialista che decreta ed autorizza la guerra giusta.
E' questo il vantato parto della seconda guerra mondiale? Seguono altri articoli che smascherano l'identià servile dell'ONU.

MINISTRO ESTERI RUSSO: GLI USA RICATTANO CON IL CAP 7 PER RISOLUZIONE ONU- INTERVENTO IN SIRIA

Gli USA stanno facendo pressione sulla Russia, perchè approvi una risoluzione ONU che permetterebbe l'intervento in Siria. Cosi ha detto il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, in cambio del supporto americano perchè la Siria acceda all'OPCW (Organizzazione per la Proibizione delle armi chimiche ndr) .

“I nostri partner americani stanno cominciando a ricattarci: ‘Se la Russia non sostiene una risoluzoine al capitolo 7,allora ritireremo  il nostro supporto perchè la Siria entri nella Organization for the Prohibition of Chemical Weapons (OPCW). Questo si allontana completamente da cio' che concordai con il Segretario di Stato John Kerry',” ha detto il Ministro degli Esteri Russo Sergey Lavrov a Channel 1, nel programma Sunday Time.

Il capitolo 7 dell'ONU permetterebbe un intervento militare in Siria.

dettagli in segioto...DETAILS TO FOLLOW



SIRIA: IL VELENO NELLA CODA. IL RAPPORTO DEGLI ISPETTORI ONU SUL GAS A GHOUTA

Data: Giovedì, 19 settembre 

 DI FRANCESCO SANTOIANNI
francescosantoianni.it 

E che volete di più? Il Rapporto dell’ONU parla chiaro: hanno trovato il Sarin. E pure i missili con caratteri cirillici. E pure la traiettoria dei missili suggerisce il punto di lancio: una postazione di Assad. Quindi, il colpevole (anche se questo Rapporto per “statuto” non poteva indicarlo) è l’infame Assad che, nella “immane strage di Goutha”, ha ucciso centinaia e centinaia di persone. A proposito, dove stanno i loro corpi? Beh, quelli gli Ispettori dell’ONU non li hanno trovati. Anzi, non li hanno nemmeno cercati. Nonostante la, certamente disinteressata, collaborazione dei “ribelli” che li aiutavano nell’indagine sul campo.


Una indagine sbalorditiva questa dell’ONU. Che si direbbe volutamente sciatta, ambigua, fatta per prendere tempo. E permettere agli aggressori della Siria (dopo la loro debacle diplomatica) di tenere in caldo l’opinione pubblica, per quando (Rambouillet insegna) sarà chiesto al governo di Damasco –magari con qualche inaspettata clausola al programma di dismissione delle armi chimiche – di mettere la testa nel capestro. E scatenare la guerra.
Ma diamo una scorsa al Rapporto ONU reso pubblico il 16 settembre. Su quali fonti si basa? L’elenco è lungo: “testimoni”, (chi? presentati da chi?), “immagini” (quali? riprese da chi?), “video” (quali?, ripresi da chi?) “audio” (quali?, registrati da chi?) “cartelle cliniche” (compilate da chi?)… Il Rapporto non rivela le fonti; assicurando, comunque, che il tutto è stato depositato in qualche archivio delle Nazioni Unite. Con queste premesse, non potendo analizzare alcuna documentazione acquisita dalla Commissione di indagine, non resta che affidarsi al racconto degli Ispettori ONU.

“Il 26 agosto, la missione ha visitato Moadamiyah di West Ghouta per due ore. Il 28-29 agosto la missione ha visitato Zamalka e Ein Tarma di East Ghouta per un tempo totale di cinque ore e mezzo. Nonostante i limiti di tempo imposti, e ripetute minacce di danni, tra cui un attacco al convoglio da un cecchino non identificato il 26 agosto, la missione è stata comunque in grado di raccogliere una notevole quantità di informazioni e di raccogliere la quantità necessaria di campioni.” (Paragrafo 18, pag. 3). “Notevole quantità di informazioni” raccolte in sette ore e mezza. Anche con le interviste ai nove infermieri, sette medici curanti, e 28 testimoni oculari (pag. 16)? Speriamo di no, perché se così fosse, ci sarebbe da dubitare del valore di queste interviste.

Tra l’altro, oltre all’attendibilità delle testimonianze raccolte, la stessa accuratezza delle indagini in generale (caratterizzate da una solerzia che è possibile osservare qui, qui e qui) meriterebbe una valutazione. Il punto 6 (pag. 2) del Rapporto riferisce che “la missione ha visitato Moadamiyah il 26 agosto 2013 e Ein Tarma e Zamalka il 28-29 agosto. Durante le sue visite in loco, la Missione delle Nazioni Unite ha condotto le seguenti attività: interviste con i sopravvissuti e altri testimoni; documentazione delle munizioni e dei loro sub – componenti; prelievo di campioni ambientali per analisi successive; valutazione dei sintomi di sopravvissuti; raccolta dei capelli, urina e sangue campioni per successive analisi.” Ma di quante persone era composta la squadra degli Ispettori ONU per potere svolgere tutte queste funzioni in sette ore e mezza? Il Rapporto non lo dice ma crediamo non dovessero essere poi tante, considerato che entravano tutte in sei autovetture partite da Damasco. Altrettanto importante, poi, è un’altra domanda: chi aveva organizzato le verifiche sul terreno degli Ispettori? Chi diceva ad essi dove andare a cercare, dove guardare, quali campioni raccogliere, quali testimoni sentire? Il Rapporto (Appendice 3, pag. 10) lo spiega: “Un leader delle forze di opposizione locali – che è stato ritenuto preminente nella zona da visitare – è stato identificato e ha chiesto di prendere la ‘custodia’ della missione. Punto di contatto all’interno dell’opposizione, è stato utilizzato per garantire la sicurezza e il movimento della missione, per facilitare l’accesso ai casi/testimoni più critici da intervistare (…) dando così modo alla missione di concentrarsi sulle sue attività principali.”

Un ottimo punto di partenza per garantire l’affidabilità dell’inchiesta!

Ma occupiamoci del Sarin, che alcuni laboratori – assicura il Rapporto – hanno rintracciato sia nel sangue e nelle urine di alcuni sopravissuti e sia in campioni di terreno e oggetti vari nell’area di Ghouta. Intanto una premessa. Il Sarin uccide con dosi infinitesimali (DL 50 i.p. per la cavia di 0,4 mg/Kg): una microgocciolina sulla pelle e via. Questo significa che nei sopravvissuti devono essere rintracciate dosi ancora più piccole. I pochi studi non coperti da segreto militare attestano che la valutazione del basso livello d’attività delle pseudocolinesterasi circolanti eritrocitarie (nei globuli rossi) può fornire una qualche indicazione sulla presenza di Sarin solo a condizione che questa analisi venga fatta tempestivamente.

Ovviamente non sappiamo se i laboratori utilizzati dall’ONU abbiano usato una qualche tecnica diagnostica solo da essi conosciuta; ma ci domandiamo perché mai, invece di ineffabili analisi su campioni di urine e sangue, prelevati dopo almeno una settimana dalla presunta esposizione, l’indagine non sia stata effettuata sui corpi (ed eventualmente, anche sui vestiti) delle persone uccise da Sarin, nei quali – essendo assente lo smaltimento metabolico – le tracce di Sarin avrebbero potuto essere evidenti.

Una domanda senza risposta, in quanto i protocolli di analisi (Appendice 2, pag. 8 del Rapporto) sono segreti e restano pure secretati in qualche cassaforte dell’ONU i dati delle analisi. In mancanza di questi, non resta che affidarsi alla buona fede dei membri della Commissione dell’ONU e dei suoi collaboratori. Stessa rassegnazione per quanto riguarda il Sarin che sarebbe stato rintracciato su campioni di terra indicati agli Ispettori dell’ONU dai, certamente obbiettivi e scrupolosi, capi di ribelli che li accompagnavano.

Ancora più sospetta è la pretesa degli Ispettori di identificare il Sarin dai sintomi dei sopravvissuti; sintomi, si badi bene, che il Rapporto non specifica se fossero ancora presenti al momento dell’anamnesi o se fossero solo rievocati dai sopravvissuti. Ma quali sintomi? Il Rapporto delle Nazioni Unite elenca (a pag. 13) i sintomi che si manifestano nei sopravvissuti da attacchi da Sarin: difficoltà respiratorie, visione sfocata, irritazioni negli occhi, miosi, perdita di conoscenza, convulsioni, vomito. Tutti tranne uno, riportato in qualsiasi manuale di Difesa civile o pubblicazione scientifica: la perdita di controllo dell’intestino e della vescica e, quindi, fuoriuscita incontrollata di feci e di urina. Senza questo ultimo sintomo, (dettato dalla inibizione dell’enzima colinesterasi, che idrolizza il neurotrasmettitore acetilcolina) e assolutamente assente nei 36 sopravissuti esaminati dagli Ispettori dell’ONU il quadro clinico può essere fatto risalire a qualsiasi gas. Non a caso, questo sintomo risulta assente nei pur numerosissimi video prodotti dai “ribelli” che pretenderebbero di documentare vittime di gas Sarin.

E pure un altro sintomo – tipico del Sarin – risultava assente in questi video: la miosi e cioè il restringimento della pupilla. Fino a qualche giorno fa, quando un video diffuso dalla CNN mostrò – finalmente! – al mondo la famosa miosi. Sarin? No, inoculazione di un collirio a base di Pilocarpina, (comunemente utilizzato per il controllo del glaucoma). Fosse stato Sarin, l’occhio e la palpebra, con lo scompaginamento del sistema nervoso indotto dal gas, non avrebbero potuto avere quei movimenti registrati nel video. Movimenti che, ovviamente, non si possono cogliere nella foto che troneggia a pag. 14 del Rapporto. E l’eventuale video di questa “prova” resta secretato in qualche cassaforte dell’ONU. Non ci resta, perciò, da chiederci come mai questo “classico” sintomo dell’esposizione a gas organofosforici, quale il Sarin, sia presente (pag. 13 del Rapporto) soltanto nel 14 per cento dei “sopravvissuti” analizzati dagli Ispettori dell’ONU.

Poi c’è la faccenda dei missili. Missili. Non già proiettili di artiglieria caricati di gas come quelli usati dai “ribelli” e da essi propagandato in questo video. Missili. Che devono, necessariamente essere lanciati o da apposite postazioni lanciamissili (che, pare, i “ribelli”, non abbiano ancora) o da aerei. Missili con incise lettere in alfabeto cirillico (diligentemente fotografate a pag. 19 del Rapporto). Missili di Assad, quindi. Missili, come abbiamo visto, fatti ritrovare agli Ispettori dell’ONU dai “ribelli”.

La faccenda dei missili, quindi, potrebbe chiudersi qui. Se non fosse per la curiosità di scoprire cosa ci abbiano ricamato sopra gli Ispettori dell’ONU. Cinque pagine (da 18 a 23) nelle quali, utilizzando reperti e presunte tracce di crateri di impatto, si pretende di dimostrare l’azimut e la traiettoria di alcuni missili. Cinque pagine che si direbbero messe lì a rimpolpare una relazione desolatamente carente se non fosse per annotazioni (pag. 22) davvero gustose: “Durante il tempo trascorso in questi luoghi, alcuni individui sono arrivati portandoci altre munizioni”. La Relazione, saggiamente, fa notare nella frase successiva, che questo potrebbe essere un eventuale tentativo di inquinare le prove. Peccato che non si sia chiesta anche come facessero i volenterosi collaboratori a maneggiare missili già carichi di Sarin continuando a restare vivi. E, visto che c’erano, gli Ispettori potevano pure domandare ai ribelli, che li hanno immortalati nei loro video diffusi in Rete, come facevano a restare vivi i “soccorritori” che trasportavano a braccia le “vittime da Sarin”.

Un’altra perla quando la Relazione (punto 22, pg. 4) pretende di attestare la volontà di compiere una colossale strage con missili e gas sfruttando la particolare ora dell’attacco. “La mattina del 21 agosto mostra un calo di temperatura tra le 02,00 e le 05, 00 del mattino; questo significa che l’aria non si muove dal basso verso l’alto, ma piuttosto il contrario. In caso di attacco chimico tali condizioni meteorologiche massimizzano il potenziale impatto del gas che, essendo più pesante dell’aria, può rimanere vicino al suolo e penetrare in livelli più bassi di edifici e costruzioni dove molte persone erano alla ricerca di un riparo.”

D’accordo, per il calo di temperatura che, comunque, si manifesta in tutti i giorni dell’anno. Di meno, sull’efficacia di un attacco con i gas di notte, quando le persone sono in parte protette dalle mura domestiche. Per niente, sulla scelta di uccidere persone che si andrebbero a rifugiare ai piani bassi e in cantina, anche perché non si vede proprio – con un gas inodore e immediatamente paralizzante quale il Sarin – come avrebbero potuto allarmarsi e avere il tempo di rifugiarsi ai piani bassi e in cantina. Ma, visto che si insiste tanto sulle questioni atmosferiche, forse sarebbe stato il caso citare, nella Relazione, anche i venti che spiravano, da giorni, nella zona di Goutha e che, oltre a ridurre l’efficacia del gas, lo avrebbero indirizzato nel centro di Damasco. Roccaforte dell’infame Assad.

Concludiamo rispondendo ad una argomentazione che sta serpeggiando sui media mainstream, per venire incontro ai tanti che già si stanno lamentando per la vacuità dei contenuti del Rapporto dell’ONU. E cioè, che questa indagine sarebbe stata caratterizzata da superficialità e approssimazione per colpa del regine di Assad che, fino alla fine, avrebbe ostacolato l’ingresso degli Ispettori dell’ONU nell’area di Ghouta per permettere ai suoi sgherri di far sparire le prove. Non è così. Ispettori dell’ONU stavano già in Siria, invitati dal governo di Assad, per investigare su tutta una serie di attacchi chimici effettuati, con ogni evidenza, dai “ribelli”. E quando la notizia della “immane strage di Ghouta”, certificata da un davvero incauto comunicato di Médecins sans frontières (“355 morti, 3600 ricoverati”) ha fatto il giro del mondo, il governo di Damasco non ha esitato un secondo a chiedere agli ispettori dell’ONU di andare a Ghouta. A Ghouta, dove, con ogni evidenza, un ridotto numero di persone è rimasto ucciso, non già da un attacco con missili al Sarin, ma da gas sprigionatosi da un tunnel nel quale i “ribelli” costruivano i loro artigianali ordigni chimici. E questa verità è attestata – non già da autorevoli Rapporti ufficiali che rimandano a “documentazioni” destinate a restare segrete – ma dalle già decine e decine di interviste a viso aperto, video, foto, analisi e articoli che chiunque può leggere sul web (ad esempio, su questo sito).

Se, invece, qualcuno, vuole continuare a schiumare di rabbia contro la “diplomazia” e il Consiglio di Sicurezza dell’ONU” che impediscono di dare la giusta lezione a quella canaglia di Assad (anzi “Gas-add”, come già suggeriscono innumerevoli pagine Facebook) non ha che da credere al Rapporto dell’ONU e pregustarsi la prossima guerra.



Cinque bugie inventate per orientare il rapporto dell’ONU sull’attacco con armi chimiche in Siria
di Tony Cartalucci - 18/09/2013

Fonte: aurorasito

Come previsto giorni prima che la relazione sulle armi chimiche siriane delle Nazioni Unite fosse pubblicata, l’occidente ha iniziato a manipolarne i risultati per sostenere la propria vacillante storia riguardante i presunti attacchi con armi chimiche del 21 agosto 2013, a Damasco orientale, Siria. L’obiettivo, naturalmente, è continuare a demonizzare il governo siriano e contemporaneamente sabotare il recente accordo siriano-russo per far controllare e disarmare le scorte di armi chimiche della Siria da parte di osservatori indipendenti.


Una raffica di titoli sospetti ha tentato di collegare, nella mente dei lettori disattenti, la “conferma” delle Nazioni Unite sull’uso in Siria di armi chimiche e le pretese occidentali che sia stata opera del governo siriano. Inoltre, i governi statunitense, inglese e francese hanno rapidamente stilato una lista di balle volte a fare presentare il rapporto delle Nazioni Unite come favorevole alle loro accuse infondate contro il governo siriano. L’articolo della BBC, “Stati Uniti e Gran Bretagna indicano che il rapporto delle Nazioni Unite ‘incolpa la Siria’“, ancora una volta afferma inequivocabilmente ciò: “Il rapporto delle Nazioni Unite non attribuisce la colpa dell’attacco, non facendo parte del suo mandato”. Tuttavia ciò non ha impedito al ministro degli Esteri inglese William Hague dal sostenere: “Dalla ricchezza di dettagli tecnici nella relazione, anche sulla portata dell’attacco, la coerenza dei risultati dei test dei campioni nei laboratori indipendenti, le dichiarazioni dei testimoni e le informazioni sulle munizioni utilizzate e le loro traiettorie, è del tutto evidente che il regime siriano sia l’unico che avrebbe potuto esserne responsabile”. E l’ambasciatrice statunitense all’ONU Samantha Power ha dichiarato: “I dettagli tecnici del rapporto delle Nazioni Unite evidenziano che solo il regime avrebbe effettuato questo attacco con armi chimiche su grande scala”. Il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius avrebbe detto: “Quando si guardano i risultati con attenzione, le quantità di gas tossico utilizzate, la complessità delle miscele, la natura e la traiettoria dei vettori, non c’è alcun dubbio sull’origine dell’attacco”. Il Washington Post è andato oltre, e forse stupidamente, ha dato una spiegazione dettagliata di ogni montatura che l’occidente usa per strumentalizzare l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite. In un articolo intitolato “Il rapporto delle Nazioni Unite sulle armi chimiche è abbastanza schiacciante per Assad“, dove 5 punti vengono usati per motivare perché il rapporto delle Nazioni Unite “accusi” il governo siriano.

Le 5 bugie
Bugia n°1. Le armi chimiche, consegnate assieme alle munizioni, non sono state utilizzate dai ribelli: questa affermazione fa anche riferimento al “Syria watcher” Eliot Higgins, noto come “Brown Moses“, osservatore, seduto in una poltrona nel Regno Unito, della crisi siriana, che documenta le armi utilizzate nel conflitto sul suo blog. Mentre Higgins spiega che questi razzi, che hanno un calibro particolarmente grande (140 millimetri e 330 millimetri), non sono stati visti (da lui) nelle mani dei terroristi che operano all’interno e lungo i confini della Siria, vecchi suoi post mostrano razzi simili, ma più piccoli, certamente in costruzione e in azione nelle mani dei militanti. Il Washington Post sostiene che in qualche modo questi razzi più grandi richiedano una “tecnologia” cui i militanti non hanno accesso. Questo è decisamente falso. Un razzo viene lanciato da un semplice tubo, ed ai terroristi basterebbe la semplice tecnologia aggiuntiva per i razzi più grandi, quale un camion per montare il tutto. Per un fronte armato che schiera carri armati rubati, trovare un camion su cui montare tubi di metallo di grandi dimensioni sembrerebbe un compito piuttosto elementare, soprattutto se per effettuare un attacco simulato tale da giustificare l’intervento straniero e salvarne la vacillante offensiva.
Bugia n°2. Il sarin è stato lanciato da una zona controllata dal regime. Il Washington Post sostiene che: “La relazione conclude che i proiettili provenivano da nord-ovest del quartiere mirato. Quella zona era ed è controllata da forze del regime siriano ed è terribilmente vicina a una base militare siriana. Se i proiettili fossero stati sparati dai ribelli, probabilmente sarebbero giunti da sud-est, in mano ai ribelli”. Ciò che il Washington Post non cita sono i “limiti” che la stessa squadra dell’ONU ha indicato sulla credibilità delle proprie scoperte, a pagina 18 del rapporto (22 del .pdf), le Nazioni Unite dichiarano: “Il tempo necessario per condurre un’indagine dettagliata su entrambe le posizioni, nonché prelevare campioni, era molto limitato. I siti sono stati visitati da altri individui, sia prima che durante l’inchiesta. Frammenti e altre possibili prove sono stati chiaramente manipolati e spostati prima dell’arrivo della squadra investigativa”. Va inoltre notato che i militanti ancora controllano la zona dopo il presunto attacco e fino all’inchiesta del personale dell’ONU. La manomissione o l’inserimento di prove sarebbero stati effettuati da amici dell’”opposizione”, e sicuramente il governo siriano non punterebbe dei razzi in direzioni che potrebbero implicarlo.
Bugia n°3. L’analisi chimica suggerisce che il sarin probabilmente era parte di un rifornimento controllato, il Washington Post afferma: “Gli investigatori delle Nazioni Unite hanno analizzato 30 campioni, trovando che contenevano non solo sarin, ma anche “prodotti chimici rilevanti, come stabilizzatori.” Questo suggerisce che le armi chimiche sono state prese da un deposito controllato, dove avrebbero potuto essere trasformate per l’impiego da parte di truppe addestrate al loro uso. Solo, per effettuare un attacco sarebbe anche necessario utilizzare agenti chimici stabilizzati e personale addestrato al loro uso”. Dai depositi saccheggiati in Libia, alle armi chimiche segretamente trasferite da Stati Uniti, Regno Unito o Israele, attraverso l’Arabia Saudita o il Qatar, non vi è scarsità di fonti possibili. Per quanto riguarda i “ribelli” privi del necessario addestramento nell’usare armi chimiche, la politica degli Stati Uniti ha fatto in modo che non solo ricevessero l’addestramento necessario, ma aziende della difesa occidentali, specializzate nella guerra chimica, avrebbero affiancato i militanti in Siria. La CNN ha riferito, nel suo articolo del 2012 “Fonti: gli USA addestrano i ribelli siriani nella sicurezza delle armi chimiche“, che: “Gli Stati Uniti e alcuni alleati europei usano aziende della difesa private per addestrare i ribelli siriani su come proteggere le scorte di armi chimiche in Siria, hanno detto alla CNN un alto funzionario degli Stati Uniti e diversi diplomatici di alto livello. L’addestramento, che si svolge in Giordania e in Turchia, comprende come monitorare e proteggere le scorte, e gestire siti e materiali bellici, secondo le fonti. Alcuni contractor sono in Siria per collaborare con i ribelli nel monitorare alcuni dei siti, secondo uno dei funzionari”.
Bugia n°4. Caratteri cirillici sui proiettili, il Washington Post afferma: “Lettere russe sui proiettili di artiglieria suggeriscono fortemente che siano di fabbricazione russa. La Russia è un importante fornitore di armi del governo siriano, naturalmente, ma non al punto di rifornire direttamente o indirettamente di armi i ribelli”. La logica del Washington Post non vale una cicca. I terroristi che operano in Siria possiedono fucili e perfino carri armati di origine russa, rubati o acquisiti attraverso una vasta rete di trafficanti di armi costruita dalla NATO e dai suoi alleati regionali, per perpetuare il conflitto. Inoltre, inscenando gli attacchi, i terroristi e i loro sostenitori occidentali, in particolare gli attacchi la cui ricaduta dovrebbe suscitare un profondo cambiamento geopolitico a favore dell’occidente, avrebbero speso del tempo per far sembrare che l’attacco fosse opera del governo della Siria. L’uso di armi chimiche da parte di militanti contro una posizione di altri militanti, costituirebbe un attacco sotto “falsa bandiera” e ovviamente ciò richiederebbe una sorta di segno o prova incriminante sulle armi usate nel bombardamento.
Bugia n°5. Le osservazioni del Segretario Generale delle Nazioni Unite sulla relazione, il Washington Post ammette l’esiguità di questo ultimo punto, affermando: “Questo è forse il caso più circostanziale di tutti, ma è difficile ignorare il chiaro sottinteso della conferenza del Segretario Generale Ban Ki-moon nel discutere il rapporto...” Il Washington Post, e gli interessi che guidano il suo comitato di redazione, non riuscivano nemmeno a produrre cinque argomentazioni ragionevolmente convincenti sul perché il rapporto delle Nazioni Unite implichi, in qualche modo, il governo siriano, così mettendo in dubbio le affermazioni relative alla “ricchezza di dettagli tecnici” che accuserebbe il Presidente Bashar al-Assad. Il rapporto delle Nazioni Unite conferma che sono state utilizzate armi chimiche, un punto che non è contestato dalle parti in conflitto, né prima nè dopo che l’inchiesta delle Nazioni Unite avesse inizio. Ciò che l’occidente cerca di fare ora è sfruttare la propria narrativa della relazione e, ancora una volta, creare una giustificazione infondata per continuare la guerra contro la Siria, sia come elemento di una politica estera ufficiale che coperta.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

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