di Fernando Rossi
Memorie dal Parlatoio (2006-2008) / Flashback alla rinfusa – 2
Parisi era venuto al Senato i primi di febbraio 2007, più che altro per appuntarsi sul petto la medaglia di chi “portava a casa” una nuova base militare americana in Italia, in aggiunta a quelle imposte, 62 anni prima, dagli occupanti della nostra Nazione sconfitta.
Ma vari fattori, tra cui l’astuzia del Leghista Calderoli che, annusata l’aria delle riserve di una parte del PD e di Rifondazione sul come si era posto Parisi, presentò un ordine del giorno di elogio e pieno sostegno al Ministro della Difesa, mentre ripetuti incontri della maggioranza portarono ad testo di risoluzione che “prendeva atto” delle dichiarazioni del Ministro, portarono ad un voto in cui la risoluzione Calderoli prese più voti di quella della maggioranza. Fu un pesante smacco per Parisi.
D’Alema dopo pochi giorni dichiarò che sarebbe andato lui di persona in Senato a sistemare le cose. Nel giro di pochi giorni giocò anche il jolly: “Se il 21 febbraio vado sotto, io mi dimetto”. A ruota, Napolitano: un governo, in politica estera, deve avere una sua autonoma maggioranza in Parlamento. Ergo, se si dimette D’Alema, dovrà dimettersi anche Prodi.
Nella ricostruzione di quella seduta, che qui esporrò, ho tenuto conto di alcuni elementi che vi sarà facile verificare:
A) All’indomani del voto politico 2006, di fronte alla risicata maggioranza di Prodi, gli opinionisti e l’insieme dei media rilanciarono il modello sperimentato in Germania, della “Grosse Koalition”.
B) Dopo l’acquisizione di De Gregorio, passato da IDV a Forza Italia, le tensioni interne alla maggioranza, ma soprattutto tra maggioranza e movimenti politici nel paese, sui temi del precariato, della guerra e delle privatizzazioni, il PDS aveva platealmente invitato Casini ad entrare in maggioranza. Bertinotti, nel mese di febbraio2007, aveva mandato messaggi di completa apertura, dietro al velo di un : “purchè non si stravolga il programma”.
- Follini era il pontiere che da settimane, tra riunioni, pranzi e cene, lavorava alla preparazione dell’allargamento della maggioranza.
Poi ho collegato questi elementi certi con altre considerazioni e informazioni.
Ad esempio, una domanda sorge spontanea: se il tema politico del dopo voto 2006 erano i due soli senatori di differenza, perchè non venne offerta la presidenza del Senato
al PDL che la rivendicava? In verità rivendicarono la Camera, ma Bertinotti minacciò sfracelli e così la funzione di garanzia/visibilità si spostò sul Senato. L’assegnazione di una presidenza alla maggioranza e l’altra alla minoranza non sarebbe certo stata una novità e questa volta poiché il presidente non vota (mentre Marini avrebbe potuto votare), avrebbe messo 4 voti di differenza tra centrodestra e centrosinistra.
al PDL che la rivendicava? In verità rivendicarono la Camera, ma Bertinotti minacciò sfracelli e così la funzione di garanzia/visibilità si spostò sul Senato. L’assegnazione di una presidenza alla maggioranza e l’altra alla minoranza non sarebbe certo stata una novità e questa volta poiché il presidente non vota (mentre Marini avrebbe potuto votare), avrebbe messo 4 voti di differenza tra centrodestra e centrosinistra.
Un’altro elemento su cui ho riflettuto ma solo i senatori di Rifondazione che me lo dissero potrebbero confermarlo, è che nella riunione del suo gruppo parlamentare, Bertinotti fece girare la voce che aveva saputo da D’Alema che io e forse altri della maggioranza eravamo stati comprati da Berlusconi. Io sono convinto che non si sia trattato solo del vizietto stalinista di calunniare i propri nemici interni (come pensai in un primo momento, alla luce della cocente esperienza con Soffritti e Diliberto), ma piuttosto di voler prendere due piccioni con una fava: dare la mazzata ai suoi senatori incerti sulla applicazione della disciplina di partito e dare una mano alla campagna di disinformazia che era pronta a partire su “Prodi caduto per colpa dei pacifisti settari” (non poteva ancora sapere che eravamo restati solo io e Turigliatto e che invece di votare contro non avremmo partecipato al voto). Quindi penso che anche lui fosse nel gruppo ristretto che preparava l’incidente da “shock politic” che doveva aprire la strada ad un ingresso dell’UDC.
La mattina del 21, mentre in aula si sviluppava la discussione sulla relazione D’Alema, la capogruppo Finocchiaro mi fece chiamare e mi disse che le cose stavano precipitando.
“Non c’è Scalfaro, non c’è Pininfarina, la Montalcini non sta bene e la discussione sarà lunga…., Andreotti non si sa cosa deciderà di fare (durante la seduta presentò una risoluzione per la liberazione del soldato Shalit, che ovviamente, tutti gli votarono, sia per ingraziarselo pensando al successivo voto su D’Alema, sia per non mettersi in cattiva luce rispetto ai sionisti, …presenti in tribuna e tra i senatori), Cossiga è imprevedibile, ma ha già parlato con D’Alema e alla fine…..vedremo dopo la replica”, poi mi consegna ad un suo collaboratore che, numeri alla mano, simula varie ipotesi sulla votazione. Dopo un po’ la Finocchiaro ritorna e dice che gli altri voti dei senatori contro la guerra sono già garantiti, siamo rimasti solo io e Turigliatto che ora abbiamo la responsabilità sulla vita del Governo. Le ricordo che 20 giorni prima noi senatori contro la guerra, avevamo preso contatto con il Ministro Chiti (che era stato garante dell’accordo dell’autunno 2006, per avere il nostro voto a favore delle missioni di guerra; accordo non mantenuto in nessuno dei suoi 9 punti, oggetrto di altrettante mozioni tutte accolte dal governo) dicendo che se avessero messo la Fiducia avremmo votato a favore, poiché l’oggetto del voto non sarebbe più stato “guerra, nuova base militare americana e accordi militari con Israele”, ma sarebbe diventato “Governo si, o governo no”. Ci rispose che era una discussione aperta, che anche nel Governo c’era chi voleva mettere la fiducia, ma che sarebbe passata la scelta di non farlo, sia per non forzare i lavori del Parlamento con troppi voti di fiducia, sia perchè mettendo la fiducia si sarebbe impedito il voto a favore dei “non componenti della maggioranza” (!?), in effetti sulla guerra, sia Blair che Shroeder avevano avuto maggiornze trasversali, che supplirono ai “non voti” delle sinistre dei loro parlamenti. Nel salutare la Finocchiaro ribadii che non ci sarebbe stato verso di farmi votare a favore della guerra, al massimo avrei potuto non partecipare al voto, in modo da ridurre il quorum da raggiungere, come avevo visto nelle varie ipotesi fattemi dal suo collaboratore.
Nel dibattito in aula, molti senatori della maggioranza, almeno 8, avevano espresso critiche durissime alla relazione; l’UDC le cavalcò per dimostreare che quella era la debolezza del Governo Prodi ed esprimendo grande apprezzamento per D’Alema che, così dichiararono in aula,… aveva costruito un ponte verso la politica estera dei governi democristiani. Cossiga invece non terminerà l’intervento, chiedendo di metterlo agli atti…così non potei udire quanto lessi solo l’indomani in segreteria d’aula: …”.vedo che lei va affermando erroneamente che i nostri militari in Afghanistan prendono ordini solo e soltanto dai comandanti italiani. Sembra che lei, e me ne duole, abbia dimenticato ormai le nozioni fondamentali sulla catena di comando della NATO, che così ben aveva appreso a Palazzo Chigi, ai tempi dell’intervento unilaterale degli Stati Uniti contro la Repubblica di Jugoslavia, quando lei con grande coraggio schierò l’Italia accanto all’alleato d’oltre Atlantico, e anche autorizzò i duri e spietati bombardamenti aerei contro Belgrado e le fondamentali infrastrutture militari e civili serbe, bombardamenti che dopo trentasette duri giorni piegarono, grande successo della politica democratica del celebrato duo “unilateralista” Clinton-D’Alema, il Governo comunista di Milosevic, e portò all’occupazione del Kosovo, occupazione che ancora oggi dura. E a quei bombardamenti parteciparono, per volontà e decisione del Governo, con decisione e perizia, numerosi aerei dell’Aeronautica militare e della Marina militare, i cui comandanti ed equipaggi ella, con grande dignità, ringraziò per il coraggio e la professionalità da essi dimostrata nella sua, mi creda, dai nostri militari non dimenticata visita alla base di Gioia del Colle”…,”Rimarrò quindi idealmente, signor Ministro, al “centro”, anzi al centro-sinistra con il trattino, come ai tempi del suo Governo, di questa Assemblea, e voterò caso per caso, secondo quello che sarà il mio convincimento, libero da vincoli anche solo di amicizia politica, ma senza venire meno ai vincoli di amicizia personale che mi legano a molti, e a lei in primo piano, signor Ministro, che militano nel centro-sinistra (mia annotazione… forse il vero pontiere, ancora una volta, era lui, non Follini).
Al ritorno dall’incontro con la Finocchiaro informai il sen. Boccia, segretario d’aula, della mia decisione di non partecipare al voto, lui mi battè una mano sulla spalla dicendomi che se proprio non ce la facevo a votare a favore, quella era la scelta giusta, aggiunse che era preoccupato perchè mancavano ancora Scalfaro e Pininfarina. Ad una mia domanda rispose che se gli altri senatori contro la guerra votavano a favore, ce l’avremmo fatta, con Pininfarina eravamo sicuri, garantiva D’Alema, mentre tra Cossiga e Andreotti, dopo la replica un voto sarebbe arrivato, mentre l’altro poteva anche non partecipare al voto. Penso che lui non sapesse nulla della torta che era stata preparata per Prodi.
Terminato il dibattito, arrivarono le conclusioni di D’Alema: prima disse che non voleva i voti della minoranza perchè la sua politica estera era in discontinuità con quella praticata dai loro governi, poi, mentre nella relazione aveva glissato su Vicenza, dicendo che il Senato ne aveva già discusso con Parisi, disse addirittura che la nuova base era un necessario allargamento dell’altra base americana già esistente, e “in cauda venenum”concluse: “Chi condivide la politica estera del Governo la voti, chi non la condivide voti contro anziché dire che la sostiene dicendo che è un’altra da quella che è. Suicidio politico in diretta o, per dirla con Garcia Marques, “Cronaca di una morte annunciata”?
Ci siamo cercati con gli sguardi, tra tutti i senatori contro la guerra più, altri “simpatizzanti” (gli stessi che durante la giornata, alle mie critiche alla relazione , mi rassicuravano che gli era stato parlato e nelle conclusioni avrei potuto cogliere gli aggiustamenti di tiro che loro avevano ottenuto, tra cui l’exit strategy dall’ Afghanistan, quello che gli avevamo già chiesto nel 2006 e finalmente arrivava), i loro sguardi attoniti, che arrivavano da espressioni stralunate, esprimevano (nel migliore dei casi) un : “Ma che… cosa sta dicendo ?!”
Poi ci furono le dichiarazioni di voto (http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=15&id=253523) ; questa la registrazione della mia (http://video.google.com/videoplay?docid=-5869184715324334471); successivamente in un clima tesissimo si passò alla votazione, allora sfilai la mia tesserina, risultando assente.
Assente risultava anche Turigliatto (e solo l’indomani verificai che assenti in Congedo (!?) risultavano pure i senatori di maggioranza: Scalfaro e Vernetti. Un’altra domanda mi sorge spontanea: perchè in aula non lo sapeva nessuno?
Le successive dimissioni spintanee di quest’ultimo (le aveva volute Prodi per ritorsione o i Margheriti gelosi del tentato ingresso UDC, auspicato invece da Marini? ) vennero approvate il 4/7/2007, mentre le dimissioni di altri senatori venivano di norma respinte o attendevano per anni. Ma il loro “rapido” passaggio ebbe qualche strascico, infatti l’indomani (5/7/2007) Calderoli dichiarò in aula: “Ieri l’ex collega Vernetti chiese a me (Presiedeva Calderoli) e, per mio tramite, al mio Gruppo di votare respingendo le proprie dimissioni. Ciò significa che le sue dimissioni non sono state presentate volontariamente, ma coattivamente….”
Durante il voto “elettronico simultaneo”, man mano che si accendevano le luci verdi “a favore”, rosse “contrari”, bianche “astenuti”, sui due pannelli che danno conto delle espressioni di voto dei singoli senatori, si moltiplicarono le pressioni per farmi votare a favore (tralascio tutte le espressioni usate, e gli oggetti tirati, soprattutto dopo la proclamazione fatidica: “Il Senato non approva”), intanto Marini non chiudeva mai la votazione elettronica…durò quasi 5 minuti…in Senato non era mai successo !
Durante questi minuti qualche senatore convinto che i giochi fossero già fatti senza doversi esporre si accorse, o gli fun fatto notare, che invece il Governo rischiava di farcela, così una cambia colore e due si accendono (ci sono i filmati).
Pochi minuti dopo scattò la campagna che era già stata preparata e si sprecarono cronache e notizie d’agenzia sui due senatori che avevano fatto cadere il Goverrno.
Una campagna indecente. Per l’ennesima volta, ecco le parole e soprattutto i numeri, di Marini:
“Proclamo il risultato della votazione nominale con scrutinio simultaneo (!?), mediante procedimento elettronico: Senatori presenti 319; senatori votanti 318 (perchè Marini non poteva votare); maggioranza 160; favorevoli 158; contrari 136; astenuti 24, i Senato non approva”. Quindi, per chi non è idiota, se io e Turigliatto avessimo votato a favore il risultato sarebbe stato: senatori presenti 321, votanti 320, maggioranza (votanti, diviso 2, +1) 161, favorevoli 160…..il Senato non approva.
Mentre Prodi andava da Napolitano per le dimissioni, l’UDC emetteva un comunicato che poneva il tema dell’allargamento della maggioranza e faceva circolare i nomi di Marini, Amato, Dini o altra figura “tecnica”, come Presidenti del Consiglio che loro avrebbero votato. Poco prima di mezzanotte, Napolitano decise a sorpresa di non accettare le dimissioni del Governo Prodi, rinviandolo alle Camere.
Sarebbe un bel pezzo del puzzle, sapere chi fece cosa, in quelle frenetiche ore (da Israele, agli States, alla massoneria, al Bildemberg, alla Goldman Saks…), ma la sostanza fu il flop dell’imboscata a Prodi.
Alle prime luci dell’alba l’UDC emise un comunicato in cui si prendeva atto del mutato clima politico e ci si sganciava dagli sviluppi della crisi.
Le camere votarono la fiducia, con la maggioranza che salutò l’ingresso di Follini, e Prodi successe a se stesso. A luglio superò la seconda imboscata, ma poi cadde nella terza, ordita nel gennaio 2008 (ma queste sono altre storie di cui parlerò più avanti, se avrò tempo e voglia di rimettermi a scriverne).
Fonte Il Nodo di Fernando Rossi
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