Ancora si insiste a voler definire sport un assassinio, di considerare provvidenziale una mattanza perché crea posti di lavoro.
Fino a che prevarrà questa mentalità spero sia l'uomo ad estinguersi
Barbara
Stop alla corrida in Catalogna, ma per il filosofo Savater è meglio di una partita di calcio
A volte le belle notizie arrivano contestualmente a quelle brutte, o perlomeno a dichiarazioni che fanno riflettere sulla reale sensibilità dell’essere umano. Il parlamento catalano, oggi 28 Luglio, con 68 voti a favore 55 contrari e 9 astensioni, ha votato a favore dell’abolizione della corrida. A partire dal 2012 quindi, il tradizionale quanto cruento e crudele spettacolo non potrà più avere luogo sul territorio della Catalogna. E’ la seconda regione spagnola ad aver preso una decisione di questo tipo; la prima era stata quella che fa riferimento alle Isole Canarie, ma la Catalogna è la prima regione peninsulare, nel cuore della Spagna quindi ad aver bandito la corrida dalle sue terre. Sicuramente una grande vittoria degli animalisti.
La lotta è stata lunga, e il percorso da fare per vietare completamente la corrida dalla Spagna, obiettivo delle associazioni animaliste internazionali, lo sarà almeno altrettanto. Ma per quale motivo le battaglie per garantire almeno i diritti minimi agli animali sono così difficili? Tralasciando gli enormi interessi economici che sovente calpestano tali diritti, nelle parole del filosofo Fernando Savater, intellettuale estremamente popolare in Spagna, è forse possibile ritrovare un’altra motivazione, più sottile, meno esplicita, ma non per questo meno potente, anzi: la mentalità. Sulle pagine del Corriere dello stesso giorno in cui la Catalogna prende una decisione dai più accolta come una vittoria della civiltà, è possibile leggere un’intervista doppia, da una parte chi è contro, dall’altra chi invece parteggia per il mantenimento della corrida.
Quest’ultimo è appunto il filosofo Savater, che per difendere la sua posizione, cita , come molti altri, l’arte e la cultura che la storica manifestazione spagnola rappresenterebbe. Posizioni queste, che chi scrive, come tanti, non potrebbe mai condividere, ma posizioni che rappresentano comunque una fetta di popolazione non trascurabile, e che nel dialogo vanno necessariamente tenute presenti. Il punto non è però questo. Nell’intervista al filosofo, è possibile leggere alcune frasi che lascerebbero molte persone a dir poco scandalizzate, la prima: “abbiamo diritti etici solo verso gli uomini, altrimenti non potremmo mangiare animali” .
Egregio filosofo ha mai sentito parlare dei vegetariani e dei vegani? Pensa forse che il loro sia solo un hobby? Non le interessa l’argomento? Già e come potrebbe… In ogni caso, un dovere etico non è anche la tutela e la difesa dei più deboli? Perchè solo gli uomini? Pensa forse che gli animali siano oggetti? Ciò che, a prescindere da tutto il resto, si può desumere dalle risposte fornite al giornalista del Corriere è che Fernando Savater ha un concetto degli animali alquanto particolare, e lo è talmente tanto, particolare, che arriva addirittura a sfidare ciò che la scienza definisce con il termine “animale”. A volte le belle notizie arrivano contestualmente a quelle brutte, o perlomeno a dichiarazioni che fanno riflettere sulla reale sensibilità dell’essere umano. Il parlamento catalano, oggi 28 Luglio, con 68 voti a favore 55 contrari e 9 astensioni, ha votato a favore dell’abolizione della corrida. A partire dal 2012 quindi, il tradizionale quanto cruento e crudele spettacolo non potrà più avere luogo sul territorio della Catalogna. E’ la seconda regione spagnola ad aver preso una decisione di questo tipo; la prima era stata quella che fa riferimento alle Isole Canarie, ma la Catalogna è la prima regione peninsulare, nel cuore della Spagna quindi ad aver bandito la corrida dalle sue terre. Sicuramente una grande vittoria degli animalisti.
La lotta è stata lunga, e il percorso da fare per vietare completamente la corrida dalla Spagna, obiettivo delle associazioni animaliste internazionali, lo sarà almeno altrettanto. Ma per quale motivo le battaglie per garantire almeno i diritti minimi agli animali sono così difficili? Tralasciando gli enormi interessi economici che sovente calpestano tali diritti, nelle parole del filosofo Fernando Savater, intellettuale estremamente popolare in Spagna, è forse possibile ritrovare un’altra motivazione, più sottile, meno esplicita, ma non per questo meno potente, anzi: la mentalità. Sulle pagine del Corriere dello stesso giorno in cui la Catalogna prende una decisione dai più accolta come una vittoria della civiltà, è possibile leggere un’intervista doppia, da una parte chi è contro, dall’altra chi invece parteggia per il mantenimento della corrida.
Quest’ultimo è appunto il filosofo Savater, che per difendere la sua posizione, cita , come molti altri, l’arte e la cultura che la storica manifestazione spagnola rappresenterebbe. Posizioni queste, che chi scrive, come tanti, non potrebbe mai condividere, ma posizioni che rappresentano comunque una fetta di popolazione non trascurabile, e che nel dialogo vanno necessariamente tenute presenti. Il punto non è però questo. Nell’intervista al filosofo, è possibile leggere alcune frasi che lascerebbero molte persone a dir poco scandalizzate, la prima: “abbiamo diritti etici solo verso gli uomini, altrimenti non potremmo mangiare animali” .
Quando l’intervistatore gli fa notare che la “violenza come spettacolo è diversa dalla violenza finalizzata alla sopravvivenza”, il filosofo risponde (anche) che ” nell’arena va in scena la sfida tra la vita e la morte. L’uomo conosce la morte, l’animale no“. L’animale no, parole e concetti faticosi da trascrivere. La scienza definisce l’animale come dotato di vita, la morte è la fine della vita, come farebbe un essere vivente a non conoscere la morte? Lei che è filosofo, ha mai pensato che il mondo animale non è totalmente interpretabile, e tantomeno comprensibile, utilizzando solamente parametri umani? Perchè molti animali selvatici, ma anche domestici, si isolano quando arriva il loro momento? E’ sempre stato un caso da milioni di anni a questa parte, signor Savater? O per caso, è lei che si sbaglia e queste creature così poco acculturate, la morte la conoscono forse anche meglio di noi umani? L’animale prova dolore lo sa? La morte, implica dolore, lo sa? Come sarebbe possibile quindi il fatto che conosca il dolore e non la morte? La morte è il dolore estremo, quello peggiore, quello che separa una parte dal tutto(ciò che conosciamo). E’ solo perchè il toro non parla che lei la pensa così? Solamente perchè la sofferenza non viene esplicitata in lingua umana? Qui non può essere una questione di cultura, non può, anche perche lei, essendo filosofo, non può certo mancare sotto questo aspetto, qui, è una questione di mentalità, quella che pare veda e voglia vedere l’umano superiore a qualsiasi altro essere e quindi dotato del diritto di decidere della vita e della morte dei più deboli, o no?
Ci sarebbe altro nell’intervista da analizzare, nell’intervista pubblicata oggi dal Corriere , ma non è questa la sede per fare un trattato di animalismo, o di civiltà. Ci si limita però a riportare l’ultima frase, “(la corrida) E’ una festa piena di simboli e d’arte, per me è molto meglio di una partita di calcio”. Già, per il popolare filosofo spagnolo, entrambe le manifestazioni sono un gioco, da una parte si cerca di fare goal e magari alzare una coppa, dall’altra si ammazza, spesso dissanguandolo e dopo diverse ore di agonia, un essere vivente, non c’è che dire, le analogie tra le due “tradizioni” sono davvero molte, e addirittura lei, signor Savater, preferisce la seconda, bene, allora si guardi la foto, e si diverta, se ci riesce.
La Catalogna ha abolito il tradizionale scontro con i tori. Arene chiuse dal 2012. È l´eterno duello tra Barcellona e Madrid
Il Parlamento della regione autonoma spagnola ha abolito la corrida. È un successo storico per gli animalisti, ma è anche un voto contro Madrid. Per cancellare il simbolo del colonialismo culturale dello Stato centralista Il leader del Pp Rajoy non ci sta: "È come impedire la pesca, la caccia o le corse in moto" "A rischio migliaia di posti di lavoro" Lo scontro arriverà nelle sedi istituzionali
Addio alla "Fiesta", alla sbornia di sangue e sabbia cantata da Hemingway, disegnata da Picasso e recitata da Tyron Power. Addio alla tortura dei tori e alle danze della "muleta", il drappo di flanella scarlatto con il quale il torero sfianca l´animale, già sanguinante ed esausto, prima di spaccargli il cuore con la spada che gli fa scivolare tra le scapole. L´agonia della corrida è iniziata ieri, tra gli abbracci e la felicità degli animalisti, nell´aula del Parlamento di Barcellona. Maggioranza ampia (68 a 55 con 9 astenuti) per approvare l´iniziativa di legge popolare (180mila firme) che proibisce la Tauromachia a partire dal gennaio 2012 in tutta la regione autonoma della Catalogna. Un successo storico che apre nuovi scenari per le battaglie contro le torture verso gli animali ma che, nel contesto catalano, ha altri e molto simbolici significati.
Così la Catalogna, e il "bloque" del Barça di Pep Guardiola, che porta la Spagna fra le stelle del pallone (ma Iniesta è di Albacete, sulla meseta della Spagna centrale), vota una legge sana e indica, anche su una vicenda minore ma non superflua, un´altra strada stracciando sul traguardo della modernità Zapatero, il premier dei matrimoni gay e del divorzio breve, uno che non ha mai visto una corrida ma che si è dimenticato di fare della sua abolizione un paragrafo del programma di governo.
Si può leggere in questo modo il voto di ieri ma sarebbe un po´ riduttivo perché è anche un altro strappo. Un altro voto contro Madrid. Un altro colpo d´acceleratore per cancellare dalla carta geografica quell´identità spagnola tanto odiata dai nazionalisti catalani. La corrida come simbolo del "colonialismo culturale" dello Stato centralista che, come tale, va abolita. Non è per nulla un caso che la maggior parte dei voti a favore della legge siano arrivati dal fronte radicale, dai gruppi nazionalisti, e che il Partito Popolare, la destra conservatrice e fortemente centralista (a Madrid come a Barcellona), abbia già annunciato che porterà la vicenda al Parlamento nazionale per ottenere un voto che definisca la corrida come uno spettacolo di "interesse generale". Mariano Rajoy, il leader dei conservatori, va anche più in là. Boccia la legge catalana sostenendo che proibire la corrida è come impedire "la caccia, la pesca e le corse in motocicletta" e chiede al governo socialista di Madrid di proporre all´Unesco la difesa della "Fiesta" in nome del "patrimonio culturale dell´Umanità".
Insomma la guerra è aperta ed è trasversale. Josep Luis Carod Rovira, vicepresidente del Parlamento catalano e leader dei nazionalisti radicali, ha votato per la proibizione affermando che "il XXI secolo dovrebbe essere incompatibile con la tortura pubblica degli animali venduta come uno spettacolo" e che "qualsiasi tradizione deve adattarsi con l´epoca". Il presidente del Parlamento, Jose Montilla, socialista, invece, ha votato contro perché crede "nella libertà e nella libera scelta dei cittadini piuttosto che in una imposizione legale". Mentre, con un paradosso, lo scrittore Juan Cruz pensa che la proibizione rischia di avere lo stesso effetto che ebbe quella sul whisky nell´America degli anni ‘30: gli aficionados aumenteranno invece di diminuire.
Lontano da Barcellona la vicenda si osserva con qualche preoccupazione. L´industria delle Plaza de Toros, quel grande circo che dà lavoro a migliaia di persone, dagli allevatori all´ultimo "piquetero" - i peones delle banderillas - , vuole chiedere alla Generalitat (il parlamento catalano) un indennizzo pari a circa 300 milioni di euro come risarcimento per il danno economico della proibizione. Mentre la maggior parte dei politici spagnoli interpretano il voto come un ennesimo desiderio di "diversità catalana". Un altro passo sulla via della "secessione morbida", magari anche indolore. D´altra parte è di queste settimane lo scontro sullo "Statut", la Costituzione catalana, bocciata senza appello dalla Corte Costituzionale nella parte in cui definisce - appunto - la Catalogna come "una nazione". Ma lo scivolamento - colpo dopo colpo - potrebbe diventare irreversibile. Facciamo qualche semplice esempio. In tutta la Catalogna i cartelli stradali che indicano i nomi delle città devono essere rigorosamente in lingua catalana, se vengono scritti in spagnolo il Comune viene multato. In molte sedi comunali sventola una sola bandiera, quella catalana. Senza dimenticare poi che l´amministrazione autonoma sta, per esempio, ridisegnando i criteri territoriali con l´abolizione delle province e che il rifiuto dello spagnolo come prima lingua sta generando situazioni paradossali. Per un cittadino di altra regione della Spagna è diventato difficile trasferirsi a lavorare in Catalogna, e non solo perché l´amministrazione regionale per i posti di lavoro nelle scuole o negli ospedali o negli uffici privilegia i residenti, ma anche perché deve per forza conoscere la lingua locale. Nelle scuole pubbliche catalane e nelle Università si studia in catalano così, ormai da tempo, la borghesia di Barcellona spedisce i suoi rampolli negli istituti privati dove studiano prima spagnolo poi il resto. Contraddizioni da Medioevo.
Per il fronte animalista e per i deputati regionali che hanno approvato l´addio alle corride tutti i simbolismi antispagnoli sono esagerati. Anzi, ieri il loro slogan era: "La Catalogna non sarà Europa fino a quando non aboliremo qualsiasi maltrattamento contro gli animali". Il voto di ieri ha messo fine ad una lunga contesa iniziata un anno e mezzo fa con la presentazione della proposta di legge popolare ma - è evidente - si tratta appena di un passaggio. Lo scontro è destinato a continuare in altre sedi. Dal Parlamento nazionale alle istituzioni internazionali come l´assise europea di Bruxelles o l´Unesco. Lacerando ferite non solo fra favorevoli e contrari alla "Fiesta" ma anche tra la Catalogna e il resto della Spagna.
Omero Ciai
Fonte: www.repubblica.it
Il Parlamento della regione autonoma spagnola ha abolito la corrida. È un successo storico per gli animalisti, ma è anche un voto contro Madrid. Per cancellare il simbolo del colonialismo culturale dello Stato centralista Il leader del Pp Rajoy non ci sta: "È come impedire la pesca, la caccia o le corse in moto" "A rischio migliaia di posti di lavoro" Lo scontro arriverà nelle sedi istituzionali
Addio alla "Fiesta", alla sbornia di sangue e sabbia cantata da Hemingway, disegnata da Picasso e recitata da Tyron Power. Addio alla tortura dei tori e alle danze della "muleta", il drappo di flanella scarlatto con il quale il torero sfianca l´animale, già sanguinante ed esausto, prima di spaccargli il cuore con la spada che gli fa scivolare tra le scapole. L´agonia della corrida è iniziata ieri, tra gli abbracci e la felicità degli animalisti, nell´aula del Parlamento di Barcellona. Maggioranza ampia (68 a 55 con 9 astenuti) per approvare l´iniziativa di legge popolare (180mila firme) che proibisce la Tauromachia a partire dal gennaio 2012 in tutta la regione autonoma della Catalogna. Un successo storico che apre nuovi scenari per le battaglie contro le torture verso gli animali ma che, nel contesto catalano, ha altri e molto simbolici significati.
Così la Catalogna, e il "bloque" del Barça di Pep Guardiola, che porta la Spagna fra le stelle del pallone (ma Iniesta è di Albacete, sulla meseta della Spagna centrale), vota una legge sana e indica, anche su una vicenda minore ma non superflua, un´altra strada stracciando sul traguardo della modernità Zapatero, il premier dei matrimoni gay e del divorzio breve, uno che non ha mai visto una corrida ma che si è dimenticato di fare della sua abolizione un paragrafo del programma di governo.
Si può leggere in questo modo il voto di ieri ma sarebbe un po´ riduttivo perché è anche un altro strappo. Un altro voto contro Madrid. Un altro colpo d´acceleratore per cancellare dalla carta geografica quell´identità spagnola tanto odiata dai nazionalisti catalani. La corrida come simbolo del "colonialismo culturale" dello Stato centralista che, come tale, va abolita. Non è per nulla un caso che la maggior parte dei voti a favore della legge siano arrivati dal fronte radicale, dai gruppi nazionalisti, e che il Partito Popolare, la destra conservatrice e fortemente centralista (a Madrid come a Barcellona), abbia già annunciato che porterà la vicenda al Parlamento nazionale per ottenere un voto che definisca la corrida come uno spettacolo di "interesse generale". Mariano Rajoy, il leader dei conservatori, va anche più in là. Boccia la legge catalana sostenendo che proibire la corrida è come impedire "la caccia, la pesca e le corse in motocicletta" e chiede al governo socialista di Madrid di proporre all´Unesco la difesa della "Fiesta" in nome del "patrimonio culturale dell´Umanità".
Insomma la guerra è aperta ed è trasversale. Josep Luis Carod Rovira, vicepresidente del Parlamento catalano e leader dei nazionalisti radicali, ha votato per la proibizione affermando che "il XXI secolo dovrebbe essere incompatibile con la tortura pubblica degli animali venduta come uno spettacolo" e che "qualsiasi tradizione deve adattarsi con l´epoca". Il presidente del Parlamento, Jose Montilla, socialista, invece, ha votato contro perché crede "nella libertà e nella libera scelta dei cittadini piuttosto che in una imposizione legale". Mentre, con un paradosso, lo scrittore Juan Cruz pensa che la proibizione rischia di avere lo stesso effetto che ebbe quella sul whisky nell´America degli anni ‘30: gli aficionados aumenteranno invece di diminuire.
Lontano da Barcellona la vicenda si osserva con qualche preoccupazione. L´industria delle Plaza de Toros, quel grande circo che dà lavoro a migliaia di persone, dagli allevatori all´ultimo "piquetero" - i peones delle banderillas - , vuole chiedere alla Generalitat (il parlamento catalano) un indennizzo pari a circa 300 milioni di euro come risarcimento per il danno economico della proibizione. Mentre la maggior parte dei politici spagnoli interpretano il voto come un ennesimo desiderio di "diversità catalana". Un altro passo sulla via della "secessione morbida", magari anche indolore. D´altra parte è di queste settimane lo scontro sullo "Statut", la Costituzione catalana, bocciata senza appello dalla Corte Costituzionale nella parte in cui definisce - appunto - la Catalogna come "una nazione". Ma lo scivolamento - colpo dopo colpo - potrebbe diventare irreversibile. Facciamo qualche semplice esempio. In tutta la Catalogna i cartelli stradali che indicano i nomi delle città devono essere rigorosamente in lingua catalana, se vengono scritti in spagnolo il Comune viene multato. In molte sedi comunali sventola una sola bandiera, quella catalana. Senza dimenticare poi che l´amministrazione autonoma sta, per esempio, ridisegnando i criteri territoriali con l´abolizione delle province e che il rifiuto dello spagnolo come prima lingua sta generando situazioni paradossali. Per un cittadino di altra regione della Spagna è diventato difficile trasferirsi a lavorare in Catalogna, e non solo perché l´amministrazione regionale per i posti di lavoro nelle scuole o negli ospedali o negli uffici privilegia i residenti, ma anche perché deve per forza conoscere la lingua locale. Nelle scuole pubbliche catalane e nelle Università si studia in catalano così, ormai da tempo, la borghesia di Barcellona spedisce i suoi rampolli negli istituti privati dove studiano prima spagnolo poi il resto. Contraddizioni da Medioevo.
Per il fronte animalista e per i deputati regionali che hanno approvato l´addio alle corride tutti i simbolismi antispagnoli sono esagerati. Anzi, ieri il loro slogan era: "La Catalogna non sarà Europa fino a quando non aboliremo qualsiasi maltrattamento contro gli animali". Il voto di ieri ha messo fine ad una lunga contesa iniziata un anno e mezzo fa con la presentazione della proposta di legge popolare ma - è evidente - si tratta appena di un passaggio. Lo scontro è destinato a continuare in altre sedi. Dal Parlamento nazionale alle istituzioni internazionali come l´assise europea di Bruxelles o l´Unesco. Lacerando ferite non solo fra favorevoli e contrari alla "Fiesta" ma anche tra la Catalogna e il resto della Spagna.
Omero Ciai
Fonte: www.repubblica.it
Si dice che in Spagna uno sia più vivo da morto che vivo da vivo. Hanno una particolare cultura della morte. La corrida è una manifestazione che ha la sua bella fetta di crudeltà e quindi di spettacolarità. Pertanto non dubito che vi sia chi ami la corrida, che certo, pur essendo crudele raccoglie anche una fetta di folklore. Un passo storico comunque.
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