Il quesito sorge spontaneo se non si è tra coloro che sono ormai sopraffatti dal conformismo di ogni colore e sorta e/o dalla varie evasioni, offerte anche dalle “alternative spiritual-esoteric-benessere”, che spesso favoriscono “bolle di evasione”, anche dalla conoscenza anche di fatti della nostra realtà storica, ovvero del qui e ora comunque santificato da mode e tendenze. Ma questo è altro capitolo forse ancora più indigesto e impopolare del tema “democrazia”.
È parere diffusissimo, a mia osservazione soprattutto tra i più giovani (includo gli under 40 non solo i teenagers), che “non ci sia proprio nulla da fare. Che è cosi e non ci si può fare niente”. Questa attitudine, per me personalmente, è più sconvolgente e sconfortante del problema in sé ma ciò non cambia il fatto che sia la tendenza del presente della stragrande maggioranza. Vittimismo, conformismo, mancanza di cultura, in molti casi mancanza di fatiche nel raggiungimento di obbiettivi anche solo personali … hanno privato di nerbo e resistenza e visione e volontà soprattutto le generazioni più giovani, quindi il futuro. Non si dica, però, che è solo colpa “della società”…
Rimango curiosa di capire, su tale base di rinuncia, quale è la visione generale della vita che questa maggioranza ha... perché a me viene in mente solo quella materiale e fisica: “visto che non c'è niente da fare, speriamo in un colpo di fortuna, in un privilegio di classe o simile per tirare a campare e cercare di avere la meglio sul vicino. Conserviamo, usiamo, sfruttiamo l'occasione, pensiamo al nostro orticello. Non “possiamo” fare altro. Soprattutto se teniamo famiglia”.
Cadono a fagiolo alcune affermazioni di Estulin (dal “Club Bilderberg”): “Nonostante le prove siano ormai evidenti, la maggior parte della gente ritiene di essere troppo occupata a risolvere i problemi quotidiani che è costretta ad affrontare, per perdere tempo con le “teorie della cospirazione”.
In sostanza: il continuo lavaggio del cervello ha demoralizzato, privato gli individui di identità e autostima, instillato insicurezza verso il futuro; di conseguenza è facile auspicare l’arrivo di un Grande Ordinatore che metta a posto le cose… È cosi che “Loro” hanno vinto sul mondo, su “questo” mondo.
Tornando al tema “democrazia”, da cui per la verità tali note non erano molto lontane, per stimolare riflessione e conoscenza, lascio spazio nel seguito alle parole di Maurizio Blondet (qui una sintesi, tutto l'articolo lo potete leggere qui)
Cristina Bassi
«Ue, Barroso: Grecia, Spagna e Portogallo rischiano la dittatura - Roma, 15 giugno - La democrazia in Grecia, Spagna e Portogallo potrebbe crollare aprendo la strada a insurrezioni popolari o a colpi di Stato militari. È quanto teme possa accadere il presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso, secondo cui i governi più colpiti dalla crisi potrebbero crollare in seguito alla bancarotta causata da debiti inestinguibili, taglio dei servizi sociali e tassi d’interesse alle stelle. Barroso avrebbe espresso questi timori venerdì scorso durante il confronto con il leader della confederazione sindacale inglese (TUC, Trades Union Congress, ndr) John Monks.(...)
Se questi Paesi non riescono a varare misure di austerity potrebbero virtualmente scomparire nella forma democratica che conosciamo oggi, avrebbe detto Barroso, aggiungendo che ‘non hanno scelta’. Monks ha ammesso di essere rimasto scioccato dalla preoccupazione di Barroso e dalla sua ‘apocalittica visione del collasso delle democrazie in Europa a causa dei debiti’. Grecia, Spagna e Portogallo sono uscite dalla dittatura solo negli anni Settanta e - osserva il Daily Mail che ha riportato le rivelazioni del sindacalista - un colpo di Stato militare non costituirebbe una novità nella loro storia». (leggi qui la fonte)
(…) Se saranno instaurate dittature militari nei Paesi in collasso debitorio, lo saranno con il beneplacito dell’Unione Europea (e del Bilderberg, e dei banchieri che la guidano) per assicurare che i popoli sottostanti continuino, per forza, a pagare il debito pubblico.
(…) Barroso, che non è mai stato eletto da nessuna cittadinanza, teme per quella che definisce «democrazia». E chiama preventivamente «dittatura» un eventuale esercizio esplosivo della volontà popolare, qualunque rivolta dal basso contro il malgoverno, le oligarchie e il parassitismo pubblico.
(…) Non è solo una vacua questione terminologica. La parola «democrazia» contiene una potenza legittimante, che è una forza reale. Una forza che rende difficile abbattere regimi come quelli sotto cui soffriamo, in quanto si dichiarano formalmente «democratici».
(…) Il difetto sta nel manico, ossia nel Parlamento. Ho già scritto spesso che il parlamento nacque, storicamente, come «antagonista» e contrappeso del potere esecutivo, ossia del governo, quando il governo era in mano a un monarca ereditario. Il parlamento, espressione della volontà popolare, sorvegliava soprattutto che il monarca non imponesse tasse eccessive per fare guerre di prestigio, o per mantenere la corte di Versailles, o per qualunque altro motivo non approvato dalla cittadinanza che, alla fine, doveva pagare il conto.
Oggi l’antagonismo fra governo e parlamento è abolito, ed anzi tende a rovesciarsi: è il governo (esecutivo) che tenta debolmente di ridurre la spesa del settore pubblico – questo è il senso dei tagli di Tremonti – contro l’opposizione massiccia del parlamento, dei consigli regionali, provinciali, comunali. I deputati e i senatori si assegnano lo stipendio e le prebende che vogliono, senza controllo di un ente esterno, proprio perché in quanto presunti rappresentanti del popolo, sono sovrani.
(…) Ogni giorno giornali, libri, inchieste televisive denunciano simili costosi arbitrii sprechi, clientelismi a spese di noi contribuenti. L’effetto sui parlamentari è nullo. Nessuno di loro si precipita a dichiarare all’opinione pubblica che si darà da fare per ridurre le spese, che rinuncerà all’ufficio che costa a noi 11.400 euro e se ne troverà uno più economico. Anzi, i non più rieletti si tengono gli uffici invece di sloggiare, sicché i nuovi eletti, non potendo occupare quegli uffici, pretendono i loro, e presto altri uffici saranno affittati a peso d’oro a nostre spese. E sordi ad ogni protesta, ogni volta si aumentano lo stipendio e i benefici.
In una parola: se ne infischiano altamente dell’opinione pubblica, perché hanno dalla loro la «democrazia». Nessuna opposizione si formerà per tagliare gli stipendi dei consiglieri calabresi (11.316 al mese) o siciliani (19.680) perché su quello l’accordo è totalitariamente bipartisan.
(…) È evidentemente che questa situazione corrisponde a quel che la storiografia e la propaganda rivoluzionaria, eternata dalla narrativa e dai film, descrivono come la molla della rivoluzione francese: un popolo in miseria che assisteva agli sfarzi, agli sprechi e alle esazioni delle migliaia di parassiti ingioiellati e incipriati che facevano feste nella Corte di Versailles.
Ma qui c’è l’intoppo: i nostri parassiti, quelli che ci schiacciano nel presente momento storico, sono «la democrazia», a tutti i suoi livelli, formali, nazionali, regionali, provinciali, comunali. Malversano per nostra delega, e con regioni, provincie, comuni, ogni giorno di più «portano il potere più vicino al cittadino».
È evidente che andrebbero scacciati coi forconi, ghigliottinati, appesi ai lampioni come nemici del popolo; i loro beni confiscati da commissioni rivoluzionarie, fatti tremare da un regime di Terrore.
Perché solo così, col Terrore sul collo, i parassiti si spoglierebbero dei loro privilegi.
Ma come si fa ad appendere ai lampioni i «rappresentanti del popolo»? Chi ne avrebbe il coraggio, se non una minoranza che subito sarebbe accusata dal mai votato Barroso e dai cooptati della UE di volere «la dittatura»?
La Corte di Versailles non conosceva ancora il trucco di dichiararsi «democrazia», e per questo fu possibile una rivoluzione e un cambio di regime (se poi migliore, è un altro discorso).
Oggi, la «democrazia» rende impossibile – perché illegittimo – ogni cambiamento e ogni abolizione dei privilegi di corte. Perché – ed è questo il lato più tragico – una parte della popolazione oppressa si opporrebbe ai rivoltosi, convinta in buona fede di difendere «la democrazia».
È questa la forza legittimante della parola, anche se ormai essa ricopre qualcosa di ben altro. È chiaro, ad esempio, che la «democrazia» attuale consiste nell’acquisto, col denaro di tutti, del «consenso» ossia del voto di minoranze privilegiate, clientelari, che credono di guadagnarci dal sistema: per esempio i falsi invalidi che, siccome ricevono 600 euro, si fanno difensori di coloro che ne spendono 11.400 al mese in un ufficio a Roma; o degli insegnanti da 1.200 euro, che difendono la Casta in quanto «potere pubblico», opposto ideologicamente al «settore privato».
Se riuscissimo a vedere le cose senza farci ingannare dal termine «democrazia», vedremmo che siamo soggetti ad una oligarchia che, mentre si compra il consenso con la spesa clientelare, a tutti gli altri – i non-clienti, i cittadini senza santi in paradiso – impone aggravi feroci di tassazioni, esazioni, multe che non sono diverse da quelle che i re e i nobili imponevano agli affamati che cacciavano di frodo nelle riserve regali e nelle foreste aristocratiche. Costoro erano messi alla gogna (letteralmente) o condannati al taglio della mano come «bracconieri».
Oggi, è facile bollare gli anti-tasse e gli anti-privilegi come «evasori fiscali». Non lo ha detto di recente il governatore non-votato di Bankitalia Mario Draghi, dall’alto dei suoi 2 milioni di euro di emolumento?
L’evasione fiscale è la vera «macelleria sociale». Se Mario Draghi parlasse apertamente a nome di un re, con parrucca e spadino, gli si potrebbe rimbeccare che la «macelleria sociale» è quella che sta facendo lui, con i suoi referenti internazionali, e i politici al loro servizio che succhiano emolumenti miliardari dalle ossa di un popolo sempre più povero.
(…) Siamo in «democrazia», e la protesta dei tartassati – per uno strano miracolo – diventa illegittima. «Antipolitica», evasione, populismo, dittatura, così sarà chiamato ogni tentativo (se mai ci sarà) di imporre la volontà popolare.
Di rivoltarci, non abbiamo il coraggio, perché non sentiamo di averne il diritto. Il che significa che per riprendere la sua sovranità, il popolo e i cittadini devono prima uscire dal cerchio mentale chiamato «democrazia».
Lunga, lunga strada”.
Di Maurizio Blondet
Di Maurizio Blondet
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