In un’apparizione al Palazzo dell’Eliseo con alcuni leader della
comunità ebraica francese, nella giornata di domenica il presidente
François Hollande ha annunciato la prossima introduzione di misure più
severe in materia di anti-terrorismo. La promessa è giunta il giorno
dopo una serie di operazioni condotte dalla polizia transalpina in tutto
il paese per smantellare una presunta rete di estremisti islamici e,
soprattutto, mentre stanno aumentando le tensioni sociali prodotte dalla
crisi economica in corso e dalla risposta ad essa decisa dal governo
socialista.
Nel tentativo di distogliere l’opinione pubblica dai reali problemi
del paese
e dal mancato rispetto degli impegni elettorali da parte del
suo governo, Hollande si è dato da fare per ingigantire il problema del
fanatismo religioso in Francia, affermando che “lo Stato non scenderà a
compromessi nel combattere il razzismo e l’anti-semitismo”, minacciando
che “nulla sarà tollerato” in questo ambito.
La ferma condanna del razzismo e di ogni forma di discriminazione su
base etnica o religiosa appare quanto meno ipocrita da parte di un
presidente e di un partito come quello socialista che, da un lato, hanno
sostanzialmente condiviso la legge profondamente anti-democratica del
2010 che vieta il burqa e altri indumenti religiosi che nascondo il viso
e, dall’altro, hanno seguito l’esempio di Nicolas Sarkozy
nell’implementazione di politiche persecutorie nei confronti dei Rom.
A fornire al governo di Parigi il più recente pretesto per provare a
mettere in atto nuove misure di polizia sono stati alcuni episodi
registrati negli ultimi giorni, nei quali sono state prese di mira
sinagoghe ed esponenti della comunità ebraica in città come Lione o
nelle aree periferiche della capitale.
Un giro di vite in materia di anti-terrorismo era peraltro già stato
deciso e sfruttato politicamente la scorsa primavera dall’allora
presidente Sarkozy a poche settimane dalle elezioni che lo avrebbero
deposto. A Marzo, infatti, la minaccia del terrorismo sulla Francia
venne improvvisamente rispolverata dai media e dai politici dopo che un
attentato a Tolosa presso una scuola ebraica fece sette vittime.
Le
forze di sicurezza francesi misero successivamente sotto assedio
l’abitazione del presunto responsabile, Mohamed Merah, un 23enne di
origine algerina ben noto alla polizia che aveva soggiornato in Pakistan
e in Afghanistan, uccidendolo sommariamente dopo uno scontro a fuoco.
L’episodio venne seguito da un’ondata di arresti nella comunità
musulmana in Francia e subito sfruttato dalla retorica
dell’establishment politico d’oltralpe in un periodo di crisi economica e
con le elezioni alle porte.
Dopo l’ingresso all’Eliseo, dunque, Hollande non solo si è discostato
ben poco dal suo predecessore nella politica economica, facendo pagare
alle classi più in difficoltà la crisi del debito, e in quella estera,
appoggiando un intervento esterno per rovesciare il regime di Assad in
Siria, ma anche sul fronte domestico dimostra di seguire il percorso
tracciato da Sarkozy.
Così, nel fine settimana il presidente socialista ha annunciato la
presentazione da parte del suo governo di un disegno di legge
anti-terrorismo in Parlamento che, tra l’altro, consentirà alla polizia
di arrestare coloro che sono sospettati di essere coinvolti in attività
terroristiche anche al di fuori dei confini francesi o che hanno
ricevuto addestramento all’estero. Inoltre, la proposta dell’esecutivo
permetterà alle forze di polizia di avere accesso alle e-mail e ai dati
relativi al traffico web dei sospettati, mentre verranno intensificate
le misure di protezione e di sorveglianza dei luoghi di preghiera.
Nella giornata di sabato, intanto, la polizia francese ha dato prova
della propria efficienza anche senza i provvedimenti che saranno a breve
all’esame del parlamento. Tra Strasburgo e la Costa Azzurra sono state
arrestate decine di persone sospettate di far parte di una rete di
estremisti islamici e, nel corso di uno dei blitz, la polizia ha ucciso
un 33enne che sarebbe coinvolto nell’attentato contro un negozio ebraico
avvenuto lo scorso settembre a Sarcelles, un sobborgo di Parigi.
Con
la maggioranza della popolazione transalpina che vede le proprie
condizioni di vita seriamente minacciate dal governo, dalle istituzioni
europee e dagli ambienti finanziari internazionali, il ministro degli
Interni di Parigi, Manuel Valls, anticipando l’intervento di Hollande,
in un’intervista rilasciata sabato scorso alla rete televisiva TF1 ha
nondimeno messo in guardia i francesi dalla minaccia terroristica che
graverebbe sul loro paese.
Dai vertici dello Stato, misure di polizia e toni catastrofisti che
prefigurano un assedio da parte di estremisti islamici vengono così
utilizzati sia per contenere il malcontento diffuso, cercando di
dirottarlo su minacce in gran parte fabbricate o ingigantite, sia per
creare strumenti legali che facilitino il controllo del dissenso interno
e dello scontro sociale già in atto e che si intensificherà ancora di
più con l’aggravarsi della crisi economica.
Tutto ciò in uno scenario nel quale si prospettano migliaia di
ulteriori licenziamenti nelle principali aziende francesi, nonché nuove
pesanti misure di austerity e di smantellamento delle protezioni sociali
e dei diritti dei lavoratori che hanno già dato vita nei giorni scorsi a
massicce manifestazioni di protesta a Parigi e in altre città della
Francia.
di Michele Paris- Altre notizie
Il prossimo passo sarà quello di seguire l'esempio dell'Emirato saudita?
Perché no, vista l'alta considerazione che l'Occidente mostra per questa petrolmonarchia considerata faro della democrazia e dei diritti umani...
L’Arabia Saudita invia detenuti a combattere in Siria
Abna 8/10/2012
Una
fonte ufficiale del movimento arabo di resistenza segreto – HASM – ha
osservato di recente che, anche se il regime degli al-Saud afferma
ufficialmente di non gradire l’idea di giovani sauditi che vanno a
combattere la Jihad in Siria, ha segretamente inviato dei giovani
detenuti a fare proprio questo.
La fonte ha spiegato che le autorità saudite costringono i giovani detenuti sauditi ad andare in Siria a prendere parte ad un conflitto che non hanno capito, mentre le loro famiglie sono in attesa del loro ritorno a casa, credendo che si trovino in una prigione saudita su suolo saudita. La fonte ha aggiunto che, anche se l’Arabia Saudita si è attentamente assicurata che tutti i prigionieri entrino in Siria senza documenti di identificazione o evidenti collegamenti con il regno, le notizie di un tale complotto cominciano a circolare.
Dall’infiltrazione dalla Turchia alla Siria, ai detenuti viene impedito di entrare in contatto con le loro famiglie e spesso muoiono senza che le loro famiglie lo vengano mai a sapere. Mentre le violenze continuano in Siria, il numero dei morti aumenta. L’Arabia Saudita, ha detto la fonte, si rifiuta anche di garantire che i suoi morti siano rimpatriati per una degna sepoltura, mentre cerca di coprire i propri crimini.
A seconda delle circostanze lo Stato sosterrà che i detenuti sono stati uccisi mentre cercavano di scappare, o che erano fuggiti, o semplicemente che i documenti non fanno alcuna menzione di queste persone. La fonte ha sottolineato che solo se i detenuti-combattenti tornano in vivi in Arabia Saudita e dicono a tutti ciò che gli è stato fatto passare dal regime, le persone nel regno sapranno la verità. Ha aggiunto che spesso i resti dei morti vengono bruciati, per non lasciare alcuna traccia della loro esistenza e presenza sul terreno siriano.
Stato e potenzaLa fonte ha spiegato che le autorità saudite costringono i giovani detenuti sauditi ad andare in Siria a prendere parte ad un conflitto che non hanno capito, mentre le loro famiglie sono in attesa del loro ritorno a casa, credendo che si trovino in una prigione saudita su suolo saudita. La fonte ha aggiunto che, anche se l’Arabia Saudita si è attentamente assicurata che tutti i prigionieri entrino in Siria senza documenti di identificazione o evidenti collegamenti con il regno, le notizie di un tale complotto cominciano a circolare.
Dall’infiltrazione dalla Turchia alla Siria, ai detenuti viene impedito di entrare in contatto con le loro famiglie e spesso muoiono senza che le loro famiglie lo vengano mai a sapere. Mentre le violenze continuano in Siria, il numero dei morti aumenta. L’Arabia Saudita, ha detto la fonte, si rifiuta anche di garantire che i suoi morti siano rimpatriati per una degna sepoltura, mentre cerca di coprire i propri crimini.
A seconda delle circostanze lo Stato sosterrà che i detenuti sono stati uccisi mentre cercavano di scappare, o che erano fuggiti, o semplicemente che i documenti non fanno alcuna menzione di queste persone. La fonte ha sottolineato che solo se i detenuti-combattenti tornano in vivi in Arabia Saudita e dicono a tutti ciò che gli è stato fatto passare dal regime, le persone nel regno sapranno la verità. Ha aggiunto che spesso i resti dei morti vengono bruciati, per non lasciare alcuna traccia della loro esistenza e presenza sul terreno siriano.
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