Mentre il regime dei banchieri stringe i suoi tentacoli sempre di più attorno alla vita dei popoli europei, come ben illustra Michele Paris nell'articolo pubblicato più in basso, gli italiani sono stati derubati del 97% del Pil nominale dal 2005 ad oggi, come reso noto da Chicago Blog (vedi art sotto riportato). La piovra bancaria inoltre dispone delle FFOO che, invece di "prelevare" i signori nella Lista Lagarde usa la forza brutale sui cittadini che protestano contro l'espropio dei loro diritti e dei beni necessari alla sopravvivenza, al solo scopo di salvare la finanza. Perfino Amnesty si lamenta che in troppi paesi UE i manifestanti vengono picchiati senza motivo. Non in Cina, o Corea. Nella Ue premio nobel per la pace. Mi piacerebbe tanto sapere cosa ne pensa l'Onu, tanto attenta ai diritti umani, della decisione del regime bancario imposto in Italia di condannare a morte i disabili. In fondo, sono un "costo". Meglio se crepano di stenti. Il debito pubblico ne gioverà, pensano sicuramente i tecnici. I pennivendoli italioti intanto, svolgono la loro parte, lasciando cadere nell'oblio mediatico lo sciopero della fame messo in atto dalle persone colpite dall'infame provvedimento.
Pagati con i nostri soldi per rappresentare gli interesi dei comitati d'affari massonici. I nostri parassiti seduti nei palazzi sono i più pagati d'Europa, mentre, grazie a loro, gli italiani sono i più poveri in Europa. I loro stipendi non saranno la causa del debito pubblico, d'accordo, ma non hanno alcuna ragione di esistere, soprattutto considerato che lavorano contro il popolo. Sono decenni che funziona in questo modo, non si sarebbe potuti giungere fin qui se non avessero a disposizione un esercito di tirapiedi nella cosiddetta società civile, megafono di tanti "filantropi", quella che sostiene di lottare in favore delle classi deboli. Beh i risultati di tale impegno sono sotto gli occhi di tutti.
Barbara
PUBBLICATA IN GRECIA LISTA DI 2059 EVASORI COL CONTO IN SVIZZERA. LA NOSTRA LISTA DI EVASORI FISCALI È SEPOLTA A TORINO. PARCE SEPULTA.
Il 10 ottobre scorso raccontavo nel post ” Tragedia Greca per
la lista Lagarde” la storia di una lista di evasori fiscali in Grecia
fornita dalla attuale Direttrice Generale del Fondo Monetario
Internazionale ( FMI) nel 2010 al governo greco e a quello italiano,
mentre era ministro dell’economia francese .
La lista era stata ottenuta ” disinvoltamente” dal servizio segreto francese per stanare i propri evasori.
La lista era stata ottenuta ” disinvoltamente” dal servizio segreto francese per stanare i propri evasori.
La Lagarde i nominativi degli italiani e dei greci li aveva dati agli
interessati per dimostrare che per pagare i debiti , potevano ancora
raschiare la botte e dove.
La lista data ai greci, in due anni, è comparsa e scomparsa un paio di volte.
Notavo, nel post del 10 ottobre, sul ” corrieredellacollera.com ” che la lista data agli italiani, era stata messa in fuori gioco dalla magistratura piemontese, con motivazioni che susciterebbero ilarità se solo ci fosse ancora qualcosa da ridere sull’argomento ” insabbiature” .
La lista data ai greci, in due anni, è comparsa e scomparsa un paio di volte.
Notavo, nel post del 10 ottobre, sul ” corrieredellacollera.com ” che la lista data agli italiani, era stata messa in fuori gioco dalla magistratura piemontese, con motivazioni che susciterebbero ilarità se solo ci fosse ancora qualcosa da ridere sull’argomento ” insabbiature” .
La magistratura greca attende di interrogare, con comodo, l’ex
ministro della Difesa Evangelos Venizelos che ricordando il proprio
nome, ha evitato per due anni di dare la cattiva notizia.
L’altro ” indagabile” per la scomparsa della lista, è Giorgios Papacostantineu ex delle Finanze.
Di indagare sull’elenco degli evasori , neanche a parlarne, poichè in due anni, la magistratura non l’ha ottenuta.
L’altro ” indagabile” per la scomparsa della lista, è Giorgios Papacostantineu ex delle Finanze.
Di indagare sull’elenco degli evasori , neanche a parlarne, poichè in due anni, la magistratura non l’ha ottenuta.
OGGI SONO IN GRADO DI DARE NOTIZIA CHE GIUSTIZIA È FINALMENTE FATTA !
Il giornalista Kostas Vaxevanis del settimanale ” Hot Doc” è stato
colpito da mandato di cattura , prontamente eseguito, per aver
pubblicato sul suo giornale la famosa lista contenente 2059 nominativi,
tra cui quello del portavoce del Parlamento, alcuni dirigenti del
Ministero delle Finanze e numerosi influenti uomini d’affari .
Secondo il documento pubblicato, i duemila e dispari sono tutti correntisti della Banca HSBC .
La Francia ha comprato l’elenco a un dipendente infedele della Banca ed ha dato i nominativi stranieri ai paesi interessati , credendo ingenuamente che volessero conoscerli.
Secondo il documento pubblicato, i duemila e dispari sono tutti correntisti della Banca HSBC .
La Francia ha comprato l’elenco a un dipendente infedele della Banca ed ha dato i nominativi stranieri ai paesi interessati , credendo ingenuamente che volessero conoscerli.
Il tribunale di Torino, reduce da poco dal seppellimento della
notizia del conto svizzero nero di Gianni Agnelli – sottratto all’asse
ereditario – con saldo di due miliardi e mezzo di euro, denunziato
dalla figlia , si è tolto d’imbarazzo sentenziando che potrebbe
trattarsi di materiale datato e di conti aperti in periodi ”
consentiti”. Chiuso.
I Greci, si sono invece visti tirare addosso la patata bollente dal giornalista inopportuno.
I Greci, si sono invece visti tirare addosso la patata bollente dal giornalista inopportuno.
Yannis Stournaras, attuale ministro delle Finanze, continuava a farsi
intervistare annunziando che avrebbe chiesto copia della ” Lista
Lagarde ” al collega francese dell’Economia .
Il giornalista, stanco di aspettare, l’ha pubblicata. L’hanno arrestato.
Da noi queste cose non succedono. L’unica cosa certa è che nella nostra lista, il nome di Berlusconi non c’è, altrimenti avremmo letto già due anni fa l’estratto conto con il numero di telefono e di scarpe delle beneficate.
Il giornalista, stanco di aspettare, l’ha pubblicata. L’hanno arrestato.
Da noi queste cose non succedono. L’unica cosa certa è che nella nostra lista, il nome di Berlusconi non c’è, altrimenti avremmo letto già due anni fa l’estratto conto con il numero di telefono e di scarpe delle beneficate.
Il fisco si è preso il 97% del maggior Pil (nominale) dal 2005 ad oggi
Di Ugo Arrigo
Mentre il
100% degli italiani è dell'opinione che almeno il 99% degli italiani ci
perda dal disegno di legge di stabilità, il Ministro dell'Economia
Grilli ha dichiarato martedì scorso in audizione parlamentare, come
riportato dall'Ansa: «Il 99% dei nostri contribuenti ha effetti positivi» dalla
legge di stabilità, (.). Esiste, spiega Grilli, una diversità a seconda
delle fasce di reddito e comunque sono maggiormente favorite le «più basse».
Come è
possibile questa opposta interpretazione? Il Ministro valuta lo
specifico provvedimento presentato alle Camere, isolato dal resto delle
norme fiscali e dalle precedenti manovre. Per Grilli e il governo
l'aumento di un punto delle aliquote Iva è in realtà una riduzione dato
che nelle norme e nei numeri contabilizzati nel bilancio era già stato
incorporato l'aumento di due punti percentuali. A tutti gli italiani che
non sono membri del governo non interessa invece il singolo
provvedimento, e quanto per sua causa ci troveremo a pagare in più o in
meno. Interessa invece l'effetto di tutti i provvedimenti fiscali in
vigore e quanto a causa loro ci troveremo a pagare (e se esso sia di più
o di meno di quanto ci è toccato pagare nella precedente occasione).
Per noi l'Iva aumenta di un punto, non diminuisce.
Con questo
equivoco sulla valutazione degli effetti della legge di stabilità Grilli
ci ha tuttavia confermato, ammesso che ve ne fosse bisogno, che i
governi guardano solo al loro bilancio e non si curano invece dei
bilanci delle famiglie italiane; non valutano, come peraltro la
Costituzione chiede loro di fare attraverso il concetto di capacità
contributiva, se sono effettivamente in grado di pagare le tasse
richieste e dopo averlo fatto anche di continuare normalmente a
consumare, produrre e investire. Questa indifferenza apparente per le
sorti economiche dei cittadini-contribuenti (peraltro azionisti dello
stato) sembra notevolmente accentuata nel caso del governo tecnico (che
non ha bisogno dei loro voti).
Come ho
scritto in altre occasioni questo governo sembra confondere (forse per
miopia 'tecnica') l'Italia col suo settore pubblico, il settore pubblico
col suo bilancio e il bilancio col suo pareggio.
Conviene
allora svolgere un breve esercizio per far vedere quanto
complessivamente gli italiani hanno dovuto sborsare in più nel tempo per
effetto di tutti i provvedimenti fiscali che si sono susseguiti. E per
non prendere di mira solo il governo in carica consideriamo un periodo
più ampio, dalla metà dello scorso decennio ad oggi, nel quale si sono
susseguiti governi di tutte le tipologie sinora sperimentate in Italia:
centrosinistra, centrodestra e governo tecnico. Includiamo in tal modo
le scelte del governo Prodi (2006-08), del governo Berlusconi (2008-11) e
del governo tecnico Monti (2011-13).
L'esercizio
consiste semplicemente nel mettere a confronto la variazione nel tempo
del Pil nominale con la variazione nello stesso tempo del gettito
fiscale. Mettendo a rapporto la seconda variazione con la prima
otteniamo una misura inconsueta ma significativa della pressione fiscale
che possiamo chiamarepressione fiscale 'incrementale': per ogni 100 euro in più di Pil quanti sono finiti nelle casse del fisco?
Il Graf. 1
ci fa vedere la variazione da un anno all'altro, in miliardi di euro,
del Pil nominale e del gettito fiscale. Ad esempio tra il 2004 e il 2005
il Pil nominale è salito di 39 miliardi e il gettito fiscale di 11
miliardi mentre nell'anno di recessione 2009 il Pil nominale è sceso di
56 miliardi e il gettito fiscale è diminuito di 18 miliardi. Nell'anno
di recessione 2012, invece, il Pil nominale è atteso diminuire di 16
miliardi ma il governo Monti ci chiede di versargli 28 miliardi di tasse
in più. Non andrà molto meglio nel 2013: il Pil nominale è atteso
crescere solo di 18 miliardi (previsioni del documento di aggiornamento
al DEF) e il governo Monti ci chiederà 17 miliardi di tasse in più
rispetto al 2012 e 45 in più rispetto al 2011 (con un Pil nominale
praticamente invariato e reale in calo di circa tre punti percentuali
complessivi nel biennio).
Si tratta
ora di svolgere la parte più interessante dell'esercizio, considerando
le variazioni cumulate delle due grandezze dal 2005. Si osserva da un
lato quanto è cresciuto complessivamente dal 2005 il Pil nominale e
dall'altro quanto complessivamente il gettito fiscale. Si mette poi a
rapporto l'incremento di gettito con l'incremento di Pil.
Ecco i risultati:
- Dal 2005 al 2008 (governo politico Prodi) il Pil nominale è aumentato di 139 miliardi e il gettito fiscale di 96 miliardi. Il maggior gettito ha quindi assorbito il 69% del maggior Pil.
- Dal 2005 al 2011 (governi politici Prodi e Berlusconi) il Pil nominale è aumentato di 144 miliardi e il gettito fiscale di 96 miliardi. Il maggior gettito ha quindi assorbito il 67% del maggior Pil.
- Dal 2005 al 2012 (governi politici Prodi e Berlusconi e governo tecnico Monti) il Pil nominale risulterà essere aumentato di128 miliardi e il gettito fiscale di 124 miliardi. Il maggior gettito avrà quindi assorbito il 97% del maggior Pil.
A questo punto però una domanda al governo Monti bisogna porla: come
si può pensare che gli italiani siano disponibili a impegnarsi per
produrre più Pil se hanno sperimentato che il governo è disponibile a
sottrarglielo tutto al fine di cercare di aggiustare il suo bilancio?
In
assenza di un cambiamento radicale di politica economica il Pil potrà
forse smettere di calare in termini reali (quando il governo smetterà di
aumentare le tasse) ma non si vede tuttavia alcuna ragione per la quale
possa riprendere a crescere.
Chi perde e chi guadagna dalla “legge di stabilità”. Ennesima stangata sui poveri.
Di Domenico Moro
Pubblico giornale
Alcuni continuano a chiedersi qual è il senso di una manovra che prende con una mano e dà con un’altra. In realtà, Monti non dà nulla e prende molto più di quanto sembri. Prende dai redditi più bassi e dai lavoratori e dà alle grandi imprese, realizzando un gigantesco trasferimento di ricchezza sociale. I provvedimenti avranno ulteriori effetti recessivi, sulla linea di quelli già varati e che hanno depresso domanda e produzione. Con una mossa degna di un giocatore delle tre carte, il governo ha gettato fumo negli occhi riducendo le prime due aliquote dell’Irpef.
La prima dal 23% al 22%, la seconda dal 27% al 26%. Nel migliore dei casi si realizzerebbe un risparmio di 280 euro per contribuente, che in totale nel 2013 sarebbe di circa 4,27 miliardi in meno per l’erario. Si tratta però per i cittadini di risparmi del tutto aleatori. In primo luogo, il governo ha introdotto una franchigia di 250 euro su deduzioni e detrazioni e un tetto di 3000 euro alle spese detraibili.
Il risultato è un aggravio di imposta di 2 miliardi di euro, che colpirà 21 milioni di persone, di cui il 94,5% lavoratori dipendenti e pensionati. Per quanto riguarda le spese sanitarie la franchigia a 250 euro risulta raddoppiata rispetto a quella attuale e gli sconti saranno ridotti del 25%, aggravando l’aumento di ticket e spese sanitarie.
Tra i più colpiti dal tetto alle spese detraibili saranno i 3,2 milioni di titolari di mutui, che prima potevano portare in dichiarazione fino a 4mila euro con uno sconto di 760 euro, che ora non potrà superare i 570 euro. Con la contrazione dei mutui e del mercato immobiliare è facile immaginare l’ulteriore effetto depressivo sul settore delle costruzioni.
Ma l’aspetto forse più odioso delle nuove deduzioni e riduzioni è la retroattività, essendo valide dal 2012, mentre i tagli Irpef partiranno dal prossimo anno: una decisione contro il principio di non retroattività della legge e lo statuto dei diritti del contribuente. Quindi, nel 2012 si verserà una imposta Irpef più salata, altro che alleggerimento fiscale. Senza contare che la riduzione di detrazioni e deduzioni aumenterà l’imponibile da assoggettare alle addizionali regionali e comunali Irpef.
Passiamo ora agli aumenti delle imposte, questa volta reali. Il governo ha sottoposto il paese ad una cura da cavallo, motivandola con la volontà di non aumentare l’Iva. Ecco che, invece, l’Iva viene aumentata di un altro punto percentuale, portando l’aliquota media del 10% all’11% e quella massima dal 20 al 21%. In qualche caso, anche l’aliquota più bassa è stata ritoccata: per i servizi delle cooperative si passa dal 4% a 10%.
Si tratta di aumenti privi di una seria logica economica. In primo luogo, perché, spostando la tassazione dalle persone alle cose, penalizza i redditi più bassi in quanto l’Iva grava su tutti allo stesso modo. In secondo luogo, perché è poco efficace: tra gennaio e agosto, nonostante l’aumento dell’1%, il gettito Iva è diminuito rispetto al 2011 di 913 milioni (-1,3%). In terzo luogo, l’aumento dell’Iva non si limita ad incrementare i prezzi dell’1%, in quanto il settore della distribuzione di solito prende a pretesto l’aumento dell’Iva per incrementi maggiori.
L’aumento dell’inflazione che ne consegue, in presenza di un ristagno salariale e di un aumento di disoccupazione e cassa integrazione, riduce fortemente il potere d’acquisto dei lavoratori e il monte salari complessivo. Inoltre, ad essere più penalizzati saranno i bassi redditi in quanto l’aumento dell’aliquota intermedia si applica su molti generi di prima necessità. In sintesi, è una scelta con effetti recessivi a catena sull’intera economia italiana.
Anche se il gettito complessivo dell’Iva prevedibilmente calerà, l’aumento dovrebbe valere circa 5-5,5 miliardi. Ecco, quindi, che, detraendo la riduzione dell’Irpef (4,27 miliardi) dalla somma dell’incremento dell’Iva (5-5,5 miliardi) e delle minori deduzioni e detrazioni (2 miliardi), il saldo per i contribuenti è negativo per circa 2-2,5 miliardi, pesando però essenzialmente su quelli più poveri.
Ma non basta. Infatti, il governo ha reso permanente l’aumento dell’accisa carburanti per il recente terremoto, allineandosi alla scuola di pensiero che ci fa pagare al distributore calamità di cinquanta anni fa. Nel decreto si prevede anche l’aumento delle aliquote della tassazione sul Tfr, dal 23% al 23,5%, per un Tfr maturato in 10 anni e pari a 20mila euro, dal 26,19% al 27%, per 20 mila euro, e dal 29,40 al 29,75%, per 40mila euro. I lavoratori pubblici, con il congelamento del rinnovo dei contratti e la conferma della sospensione della vacanza contrattuale, perderanno tra 2010 e 2014 dai 6mila agli 8000 euro.
Un provvedimento ancora più iniquo se si considera che sono saltati i tagli del 5 e 10% sui superstipendi che nei ministeri superano abbondantemente in decine di casi i 200mila euro. Se il salario diretto in busta paga e quello differito, Tfr e pensioni, vengono colpiti, il salario indiretto, erogato attraverso i servizi sociali, viene attaccato ancora più duramente. Il decreto del governo prevede un taglio di 1,6 miliardi alla spesa sanitaria tra 2013 e 2014, che si aggiunge ai tagli già adottati. Inoltre, i trasferimenti statali agli enti locali verranno ridotti di 2,2 miliardi di euro, di cui 1,5 miliardi alle regioni.
Considerando che i bilanci di molte regioni e comuni sono disastrati e che i ticket sanitari e le imposte locali sono già molto alti, questi tagli avranno un ulteriore effetto rialzista sulla tassazione locale e di peggioramento della qualità del servizio, che sarà scontato da chi non può usufruire della sanità privata.
Chi beneficerà dei provvedimenti del governo? In primo luogo le grandi imprese. A queste verrà concesso uno sconto fiscale di 1,6 miliardi di tasse, praticamente l’equivalente dei tagli alla sanità, con i quali verrà pagato. Lo sconto è condizionato al raggiungimento di accordi di produttività tra imprese e sindacato. Si tratta di un’ulteriore spinta a rendere secondari i contratti nazionali e a legare le retribuzioni alla produttività.
Questa non deriverebbe, stante anche il calo degli investimenti, da innovazioni tecnologiche e di prodotto ma dall’aumento dei ritmi e della durata del lavoro, che Squinzi, presidente di Confindustria, ha evocato come le leve da impiegare per salvare l’industria italiana. Dulcis in fundo, le scuole private percepiranno 223 milioni di euro, mentre gli insegnanti delle scuole pubbliche lavoreranno 6 ore in più alla settimana.
Cambia il mondo
Pubblico giornale
Alcuni continuano a chiedersi qual è il senso di una manovra che prende con una mano e dà con un’altra. In realtà, Monti non dà nulla e prende molto più di quanto sembri. Prende dai redditi più bassi e dai lavoratori e dà alle grandi imprese, realizzando un gigantesco trasferimento di ricchezza sociale. I provvedimenti avranno ulteriori effetti recessivi, sulla linea di quelli già varati e che hanno depresso domanda e produzione. Con una mossa degna di un giocatore delle tre carte, il governo ha gettato fumo negli occhi riducendo le prime due aliquote dell’Irpef.
La prima dal 23% al 22%, la seconda dal 27% al 26%. Nel migliore dei casi si realizzerebbe un risparmio di 280 euro per contribuente, che in totale nel 2013 sarebbe di circa 4,27 miliardi in meno per l’erario. Si tratta però per i cittadini di risparmi del tutto aleatori. In primo luogo, il governo ha introdotto una franchigia di 250 euro su deduzioni e detrazioni e un tetto di 3000 euro alle spese detraibili.
Il risultato è un aggravio di imposta di 2 miliardi di euro, che colpirà 21 milioni di persone, di cui il 94,5% lavoratori dipendenti e pensionati. Per quanto riguarda le spese sanitarie la franchigia a 250 euro risulta raddoppiata rispetto a quella attuale e gli sconti saranno ridotti del 25%, aggravando l’aumento di ticket e spese sanitarie.
Tra i più colpiti dal tetto alle spese detraibili saranno i 3,2 milioni di titolari di mutui, che prima potevano portare in dichiarazione fino a 4mila euro con uno sconto di 760 euro, che ora non potrà superare i 570 euro. Con la contrazione dei mutui e del mercato immobiliare è facile immaginare l’ulteriore effetto depressivo sul settore delle costruzioni.
Ma l’aspetto forse più odioso delle nuove deduzioni e riduzioni è la retroattività, essendo valide dal 2012, mentre i tagli Irpef partiranno dal prossimo anno: una decisione contro il principio di non retroattività della legge e lo statuto dei diritti del contribuente. Quindi, nel 2012 si verserà una imposta Irpef più salata, altro che alleggerimento fiscale. Senza contare che la riduzione di detrazioni e deduzioni aumenterà l’imponibile da assoggettare alle addizionali regionali e comunali Irpef.
Passiamo ora agli aumenti delle imposte, questa volta reali. Il governo ha sottoposto il paese ad una cura da cavallo, motivandola con la volontà di non aumentare l’Iva. Ecco che, invece, l’Iva viene aumentata di un altro punto percentuale, portando l’aliquota media del 10% all’11% e quella massima dal 20 al 21%. In qualche caso, anche l’aliquota più bassa è stata ritoccata: per i servizi delle cooperative si passa dal 4% a 10%.
Si tratta di aumenti privi di una seria logica economica. In primo luogo, perché, spostando la tassazione dalle persone alle cose, penalizza i redditi più bassi in quanto l’Iva grava su tutti allo stesso modo. In secondo luogo, perché è poco efficace: tra gennaio e agosto, nonostante l’aumento dell’1%, il gettito Iva è diminuito rispetto al 2011 di 913 milioni (-1,3%). In terzo luogo, l’aumento dell’Iva non si limita ad incrementare i prezzi dell’1%, in quanto il settore della distribuzione di solito prende a pretesto l’aumento dell’Iva per incrementi maggiori.
L’aumento dell’inflazione che ne consegue, in presenza di un ristagno salariale e di un aumento di disoccupazione e cassa integrazione, riduce fortemente il potere d’acquisto dei lavoratori e il monte salari complessivo. Inoltre, ad essere più penalizzati saranno i bassi redditi in quanto l’aumento dell’aliquota intermedia si applica su molti generi di prima necessità. In sintesi, è una scelta con effetti recessivi a catena sull’intera economia italiana.
Anche se il gettito complessivo dell’Iva prevedibilmente calerà, l’aumento dovrebbe valere circa 5-5,5 miliardi. Ecco, quindi, che, detraendo la riduzione dell’Irpef (4,27 miliardi) dalla somma dell’incremento dell’Iva (5-5,5 miliardi) e delle minori deduzioni e detrazioni (2 miliardi), il saldo per i contribuenti è negativo per circa 2-2,5 miliardi, pesando però essenzialmente su quelli più poveri.
Ma non basta. Infatti, il governo ha reso permanente l’aumento dell’accisa carburanti per il recente terremoto, allineandosi alla scuola di pensiero che ci fa pagare al distributore calamità di cinquanta anni fa. Nel decreto si prevede anche l’aumento delle aliquote della tassazione sul Tfr, dal 23% al 23,5%, per un Tfr maturato in 10 anni e pari a 20mila euro, dal 26,19% al 27%, per 20 mila euro, e dal 29,40 al 29,75%, per 40mila euro. I lavoratori pubblici, con il congelamento del rinnovo dei contratti e la conferma della sospensione della vacanza contrattuale, perderanno tra 2010 e 2014 dai 6mila agli 8000 euro.
Un provvedimento ancora più iniquo se si considera che sono saltati i tagli del 5 e 10% sui superstipendi che nei ministeri superano abbondantemente in decine di casi i 200mila euro. Se il salario diretto in busta paga e quello differito, Tfr e pensioni, vengono colpiti, il salario indiretto, erogato attraverso i servizi sociali, viene attaccato ancora più duramente. Il decreto del governo prevede un taglio di 1,6 miliardi alla spesa sanitaria tra 2013 e 2014, che si aggiunge ai tagli già adottati. Inoltre, i trasferimenti statali agli enti locali verranno ridotti di 2,2 miliardi di euro, di cui 1,5 miliardi alle regioni.
Considerando che i bilanci di molte regioni e comuni sono disastrati e che i ticket sanitari e le imposte locali sono già molto alti, questi tagli avranno un ulteriore effetto rialzista sulla tassazione locale e di peggioramento della qualità del servizio, che sarà scontato da chi non può usufruire della sanità privata.
Chi beneficerà dei provvedimenti del governo? In primo luogo le grandi imprese. A queste verrà concesso uno sconto fiscale di 1,6 miliardi di tasse, praticamente l’equivalente dei tagli alla sanità, con i quali verrà pagato. Lo sconto è condizionato al raggiungimento di accordi di produttività tra imprese e sindacato. Si tratta di un’ulteriore spinta a rendere secondari i contratti nazionali e a legare le retribuzioni alla produttività.
Questa non deriverebbe, stante anche il calo degli investimenti, da innovazioni tecnologiche e di prodotto ma dall’aumento dei ritmi e della durata del lavoro, che Squinzi, presidente di Confindustria, ha evocato come le leve da impiegare per salvare l’industria italiana. Dulcis in fundo, le scuole private percepiranno 223 milioni di euro, mentre gli insegnanti delle scuole pubbliche lavoreranno 6 ore in più alla settimana.
Cambia il mondo
Ue, la medicina sbagliata
di Michele Paris
La durissima medicina somministrata a milioni di cittadini in questi
anni dalle autorità europee e dai governi nazionali, dietro indicazione
degli ambienti finanziari internazionali, avrebbe dovuto servire a
mettere in ordine i bilanci dei paesi più in difficoltà e a ridurre il
debito pubblico ufficialmente all’origine della crisi in atto. A
smentire ancora una volta in maniera clamorosa questa teoria
propagandata fino alla nausea da politici e media è stato questa
settimana un rapporto dello stesso ufficio statistiche dell’Unione
Europea (Eurostat), il quale ha confermato che i provvedimenti messi in
atto da Dublino ad Atene non hanno fatto altro che deprimere
ulteriormente la crescita economica e aumentare i livelli di
indebitamento.
Le cifre diffuse mercoledì da Eurostat indicano, per il secondo
trimestre del 2012, un debito in media pari al 90% del PIL nei 17 paesi
che utilizzano la moneta unica, vale a dire il livello più alto dal
1999. Soprattutto, con l’intensificarsi degli attacchi a lavoratori,
pensionati, giovani, disoccupati e classe media sotto forma di tasse e
tagli alla spesa pubblica, il rapporto debito/PIL è aumentato rispetto
sia al primo trimestre dell’anno (88,2%) sia al dato dell’intero 2011
(87,1%).
Le sofferenze patite da decine di milioni di cittadini europei non sono
inoltre servite a invertire la tendenza dell’economia, tanto che cinque
paesi rimangono tecnicamente in recessione (Cipro, Grecia, Italia,
Portogallo e Spagna), mentre la tendenza generale continua a rimanere
negativa, come dimostreranno quasi certamente i dati relativi al terzo
trimestre che verranno diffusi il mese prossimo.
A stare peggio tra i paesi dell’eurozona sul fronte dell’indebitamento è
la Grecia, vittima delle più dure imposizioni da parte della cosiddetta
troika (UE, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale),
con un rapporto debito/PIL salito tra il primo e il secondo trimestre
dell’anno dal 136,9% al 150,3%. Subito dietro Atene si trova l’Italia,
dove le misure introdotte dal governo imposto dalle grandi banche e da
Bruxelles hanno soffocato la crescita economica facendo passare il
rapporto debito/PIL dal 123,7% al 126,1%.
Non molto meglio se la passano poi Irlanda e Portogallo, due paesi che,
come la Grecia, hanno significativamente beneficiato, per così dire, dei
piani di “salvataggio” pari a svariate decine di miliardi di euro
erogati da UE e FMI in cambio di drastiche misure di austerity.
Un’altra
tesi che fa parte della propaganda della classe dirigente europea è
quella che negli scorsi decenni i governi hanno abusato della spesa
pubblica, garantendo ai propri cittadini servizi e benefit che non si
potevano permettere se non facendo appunto esplodere il problema del
debito sul lungo periodo.
In realtà, ciò sarebbe dovuto principalmente agli interventi resi
necessari a partire dal 2008 per salvare le banche sull’orlo del
fallimento, in particolare in Spagna e in Irlanda. Il trasferimento di
colossali somme di denaro nelle casse degli istituti responsabili della
crisi, com’è ovvio, è stato poi compensato con tagli alla spesa e ai
programmi di assistenza pubblici, ma anche con licenziamenti di massa e
tasse che colpiscono invariabilmente le classi più disagiate.
Le ricette adottate ovunque in questo frangente storico, oltretutto,
secondo molti economisti non eviteranno comunque una qualche forma di
default da parte dei paesi più indebitati. Riferendosi alla Grecia e non
solo, in una recente intervista al New York Times, l’economista Jörg
Krämer, di Commerzbank, ha ad esempio affermato che per “rendere il peso
del debito sostenibile, dovrà esserci una qualche ristrutturazione del
debito stesso”.
I dati di Eurostat e la situazione in cui versano numerosi paesi europei
confermano dunque che le misure draconiane fin qui implementate e che
ancora attendono i cittadini non servono a diminuire il debito pubblico,
come viene fatto credere, bensì lo fanno aumentare, causando un
aggravamento della recessione e un’impennata dei livelli di
disoccupazione.
Che le misure prolungate di austerity avrebbero finito per produrre
effetti simili era d’altra parte risaputo, dal momento che economisti e
politici ben conoscono, quanto meno, la lezione degli anni successivi
alla crisi del 1928 negli Stati Uniti, in seguito alla quale
l’applicazione prematura di misure come quelle attuali comportò un
peggioramento della situazione, precipitando il paese nella Grande
Depressione.
Anche per questo, appare più che legittimo affermare che lo scopo delle
politiche di rigore adottate da una classe politica europea totalmente
al servizio dei grandi interessi economici e finanziari, sia quello di
utilizzare la crisi del debito per condurre attacchi senza precedenti
alle condizioni di vita di centinaia di milioni di persone, facendo
fronte alla crisi strutturale del capitalismo internazionale con il
ridimensionamento permanente delle politiche di spesa pubblica dei
governi, accompagnate da un virtuale azzeramento dei residui diritti
conquistati dai lavoratori in decenni di lotte, così da creare un bacino
di manodopera a basso costo e senza protezioni a disposizione delle
aziende europee.
Un esempio di quello che attende i lavoratori europei - e non solo -
viene dalla Grecia, vero e proprio laboratorio sul quale la troika da
tempo esercita un potere dittatoriale, imponendo il volere degli
ambienti finanziari internazionali che si traduce in sofferenze
indicibili per la popolazione e nella distruzione del tessuto sociale.
Proprio di questi giorni è la notizia dell’accordo raggiunto tra il
governo di Atene e la troika per l’erogazione di una nuova tranche da
13,5 miliardi di euro, che andranno peraltro in gran parte nelle casse
dei creditori della Grecia, in cambio di altre misure di austerity.
Per questa ragione, suonano del tutto vuoti gli avvertimenti e le
critiche che rimbalzano sui giornali di tutta Europa di quanti fanno
notare come le autorità UE e i governi nazionali siano eccessivamente
fissati su quello che, ad esempio, giovedì sul Sole24Ore Marco
Fortis ha definito il “totem” del rapporto debito/PIL. Tale “ossessione”
non è da attribuire ad una volontà cieca di burocrati di Bruxelles o
Francoforte, ma è una politica messa in atto deliberatamente per portare
a termine una contro-rivoluzione sociale (e politica) in nome e per
conto dei grandi interessi finanziari.
Una realtà, questa, confermata anche dal fatto che “gli sforzi fiscali
eccessivi”di cui parla lo stesso Fortis sono arrivati, per quanto
riguarda l’Italia, nonostante la situazione del paese fosse di “assoluta
sostenibilità finanziaria” e con “un’economia solida”.
Simili
politiche hanno già causato e continueranno a causare fortissime
tensioni sociali in molti paesi, tenute però finora sotto controllo
grazie agli sforzi nel far digerire alle popolazioni le misure di
austerity e gli assalti ai diritti del lavoro di partiti nominalmente di
centroinistra che, come in Grecia e in Italia, sostengono governi
politici o tecnici agli ordini della finanza internazionale. Le
organizzazioni sindacali, invece, hanno in questo scenario il compito di
contenere i malumori ampiamente diffusi tra i lavoratori tramite
occasionali proteste e scioperi innocui che servono solo come valvola di
sfogo temporanea.
Nel caso dell’Italia, poi, il sostegno alle politiche anti-sociali
dettate dall’UE per salvare gli interessi di banche e speculatori è
giunto in maniera ferma anche dalle più alte autorità dello Stato, come
il presidente della Repubblica Napolitano, il quale ha svolto un ruolo
decisivo sia nel garantire l’applicazione dei diktat della finanza
internazionale con il passaggio di poteri da Berlusconi a Monti, sia nel
frenare le tensioni nel paese con ripetuti appelli all’unità in un
momento di crisi.
Lo stesso presidente proprio l’altro giorno ha inoltre invitato “gli
italiani, votando ad aprile, a tenere conto della importantissima
esperienza del governo Monti”, prospettando la necessità di continuare
sulla strada seguita in questo ultimo anno. Un’esperienza quella che ha
avuto come protagonista l’ex consulente di Goldman Sachs che è stata
effettivamente importantissima ma, al contrario di quello che afferma
pubblicamente Napolitano, solo per la devastazione sociale che ha
portato e che porterà in Italia come altrove per salvare il sistema
finanziario internazionale.
Un’esperienza, infine, che gli italiani terranno bene a mente di qui a
pochi mesi, quando le elezioni politiche, come indicano le previsioni,
faranno segnare con ogni probabilità un’esplosione del voto di protesta e
dei livelli di astensionismo.
In troppi paesi UE i manifestanti picchiati senza motivo. Le richieste di Amnesty
"L'uso eccessivo della forza da parte delle forze di polizia non è mai soggetto a indagini né viene punito". È quanto ha denunciato Amnesty International in un documento presentato oggi a Madrid, nel quale vengono descritti episodi verificatisi in Grecia, Spagna e Romania in cui e' stata usata forza eccessiva contro manifestanti e giornalisti, sono stati eseguiti arresti arbitrari e ostacolato l'accesso ai soccorsi medici.
'Le forze di polizia sono
responsabili della tutela dell'ordine pubblico e del rispetto della
legge. Hanno, pero', anche la responsabilità di garantire che ognuno
possa esercitare il diritto di riunione pacifica' - ha dichiarato Fotis
Filippou, coordinatore delle campagne sull'Europa di Amnesty
International.
'Le forze di polizia, spesso
l'espressione piu' visibile dello stato, devono tracciare una linea tra
la protezione del diritto alla liberta' di manifestazione e il
mantenimento dell'ordine pubblico. Possono farlo positivamente,
rispettando gli standard internazionali e le buone pratiche vigenti in
materia di gestione dell'ordine pubblico nel corso delle manifestazioni'
- ha concluso Filippou.
Secondo Amnesty International, nel corso delle manifestazioni le forze di polizia dovrebbero:
* favorire lo svolgimento di raduni
pacifici, evitando l'uso della forza e proteggendo i manifestanti da
atti di violenza di singoli o piccoli gruppi;
* contribuire ad allentare la tensione o le situazioni di violenza, comunicando con gli organizzatori e i manifestanti nel corso delle operazioni;
* ridurre al minimo i danni, proteggere e rispettare la vita e tutelare le persone estranee alle proteste;
* usare poteri di polizia, tra cui quelli di arresto e detenzione, solo per scopi legittimi;
* ricorrere alla forza solo quando necessario e quando metodi non violenti o meno violenti non abbiano avuto successo o e' improbabile che possano raggiungere l'obiettivo richiesto;
* valutare attentamente le dotazioni di sicurezza e di polizia a disposizione per disperdere i manifestanti, rispetto ai principi di necessita', proporzionalita' e legittimita', tenendo presente che proiettili di gomma, gas lacrimogeni e granate stordenti, spesso descritte come armi 'meno che letali', possono provocare gravi ferite e persino la morte;
* fornire assistenza medica senza ritardo a chiunque ne necessiti;
* essere identificabili, specialmente durante le operazioni di mantenimento dell'ordine pubblico;
* riesaminare come e' stata usata la forza nel corso di un raduno pubblico e, quando necessario, indagare e imporre sanzioni disciplinari o penali.
* contribuire ad allentare la tensione o le situazioni di violenza, comunicando con gli organizzatori e i manifestanti nel corso delle operazioni;
* ridurre al minimo i danni, proteggere e rispettare la vita e tutelare le persone estranee alle proteste;
* usare poteri di polizia, tra cui quelli di arresto e detenzione, solo per scopi legittimi;
* ricorrere alla forza solo quando necessario e quando metodi non violenti o meno violenti non abbiano avuto successo o e' improbabile che possano raggiungere l'obiettivo richiesto;
* valutare attentamente le dotazioni di sicurezza e di polizia a disposizione per disperdere i manifestanti, rispetto ai principi di necessita', proporzionalita' e legittimita', tenendo presente che proiettili di gomma, gas lacrimogeni e granate stordenti, spesso descritte come armi 'meno che letali', possono provocare gravi ferite e persino la morte;
* fornire assistenza medica senza ritardo a chiunque ne necessiti;
* essere identificabili, specialmente durante le operazioni di mantenimento dell'ordine pubblico;
* riesaminare come e' stata usata la forza nel corso di un raduno pubblico e, quando necessario, indagare e imporre sanzioni disciplinari o penali.
Le forze di polizia non dovrebbero:
* fare uso di armi da fuoco cui non si dovrebbe mai ricorrere allo scopo di disperdere la folla;
* usare manganelli o altro equipaggiamento simile contro persone che non hanno atteggiamenti aggressivi o minacciosi;
* ricorrere a sostanze chimiche irritanti, come i gas lacrimogeni, in aree chiuse e comunque mai in modo tale da provocare danni di lungo periodo.
* fare uso di armi da fuoco cui non si dovrebbe mai ricorrere allo scopo di disperdere la folla;
* usare manganelli o altro equipaggiamento simile contro persone che non hanno atteggiamenti aggressivi o minacciosi;
* ricorrere a sostanze chimiche irritanti, come i gas lacrimogeni, in aree chiuse e comunque mai in modo tale da provocare danni di lungo periodo.
Fonte: Amnesty - tratto it.ibtimes.com
"I loro stipendi non saranno la causa del debito pubblico, d'accordo, ma non hanno alcuna ragione di esistere, soprattutto considerato che lavorano contro il popolo."
RispondiEliminaNonostante l'astensionismo domini, ci sono ancora persone che vanno a votarli, o sono fessi, corrotti o entrambe! Ad ogni modo, ribellatevi tutti, ci pensa la polizia a sistemarvi poi!
...1984
Saluti
infatti krommino, non rappresentano nessuno considerate le esigue percentuali ma il dramma è che sono legittimati a governare su tutti, anche su coloro che non partecipano a questo sistema!
RispondiEliminaE chiamala democrazia!
Un salutone!
Barbara