Oyate Wacinyapin aka Russell Means (1939-2012) |
Sono rimasta esterefatta dall'analisi che Russell Means, di nome Oyate Wacinyapin ha fatto di noi europei. Una descrizione davvero calzante, purtroppo. E' un inervento assai lungo quanto prezioso. Imperdibile.
Barbara
Perché l’America possa vivere, l’Europa deve morire
Tradotto da Curzio Bettio
Tradotto da Curzio Bettio
Russell Means, di nome Oyate Wacinyapin (Colui che Lavora per il Popolo) in lingua lakȟótiyapi
(idioma Lakota), “l’Indiano d’America più famoso dai tempi di Toro
Seduto e Cavallo Pazzo” secondo il L.A. Times, è morto lunedì 22
ottobre, all’età di 72 anni.
Si
è battuto a lungo per rivendicare i diritti naturali degli Indiani
USamericani, da Alcatraz (1969) a Wounded Knee (1973), a The Longest
Walk (1978) fino alla Repubblica di Lakotah, che ha proclamato nel 2007.
Questo
è il suo più famoso discorso, pronunciato nel luglio 1980, davanti a
migliaia di persone da ogni parte del
mondo radunate in occasione del
“Black Hills International Survival Gathering”, il Raduno internazionale
per la salvaguardia delle Colline nere (Black Hills) nella riserva di
Pine Ridge, nel South Dakota.
L’unica possibile apertura di una dichiarazione come questa è che
detesto la scrittura. Il processo in sé incarna il concetto europeo di
“pensiero legittimo”: ciò che è scritto ha un’importanza che è negata al
parlato. La mia cultura, la cultura Lakota, ha una tradizione orale,
quindi di solito mi rifiuto di scrivere. Questo è uno dei modi in cui il
mondo bianco distrugge le culture dei popoli non europei, attraverso
l’imposizione di un’astrazione sul rapporto parlato di un popolo.
(foto al link originale)
Black Hills, 1874. La spedizione del 7oCavalleria dell’esercito USA sotto il comando del tenente colonnello George A. Custer
Quindi, quello che leggerete qui non è quello che ho scritto. È
quello che ho detto e che qualcun altro ha scritto. Ho permesso questo
perché sembra che l’unico modo per comunicare con il mondo bianco sia
attraverso le foglie secche, morte, di un libro.
Non mi importa se le mie parole arrivano ai bianchi o meno. Loro
hanno già dimostrato con la loro storia che non sono in grado di
sentire, non possono vedere, ma possono solo leggere (ovviamente, ci
sono delle eccezioni, ma le eccezioni confermano solo la regola).
Sono più preoccupato di farmi sentire dalla gente indiana
americana, studenti e altri, che hanno cominciato a farsi assorbire dal
mondo bianco attraverso le università e altre istituzioni. Ma anche in
questo caso si tratta di una sorta di preoccupazione solo marginale.
È assolutamente possibile crescere con un aspetto esteriore rosso e
una mente bianca, e se questo è il frutto di una scelta individuale di
una persona, così sia, ed io non sono di alcuna utilità per costoro.
Questo fa parte del processo di genocidio culturale condotto oggi dagli
Europei contro i popoli indiani d’America. La mia preoccupazione è
rivolta agli Indiani americani che scelgono di resistere a questo
genocidio, ma che possono essere disorientati su come procedere.
(Notate che io sto usando il termine “Indiano americano”, piuttosto
che “nativo americano” o “popolo nativo indigeno” o “Amerindi”, quando
faccio riferimento alla mia gente. C’è stata qualche polemica in merito a
tali termini, e francamente, a questo punto, trovo le polemiche
assurde.
In primo luogo, sembra che “Indiano americano” sia da respingere in
quanto di origine europea, il che è vero. Ma tutti i termini di cui
sopra sono di origine europea; l’unico modo non europeo è quello di
parlare di “Lakota”, o, più precisamente, di “Oglala”, “Bruleě”, ecc. - e
di “Dine”, “Miccosukee”, e di quello che resta corretto di diverse
centinaia di nomi tribali.
Per di più, vi è una qualche confusione sulla parola “Indiano”, un
termine malinteso che in qualche modo richiama alla mente il paese
India. Quando Colombo è sbarcato sulla spiaggia dei Caraibi, egli non
era alla ricerca di un paese chiamato India. Nel 1492 gli Europei
chiamavano quel paese Hindustan. Basta cercare sulle vecchie mappe.
Colombo interpellò il popolo tribale che gli si fece incontro con “Indio”, usando un termine italiano che significa “in Dio”.)
Ci vuole un forte impegno da parte di ogni Indiano americano per
non diventare europeizzato. Il punto di forza di questo tentativo può
poggiare solo sugli usi tradizionali, sui valori tradizionali che i
nostri anziani conservano. Le relazioni devono fondarsi sul cerchio,
sulle quattro direzioni, non possono fondarsi sulle pagine di un libro o
di un migliaio di libri.
Nessun Europeo può mai insegnare a un Lakota di essere Lakota, ad
un Hopi di essere Hopi. Un master in “Studi indiani” o in “cultura
indiana” o in qualsiasi altra cosa non può tramutare una persona in un
essere umano o fornire le conoscenze nei modi tradizionali. Può solo
trasformarvi in un estraneo al nostro mondo, al nostro modo di pensare,
in un estraneo che ha assunto la mentalità europea.
(foto al link originale)
“Le Black Hills (Colline Nere) non sono in vendita” Installazione murale (6x24 metri) all’incrocio fra Melmose e Fairfax a Los Angeles Ovest di Aaron Huey e Shepard Fairey, novembre 2011
Qui, io vorrei fare chiarezza al riguardo, perché può sembrare
esista in me una certa confusione. Quando io parlo di Europei o di
mentalmente Europei, non metto in atto distinzioni che possono risultare
sbagliate.
Non sto affermando che da un lato ci sono i sottoprodotti di un
qualche migliaio di anni di genocidi, di azioni reazionarie, di uno
sviluppo intellettuale europeo malsano, e da un’altra parte esiste un
qualche nuovo sviluppo intellettuale rivoluzionario positivo. Mi
riferisco in questo caso alle cosiddette teorie del marxismo e
anarchismo e “sinistrismo” in generale.
Non credo che queste teorie possano essere separate dal resto della
tradizione intellettuale europea. Si tratta in verità solo della stessa
vecchia canzone.
Il processo ha avuto il suo inizio molto prima.
Newton, per esempio, “ha rivoluzionato” la fisica e le scienze
naturali riducendo l’universo fisico ad una equazione lineare
matematica. Cartesio ha fatto la stessa cosa con la cultura. John Locke
lo ha fatto con la politica, e Adam Smith con l’economia. Ognuno di
questi “pensatori” ha preso un pezzo della spiritualità dell’esistenza
umana e lo ha trasformato in un codice, in un’astrazione. Hanno ripreso
dal punto in cui
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