di Michele Paris
La macchina dell’FBI per la fabbricazione di presunte minacce
terroristiche in territorio americano ha puntualmente partorito
l’ennesima cospirazione, debitamente sventata, a meno di tre settimane
dalle elezioni presidenziali. A cadere nella rete dell’anti-terrorismo a
stelle e strisce è stato qualche giorno fa uno studente 21enne del
Bangladesh, accusato di avere progettato un attentato con un autobomba
contro la sede della Federal Reserve di New York.
Arrestato mercoledì scorso in una stanza dell’Hotel Millenium di
Manhattan,
Quazi Mohammad Rezwanul Ahsan Nafis è subito apparso di fronte ad un giudice federale di Brooklyn prima di essere tradotto in carcere senza
possibilità di cauzione. Nafis era giunto negli Stati
Uniti a gennaio con un visto studentesco e dopo un semestre in un
college del Missouri si era trasferito a New York, dove aveva trovato un
lavoro a tempo pieno in un hotel della città.Quazi Mohammad Rezwanul Ahsan Nafis è subito apparso di fronte ad un giudice federale di Brooklyn prima di essere tradotto in carcere senza
Secondo l’FBI, il giovane cittadino del Bangladesh intendeva far
saltare un veicolo con quasi 500 chili di esplosivo a bordo di fronte
alla sede di New York della Banca Centrale americana. Le accuse a suo
carico potrebbero portare ad una condanna fino all’ergastolo.
Come già accaduto in numerose altre occasioni nel recente passato,
tuttavia, l’intero progetto terroristico attribuito a Nafis non è in
realtà altro che una messa in scena delle forze di polizia federali,
senza la cui istigazione e assistenza la minaccia non avrebbe mai visto
la luce. Inoltre, sul furgone scelto per l’attentato era stato caricato
del finto esplosivo, così come inutilizzabile era il dispositivo a
distanza fornito al giovane bengalese per innescare la detonazione.
Tutto
il materiale necessario per l’attentato, compreso il trasporto
dell’automezzo nel luogo prescelto, è stato fornito a Nafis da agenti
sotto copertura facenti parte della cosiddetta “Joint Terrorism Task
Force” di New York, un reparto speciale che prevede la collaborazione
tra l’FBI e le forze di polizia della città.
Anche in questa operazione, per la quale l’FBI ha tenuto a precisare
che ovviamente la popolazione newyorchese non ha mai corso alcun
rischio, gli agenti americani si sono con ogni probabilità imbattuti in
un giovane musulmano che potrebbe avere espresso opinioni critiche nei
confronti delle politiche anti-terroristiche dell’amministrazione Obama,
decidendo di incastrarlo in una cospirazione fabbricata ad arte da
offrire ai media e all’opinione pubblica.
La notizia dell’arresto di Nafis è stata accolta con incredulità dai
suoi famigliari in Bangladesh, i quali hanno denunciato senza mezzi
termini la trappola preparata dal governo americano per il giovane
studente. Nel fine settimana, le autorità del Bangladesh hanno
annunciato di avere interrogato parenti, ex insegnanti e compagni di
scuola di Nafis, senza trovare traccia di un suo coinvolgimento nelle
attività di gruppi estremisti.
Gli stessi agenti dell’FBI hanno affermato infatti che al giovane è
stato fatto credere di agire per conto di Al-Qaeda ma che non è emerso
alcun suo legame con organizzazioni radicali. Secondo i documenti
ufficiali, Nafis avrebbe iniziato a stabilire contatti con possibili
complici durante l’estate, finendo per imbattersi in un informatore
sotto copertura. A supporto di questa tesi non è stata però presentata
alcuna prova ed è al contrario molto probabile che sia stato l’FBI a
sollecitare Nafis, proponendogli un progetto di attentato già studiato a
tavolino.
Le cosiddette “sting operations”, come quella in cui è caduto lo
studente bengalese, ammontano ormai a svariate decine da quando Obama si
è insediato alla Casa Bianca. Queste operazioni sono interamente
organizzate dall’FBI o da altre agenzie governative, i cui informatori o
agenti sotto copertura sfruttano la fragilità di giovani appartenenti a
minoranze etniche, quasi sempre di fede musulmana, per coinvolgerli in
improbabili trame terroristiche.
Queste
operazioni in alcuni casi si sono già trasformate in pesantissime
condanne, come quella di ben 30 anni inflitta recentemente all’immigrato
marocchino Amine El Khalifi, arrestato lo scorso febbraio per avere
pianificato un attentato suicida, con finto esplosivo rigorosamente
fornito dall’FBI, nella sede del Congresso di Washington.
Nella categoria delle “sting operations” rientra anche l’assurda
cospirazione per assassinare l’ambasciatore saudita negli Stati Uniti
attribuita ad un iraniano-americano, a processo a New York proprio in
questi giorni, con il beneplacito delle autorità di Teheran e attraverso
i servizi di membri di un cartello nel narcotraffico messicano che
erano in realtà uomini dell’FBI sotto copertura.
Il governo americano ha iniziato da qualche tempo ad utilizzare
questo sistema anche per colpire gli oppositori interni, come dimostrano
gli arresti di cinque giovani anarchici lo scorso mese di maggio
durante il vertice della NATO a Chicago. Fermati a Cleveland, nell’Ohio,
costoro erano stati accusati di avere progettato l’esplosione di un
ponte, un’idea avanzata proprio da infiltrati dell’FBI che avrebbero
anche fornito il decisivo appoggio logistico.
La lista di simili operazioni è ancora molto lunga ed esse vengono
talvolta annunciate in concomitanza con importanti appuntamenti
elettorali o eventi politici di rilievo, così da mantenere un elevato
stato di allerta tra la popolazione americana e giustificare l’adozione
di misure di polizia per combattere una minaccia terroristica in gran
parte fabbricata.
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