Perché Israele non mi piace
– Philip Giraldi -
Tradotto da Curzio Bettio
“Il governo israeliano è un regime ‘canaglia’ secondo i principi e le
norme internazionali, impegnato com’è nell’esercitare la tortura, la
detenzione arbitraria, e la continua occupazione dei territori
sequestrati dalle sue forze armate. Peggio ancora, ha manipolato con
successo il mio paese, gli Stati Uniti, e ha recato danni terribili sia
al nostro sistema politico sia al popolo degli Stati Uniti, un crimine
che non riesco proprio a perdonare, tollerare, o giustificare.”
Anche questi sapientoni, che sembrano voler prendere le distanze
dalla politica estera degli Stati Uniti rispetto alle esigenze di Tel
Aviv, e iniziano a trattare Israele come un qualsiasi altro paese, a
volte si sentono in dovere di cercare tutte le giustificazioni possibili
prima di arrivare al nocciolo della questione.
I prologhi auto-laceranti generalmente partono con la dichiarazione
di come questi scrittori abbiano davvero un sacco di amici ebrei e come
ritengano che gli Israeliani siano grandi persone e Israele un paese
meraviglioso, prima di lanciarsi in quella che di solito è una critica
abbastanza mite.
Beh, io non mi sento così. Israele, non mi piace proprio! Che io
abbia o no amici ebrei, non influisce sul mio modo di considerare
Israele, ed è irrilevante per la questione.
E per quanto riguarda gli Israeliani, quando ero agente della CIA
all’estero, sicuramente ne ho incontrato molti. Alcuni erano brave
persone e alcuni non lo erano così tanto, come per la generalità delle
persone in qualsiasi altro luogo nel mondo. Ma anche l’esistenza di
Israeliani onesti e leali non cambia il fatto che i governi che anche
costoro hanno eletto fanno parte integrante di una impresa criminale che
va avanti da tanto tempo, a giudicare dalle periodiche condanne di ex
presidenti e primi ministri. Non è molto tempo che l’ex presidente Moshe
Katsav è stato giudicato colpevole di stupro, mentre quasi ogni recente
capo di governo, compreso quello attuale, è stato indagato per
corruzione. Inoltre, il governo israeliano è un governo di un regime
‘canaglia’ secondo i principi e le norme internazionali, impegnato com’è
nell’esercitare la tortura, la detenzione arbitraria, e la continua
occupazione dei territori sequestrati dalle sue forze armate. Peggio
ancora, ha manipolato con successo il mio paese, gli Stati Uniti, e ha
recato danni terribili sia al nostro sistema politico sia al popolo
degli Stati Uniti, un crimine che non riesco proprio a perdonare,
tollerare, o giustificare.
Interferenze nelle politiche elettorali statunitensi
Desta indignazione la diretta ingerenza del primo ministro
israeliano Benjamin Netanyahu negli affari politici interni degli Stati
Uniti durante la sua più recente apparizione in una trasmissione di una
rete televisiva della Florida, in cui Netanyahu ha espresso tutta la sua
approvazione nei confronti del candidato repubblicano Mitt Romney.
Le dichiarazioni di Netanyahu e la sua ingerenza nelle elezioni
sono state ampiamente riportate dai media e sono state anche
stigmatizzate da numerosi importanti membri del Congresso ebrei, ma non
hanno suscitato alcuna risposta da Obama o da Romney.
Entrambi avrebbero dovuto condannare con la massima fermezza
l’intervento assolutamente senza precedenti in una elezione usamericana
da parte di un capo di governo straniero. Che non abbiano niente da dire
è una testimonianza del potere che Israele e i suoi amici nel Congresso
e nei media esercitano sulla dirigenza politica degli Stati Uniti.
Comunque, Romney potrebbe anche privatamente approvare queste
dichiarazioni, visto che ha sostanzialmente promesso di cedere a
Netanyahu il diritto di fissare i limiti di intervento per la politica
degli Stati Uniti in Medio Oriente.
Ci trascinano verso la guerra
E perché Benjamin Netanyahu è tanto in agitazione? Lo è perché il
presidente Barack Obama non gli concede una “linea rossa”, che potrebbe
automaticamente scatenare un attacco statunitense contro l’Iran.
Consideriamo per un momento l’arroganza di Netanyahu nell’esigere che
Washington soddisfi le sue condizioni per lanciare un conflitto contro
l’Iran, una nazione che con tutti i suoi difetti spesso descritti non ha
attaccato nessuno, non ha minacciato di attaccare nessuno, e non ha
assunto la decisione politica di acquisire un’arma nucleare, a dispetto
di ciò che si legge sulla stampa statunitense.
Netanyahu e il suo schema di bomba all’ONU: I stadio, II stadio, stadio finale
Alle Nazioni Unite, il grafico di Netanyahu rappresentante una
caricatura di bomba con una miccia crepitante, ricordo di qualcosa che
avrebbe potuto essere stato impiegato da un anarchico nel 1870, non è
riuscito a superare una qualsiasi prova di credibilità anche per gli
inevitabili capi-tifoserie dei media USA. Se gli Stati Uniti entrassero
in guerra sulla base di un cartone animato di Netanyahu, allora
andrebbero a meritarsi tutto quello che comporta un’impresa rischiosa
che volge all’aspro, molto probabilmente un “Iraq Redux”, una riedizione
della vicenda irachena, solo 10 volte peggiore.
Ancora più scandalose, e molto meno presenti nei mezzi di
comunicazione, sono state le osservazioni formulate da Patrick Clawson,
direttore delle ricerche per l’Istituto di Washington per le Politiche
nel Vicino Oriente (WINEP), un’organizzazione finanziata dal Comitato
Americano per gli Affari Pubblici di Israele (AIPAC).
WINEP è generalmente considerato come una componente importante
della lobby israeliana a Washington ed è strettamente collegato al
governo israeliano, con cui comunica in maniera regolare. Clawson dirige
l’Iniziativa per la Protezione dall’Iran di WINEP.
In una conferenza del 24 settembre, ha affermato:
“Io francamente penso che l’inizio della crisi possa essere davvero difficile, violento e brutale, ed è molto duro per me vedere come gli Stati Uniti … uh … il presidente può portarci in guerra contro l’Iran …. Il modo tradizionale con cui gli Stati Uniti entrano in guerra è quello che dovrebbe corrispondere al meglio agli interessi degli Stati Uniti.”
Si noti che Clawson sottolinea la sua convinzione che avviare una
crisi per ottenere che gli Stati Uniti vengano coinvolti in una guerra
con l’Iran, e quindi ingannando il popolo usamericano portandolo a
pensare che questa sia la cosa giusta da fare, è in realtà un “interesse
per gli Stati Uniti.”
Egli cita Pearl Harbor, Fort Sumter, il Lusitania, e il Golfo del
Tonchino come modelli per come riuscire a coinvolgere gli Stati Uniti.
Il che porta inevitabilmente alla soluzione di Clawson:
“Se gli Iraniani non accettano una situazione di compromesso,
sarebbe meglio se qualcun altro iniziasse la guerra … sottomarini
iraniani periodicamente si immergono. Un qualche giorno, uno di loro
potrebbe non affiorare …. Noi siamo in grado di utilizzare mezzi segreti
contro gli Iraniani. Siamo potuti arrivare a cose più sgradevoli di
questo.”
Clawson sta chiaramente approvando la messa in scena da parte di
Israele di un incidente che potrebbe portare alla guerra, forse anche
un’operazione “false-flag” condotta da Israele con l’implicazione
diretta degli Stati Uniti, o addirittura sta sollecitando la stessa Casa
Bianca a portare avanti questa operazione.
Non a caso Clawson non ha mai servito nell’esercito degli Stati
Uniti, e ha un dottorato di ricerca in scienze economiche presso la
Nuova Scuola per le Ricerche Sociali, fattori che a ben vedere
dovrebbero indicare come lui non sia il più qualificato ad impostare
un’operazione segreta per affondare un sottomarino e, quindi, scatenare
un conflitto.
Potrebbe essere considerato come moderatamente ridicolo, ma come
molti dei suoi colleghi neo-conservatori è ben inserito nel sistema.
Egli scrive regolarmente per The Washington Post, The New York Times e The Wall Street Journal;
appare in televisione come “esperto”, e in WINEP è sodale con
l’onnipresente Dennis Ross, a volte chiamato l’“avvocato di Israele”,
che fino a poco tempo fa è stato l’uomo di punta del presidente Obama
sulle questioni del Medio Oriente.
Clawson è un utile idiota, che dovrebbe essere registrato come
“agente del governo israeliano” se il Dipartimento di Giustizia facesse
bene il suo lavoro, ma invece viene portato in palmo di mano come un
uomo che dice le cose come sono, nei termini degli interessi
usamericani.
La distorsione del processo decisionale nella politica estera in
questo paese è qualcosa che può essere attribuito a Clawson e al suo
esercito di compagni di viaggio, i quali promuovono palesemente gli
interessi di Israele a spese degli Stati Uniti. E fanno questo con gli
occhi ben aperti, in piena consapevolezza.
Incitamento all’odio spacciato per libertà di parola
Io volutamente eviterò di dilungarmi nell’attaccare la fanatica
filo-israeliana Pamela Geller e i suoi manifesti nella metropolitana di
New York che definiscono selvaggi i Palestinesi e civili gli Israeliani,
e sono certo che è stata già puntualizzata la questione su come
qualsiasi menzogna che possa servire alla causa di Israele sarà
aggressivamente difesa come “libertà di parola”.
Un manifesto che similmente avesse appioppato agli Ebrei o ai neri
il termine di “selvaggi” non avrebbe visto la luce del giorno a New York
City, un’altra indicazione del potere della Lobby e dei suoi amici nel
controllare il dibattito sul Medio Oriente e nella gestione del sistema.
Rete di spie
E allora esistono buone ragioni per non amare Israele e ciò che
rappresenta, anche attraverso uno sguardo retrospettivo. È del 1952
l’“affare Lavon”: gli Israeliani erano pronti a far saltare in aria un
centro informazioni degli Stati Uniti ad Alessandria di Egitto e
addossarne la colpa agli Egiziani.
Nel 1967, gli Israeliani hanno attaccato e quasi affondato la USS
Liberty, uccidendo 34 membri dell’equipaggio, e poi hanno usato il loro
potere sul presidente Lyndon Johnson per bloccare un’inchiesta su ciò
che era accaduto.
Nel corso degli anni ‘60, gli Israeliani hanno trafugato uranio da
un laboratorio in Pennsylvania per costruirsi un arsenale nucleare
segreto. E lo spionaggio e il furto di tecnologia statunitense continua!
Israele è la più fervente “nazione amica”, mentre arriva a rubare i
segreti agli Stati Uniti, e quando le sue spie vengono catturate, o
vengono rimandate a casa o, se sono Statunitensi, ricevono solo buffetti
sulle mani.
Uccidono cittadini statunitensi
E Israele la fa franca perfino uccidendo cittadini statunitensi, vedi il caso di Rachel Corrie http://truth-out.org/news/item/11606-rachel-corrie-responsible-for-own-death-israeli-court-rules e quello di Furkan Dogan, trucidato dai commandos di Israele sul “Mavi Marmara”.
Non dimentichiamo il trattamento di Israele nei confronti dei
Palestinesi, che ha reso gli Stati Uniti complici di un crimine contro
l’umanità. Tel Aviv ha anche giocato un ruolo chiave nell’entrata in
guerra di Washington contro l’Iraq, nel promulgare una guerra globale al
terrorismo condotta dagli Stati Uniti contro il mondo musulmano, e nel
gridare al lupo contro l’Iran, e tutto questo non è assolutamente
servito agli interessi degli Stati Uniti. E in mezzo a questo marasma,
il Congresso e i media sembrano inconsapevoli ed immemori di ciò che sta
avvenendo. Israele ha beneficiato di più di 123 miliardi dollari di
aiuti dagli Stati Uniti, e continua ad ottenere 3 miliardi di dollari
ogni anno, anche se il suo reddito pro capite è superiore a quello della
Spagna o dell’Italia.
Nessuno si pone una qualsiasi domanda su cosa abbiamo a che fare
con Israele, mentre il Congresso approva senza sollevare obiezioni
risoluzione dopo risoluzione, praticamente assicurando l’entrata in
guerra per conto di Israele. Devo ammettere che non mi piace quello che
il mio governo sta facendo in questi giorni, ma mi piace ancora meno
Israele, ed è giunta l’ora di fare qualcosa al riguardo. Non più soldi,
non più sostegno politico, nessuna tolleranza più nei casi di
spionaggio, non più dover ascoltare richieste di “linee rosse” per
entrare in guerra, basta con la stampa favorevole quando il demente
Benjamin Netanyahu regge un cartone alle Nazioni Unite.
Il governo degli Stati Uniti esiste per servire il popolo
americano, né più né meno, ed è tempo che i nostri rappresentanti eletti
comincino a ricordarsi di questo fatto.
Nota del traduttore
Il 9 ottobre, il premier Benyamin Netanyahu ha annunciato lo
scioglimento anticipato della Knesset, il parlamento di Israele, e la
convocazione di elezioni legislative tra gennaio e febbraio del 2013.
Da tempo Netanyahu progettava di andare al voto, e molto
probabilmente ha affrettato le sue decisioni in vista della nuova legge
di bilancio 2013, e della progettazione di un attacco contro l’Iran.
Netanyahu, un liberista sfrenato, sente spirare un forte vento
di crisi economica sullo Stato ebraico e vuole imporre una manovra
“lacrime e sangue”, con tagli allo stato sociale e alla spesa pubblica,
secondo lui per evitare al paese una crisi più profonda, di entità
europea. I partiti religiosi che lo appoggiano sono in subbuglio perché
temono di vedere forti limitazioni ai generosi sussidi elargiti alle
comunità di ebrei ortodossi. Ecco forse la necessità di una verifica
elettorale.
Ma una forte motivazione dello scioglimento anticipato della
Knesset resta la questione del nucleare iraniano. Sicuramente il
risultato delle elezioni verrà condizionato dallo stato di ansia degli
Israeliani per le questioni di sicurezza.
Durante il suo intervento alle Nazioni Unite, Netanyahu con il
suo disegno della bomba con la miccia accesa ha dettato i tempi del
presunto raggiungimento da parte dell’Iran del punto di non ritorno,
quando l’Iran sarà tecnicamente in grado di produrre un ordigno atomico.
La soluzione preferita da Netanyahu resta sempre un attacco ai
centri di ricerca nucleare iraniani, e in qualche modo tenta di
trascinare nell’aggressione anche gli Stati Uniti.
Se Obama, che fino a questo momento ha posto dei freni a questa
azione, risultasse vincitore dovrà per forza “rendersi conto” che le
sanzioni internazionali non hanno bloccato i programmi iraniani e quindi
sarà chiamato a dare il via libera ad un attacco congiunto
israelo-statunitense.
Se risulterà vincitore il repubblicano Mitt Romney, un fautore
dell’uso della forza contro Teheran, lo scenario diverrà ancora più
probabile.
Ecco perché Netanyahu ha bisogno di una maggioranza
schiacciante alla Knesset, e ritiene che il suo partito, il Likud, abbia
le potenzialità di una vittoria con largo margine.
Bisogna mettere in conto sempre la possibilità di qualche
azione “false flag”! Un progetto astuto, ma fonte di pericolosissimi
sviluppi.
Tlaxcala
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